L'TALIA MUOVE GUERRA AL CALIFFO MA SENZA ARMI (PER ORA)

aggiornato alle 15,40

L’Italia va alla guerra contro il Califfato ma senza l’impiego diretto delle armi. Ieri il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha ufficializzato ieri alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato il contributo italiano alla Coalizione internazionale impegnata nella lotta allo Stato Islamico.  Come aveva anticipato Analisi Difesa l’apporto dell’Italia  allo sforzo bellico era stato comunicato mercoledì agli alleati dal capo di stato maggiore della difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, nel corso di un summit che ha riunito nella base aerea di Andrews (nei pressi di Washington) i vertici militari dei 22 Stati aderenti alla Coalizione.
L’intervento italiano, che si aggiunge alle forniture di armi ai curdi già approvate in agosto e quasi ultimate, include diverse componenti.

–    Un velivolo KC-767, per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri della Coalizione. Il velivolo verrà basato in Kuwait come i due droni Predator secondo quanto dichiarato dal capo di stato maggiore Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli.

–    Due velivoli a pilotaggio remoto tipo Predator da impiegare per la sorveglianza della regione e che in ogni caso non potrebbero venire impiegati in compiti di attacco poiché Washington non ha concesso alla nostra Aeronautica Militare di acquisire i kit per impiegare bombe a guida Gps JDAM e missili Hellfire. A differenza dei britannici che trasferiranno dall’Afghanistan all’Iraq i droni Reaper armati per affiancare i i bombardieri Tornado già in azione in Iraq. Non è ancora chiaro se i droni italiani in Iraq saranno Predator A o Predator B/Reaper.

   –    Una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione che verrà presumibilmente distaccata a Tampa, sede del Central Command che guida l’Operazione Inherent Resolve (questo il nome che Washington ha attribuito all’intervento contro il Califfato) .

–    Duecento militari tra istruttori, componente logistica e di sicurezza (Force Protection) verranno inviati con ogni probabilità a Erbil, nel Kurdistan iracheno, per addestrare le forze locali.L’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli ha precisato che non è stato ancora deciso dove istituire una grande base italiana d’addestramento in territorio iracheno. Non è chiaro se gli istruttori italiani cureranno la formazione solo dei battaglioni iracheni, curdi o anche di quelli cristiani e yazidi costituiti arruolando i profughi rifugiatisi a Erbil  dopo l’offensiva estiva del Califfato.  A quanto sembra il reparto sarà composto da circa 60/70 istruttori più le componenti logistica e di sicurezza. Non è ancora chiaro se la base del contingente italiano verrà creata ad hoc o se le truppe verranno ospitate in strutture già esistenti dove già operano consiglieri militari statunitensi, tedeschi, francesi e britannici.

–    Il ministro Pinotti ha evidenziato la possibilità di inserire successivamente nel teatro operativo “personale con funzione di consigliere per gli alti comandi delle Forze irachene”. Si tratterebbe di circa 80 ufficiali che porterebbero a 280 i militari schierati in Iraq tra istruttori e consiglieri militari ai quali aggiungere il personale dell’Aeronautica che si occuperà dei 3 velivoli assegnati alla Coalizione e gli ufficiali assegnati a Centcom a Tampa. In tutto il dispositivo militare italiano assegnato all’operazione “Inherent Resolve” (ma presto avremo forse anche un nome italiano all’operazione nazionale) potrebbe essere di circa 350 militari.

Nell’audizione il ministro ha invece definito “destituita di fondamento” la notizia diffusa dal settimanale L’Espresso che riferiva ieri di una missione congiunta italo-spagnola di addestramento a Nassiryah, città dove dal 2003 al 2006 è stato schierato un contingente italiano che sostenne numerosi scontri a fuoco (i più importanti furono le tre battaglie dei ponti nel 2004) registrando 33 caduti. A Nassiryah la Spagna schiererà presto 300 militari tra i quali una settantina di istruttori che avranno il compito di addestrare entro la fine dell’anno le reclute (sciite) di una brigata di fanteria

–    Il contributo dell’Italia alla lotta contro lo Stato Islamico “deve proseguire e in tale contesto hanno preso avvio lo studio e la pianificazione di altri contributi” tra cui la fornitura di “ulteriori stock di munizioni e armi” di cui “potranno far parte anche controcarro e blindati in uso all’Esercito Italiano” ha detto il ministro Pinotti.

Il riferimento  sembra essere ai missili anticarro AT-4 Spigot sequestrati nel 1994 sulla nave Jadran Express che li portava in  Croazia violando l’embargo sulla fornitura di armi alla ex Jugoslavia. Si tratta di 50 lanciatori e 400 missili di tipo sovietico una parte dei quali vennero forniti nel 2011 ai ribelli libici a Bengasi. Una fornitura che risulterebbe particolarmente gradita dal comando curdo che ha sempre lamentato la carenza di armi anticarro.

