Iraq: milizie scite accusate di pulizia etnica a Diyala
AGI/NOVA Le milizie sciite irachene sono state accusate di aver compiuto delle operazioni di pulizia etnica nella provincia irachena a maggioranza sunnita di Diyala.
Le accuse sono giunte dopo che ieri dei miliziani sciiti avrebbero dato fuoco a tre giovani sunniti. Sempre ieri le milizie sciite hanno bombardato a colpi di mortaio il villaggio di al Hadid costringendo molte famiglie a fuggire.
Il deputato iracheno eletto nella provincia di Diyala, Raed al Dahlaki, ha denunciato il fatto che “alcune zone sunnite di Diyala sono sottoposte a bombardamento da parte degli sciiti e i miliziani hanno rapito numerose persone della zona”.
Solo ieri 13 sunniti sono stati rapiti nel villaggio di Khan Bani Saad e nella notte è stata incendiata la sede della municipalità. Non è la prima volta che le milizie sciite sono accusate di violenze sulla popolazione civile e di efferati crimini contro gli stessi nemici.
Un video pubblicato su internet alcune settimane fa mostra dei combattenti sciiti che mutilano e incendiano un cadavere legato e incappucciato, probabilmente un militante jihadista. Durante l’offensiva di aprile per riprendere la città di Tikrit, nella provincia di Salah al Din, sono stati segnalati diversi casi di rappresaglie contro la popolazione civile sunnita sospettata di aver appoggiato lo Stato islamico.
Per molti analisti la debolezza delle forze militari irachene dipende soprattutto dagli errori del governo di Baghdad che a partire dal 2006 ha favorito anche all’interno dell’esercito una divisione settaria basata su sunniti e sciiti, in particolare per quanto riguarda la nomina di ufficiali e comandanti.
Il risultato è stato l’impiego sempre il ricorso sempre più frequente a guerriglieri ideologicamente impostati, divenuti nel tempo sempre più indispensabili per combattere l’offensiva contro l’Isis.
Fino al 2005 l’esercito iracheno ha mantenuto un suo equilibrio per quanta riguarda l’appartenenza confessionale con un 55 per cento di militari sciiti e un 45 per cento sunnita.
Tale divisione è stata smantellata dal governo del primo ministro Nouri al Maliki, che temendo infiltrazioni jihadiste nell’esercito ha dato il via ad una campagna di confessionalizzazione delle forze armate, escludendo dalle cariche di comando tutti gli elementi non sciiti.
La mossa di al Maliki ha facilitato la costruzione di una forza politicizzata sciita, che nel tempo ha escluso ufficiali e comandanti della fazione sunnita e curda.
Prima della nascita dello Stato islamico, nel 2007 gli Stati Uniti hanno cercato di creare la formazione dei Figli dell’Iraq, forza militare composta di 90 mila sunniti incaricati di proteggere i loro quartieri nelle aree sunnite di Baghdad, Diyala e Salah el Din, non solo da al Qaeda, ma anche dagli attacchi del terrorismo a matrice sciita.
Tale tentativo è fallito a causa delle continue pressioni del governo per subordinare il pagamento di tali forze ad una schedatura
completa di ciascun al fine di controllare eventuali simpatie qaediste. Nell’estate del 2014 il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha completato la formazione di settemila membri delle forze di sicurezza irachene al fine di creare una futura forza nazionale in grado di combattere in tutte le aree del paese senza sottostare a dinamiche confessionali e tribali.
Tuttavia, da quasi un anno le autorità irachene portano avanti una discussione basata sull’appartenenza confessionale dei membri. Secondo diversi analisti la visione confessionale all’interno dello scenario iracheno potrebbe contribuire ancora di più ad una futura disgregazione del paese. Infatti, per molti esperti le milizie sciite, e con esse i reparti dell’esercito della medesima confessione, aderiscono alle varie campagne in base a ragioni religiose e non strategiche.
Foto: AP, Hezbollah Iracheni
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