Circa i blindati l’Esercito Italiano ha un ingente surplus di veicoli VM 90P (il noto “Scarrafone”) e Puma. Nel primo caso si tratta della versione a blindatura leggera del  veicolo Iveco VM90, nel secondo di blindati realizzati dal consorzio OTO Melara/Iveco in 500 esemplari per Esercito e Carabinieri tra il 2001 e il 2004  molti dei quali sono stati dismessi perché in Afghanistan si rivelarono troppo vulnerabili a mine e ordigni improvvisati (nella foto un Puma 6×6 dei Carabinieri in Iraq nel 2006).

Venti Puma  sono stati ceduti alla Libia e 3 a Gibuti e, nonostante i limiti di protezione,  per i peshmerga curdi la disponibilità di blindati simili costituirebbe un passo avanti importante rispetto ai pick-up civili utilizzati oggi per muovere i reparti sul campo di battaglia.


–    Il Ministro Pinotti ha reso noto che Infine “sono in arrivo in Italia alcuni militari curdi che verranno addestrati all’uso dei sistemi d’arma che abbiamo già ceduto loro” riferendosi quindi alle mitragliatrici M-2 Browning ed MG-42. Probabile però che l’addestramento impartito in Italia non si limiti all’uso di queste armi come confermerebbero le ipotesi raccolte dall’agenzia Adnkronos circa il possibile utilizzo dei centri addestrativi di Cassino (Frosinone), Persano (Salerno) e dei poligoni di Monteromano (Viterbo) e Capo Teulada (Cagliari)

–     E’ in fase di pianificazione “l’invio di altri assetti pilotati per la ricognizione aerea” , ha aggiunto il ministro  senza fornire ulteriori precisazioni. L’ipotesi sembra riguardare l’invio di cacciabombardieri Tornado o AMX con compiti (inizialmente) di ricognizione ma che in futuro potrebbero evolvere in un più completo impiego bellico come è accaduto con i velivoli da combattimento dell’Aeronautica schierati in Afghanistan.

Il contributo italiano al conflitto contro il Califfato pare limitato al fronte iracheno (escludendo quindi azioni sulla Siria) e risulta consistente anche se ben diverso da quello offerto da altri alleati quali Olanda, Belgio, Danimarca, Canada e Australia che pur disponendo di forze armate più piccole di quelle italiane hanno inviato nelle scorse settimane velivoli da combattimento F-16 e F/A-18 per le incursioni sull’Iraq.

La decisione di Roma di non farsi coinvolgere direttamente nel conflitto appare giustificata dal contesto ambiguo e contraddittorio in cui si muove la Coalizione.

Le pretese turche di utilizzare la guerra allo Stato Islamico per invadere il nord della Siria e combattere il regime di Assad e quelle saudite di far ritirare le truppe iraniane che affiancano l’esercito siriano a Damasco rendono ben evidente come per molti “alleati” l’obiettivo della guerra non sia certo sconfiggere le armate del Califfo.

Del resto mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla città curda di Kobane, al confine tra Siria e Turchia (dove i jihadisti sembrano in ritirata dal centro urbano che avevano occupato per metà) le forze dell’IS avanzano rapidamente in Iraq e soprattutto nella provincia di al-Anbar puntando decisamente verso l’aeroporto di Baghdad. Un ulteriore tracollo dell’esercito iracheno composto e guidati da sciiti certo non dispiacerebbe alle monarchie sunnite.

Del resto la credibilità della Coalizione non può non essere traballante dal momento che è composta da Paesi arabi, Turchia e dagli stessi Stati Uniti che hanno addestrato e armato le milizie confluite nello Stato Islamico mentre non ammette al suo interno iraniani e governativi siriani che hanno invece combattuto da sempre qaedisti e IS.  Proprio ieri Mosca ha reso noto di aver respinto la richiesta statunitense di condividere i dati di intelligence sullo Stato Islamico e di collaborare con la Coalizione. Lo ha chiarito Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, ha spiegato che “la Russia sta già combattendo per conto suo i terroristi fornendo significativa assistenza alla Siria e all’Iraq”.

In un contesto simile il governo italiano ha scelto di fornire contributi non letali (almeno per il momento) alla Coalizione e di aiutare in modo concreto i curdi iracheni, unica forza combattente che affronta con successo sul campo i jihadisti.

Difficile infine interpretare la decisione italiana di non assegnare forze da combattimento alla Coalizione con lo scopo di ridurre l’esposizione della Nazione a rappresaglie terroristiche. Roma è belligerante fin da quando ha aderito alla Coalizione accettando di rifornire di armi i curdi come evidenziò nell’agosto scorso l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi.

A suscitare perplessità semmai è invece la disponibilità italiana a investire denaro, forze militari e risorse nel conflitto iracheno-siriano  in cui il ruolo e il peso nazionale resteranno limitati  invece di concentrare gli sforzi anche militari per la stabilizzazione della Libia dove sono in gioco i nostri diretti interessi nazionali e da dove provengono minacce dirette da parte di organizzazioni criminali e terroristiche.

Foto: Difesa.it, Aeronautica Militare, AP, AFP, Stato Islamico, Alberto Scafella (vignetta)

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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