L’F-35 E' OPERATIVO. PER MODO DI DIRE

Entusiastiche note ufficiali hanno salutato il 31 luglio scorso il raggiungimento da parte dei Marines americani della Initial Operational Capability (IOC) per i loro primi 10 esemplari operativi di F-35B a decollo corto e atterraggio verticale.

Gli aerei sono in linea con lo Squadron VFMA-121 di Yuma, Arizona, che aveva iniziato a riceverli già tre anni fa, e che l’anno venturo sarà seguito da un secondo reparto, il VMA-211, e nel 2018 da un terzo, il VFMA-122. Fra due anni il VFMA-121 traslocherà in Giappone sulla base dei Marines di Iwakuni, primo reparto aereo americano dotato della variante del Joint Strike Fighter – pedestremente parlando – meno potente a mostrar bandiera fuori dagli States.

Gli F-35 di questa versione dello stealth d’attacco di Lockheed Martin attesi dall’USMC sono in tutto 350, ma almeno fino a tutto luglio non si escludeva che questo requisito potesse cambiare, in ragione di una possibile revisione del totale di F-35 di tutte le versioni (2.443 esemplari) attesi dalle forze aeree statunitensi ventilata dal comandante dei Marines generale Joseph Dunford (nella foto sotto), dal prossimo 1° ottobre  nuovo capo degli Stati Maggiori riuniti.

Il 26 agosto il Pentagono smentiva però qualsiasi ipotesi di revisione di quel totale; un po’ come se da noi l’Aeronautica Militare affermasse una cosa e il Ministero della Difesa la smentisse dicendo il contrario (eventualità peraltro non così campata in aria).

Il confronto anche mediatico all’interno della stessa amministrazione militare statunitense sull’F-35 non accenna a diminuire, anzi. Come in precedenti occasioni, i comunicati ufficiali su questa prima IOC di fonte forza armata e industriale contraddicono, almeno in parte, i rapporti tecnici più recenti del Dipartimento della Difesa e di altre istituzioni statunitensi (il solito GAO, ma anche il Congressional Research Service) sullo stato di un programma definito “affamatore del Pentagono” per i suoi perduranti, elevatissimi costi, che potrebbero mettere seriamente a rischio la sua sostenibilità a medio-lungo termine.

Nella sua nota alla stampa Lockheed Martin si è espressa con queste parole: “Tra cinquant’anni gli storici guarderanno al successo del programma F-35 e indicheranno il raggiungimento della Capacità Operativa Iniziale da parte del Corpo dei Marines come la pietra miliare che ci ha accompagnato in una nuova era dell’aviazione militare”.

La contrapposizione fra il Pentagono da un lato e i diretti responsabili dall’altro, per non parlare dell’aspro confronto fra Pentagono e Congresso, sono sfociati in scontro aperto gli ultimi giorni di agosto, a proposito della ventilata possibilità di mettere a confronto l’F-35 con il vecchio assaltatore A-10 che deve sostituire nelle missioni di Close Air Support (CAS, supporto aereo ravvicinato alle forze di terra, il pane quotidiano per le truppe che hanno combattuto in Afghanistan e Iraq): l’Air Force sostiene che questo “duello” è inutile, fuorviante e anacronistico, il DoD, invece, che un simile confronto diretto fra i due aeroplani aiuterebbe a comprendere se il nuovo caccia multiruolo della Lockheed riesce a tener testa nel CAS a un aereo progettato solo per quello. E a far meglio, perché è questo che ci si aspetta.

Il confronto si farà (notizia del 27 agosto), ma intanto c’è chi getta benzina sul fuoco: l’ex ministro della Difesa britannico Nick Harvey ha affermato che le capacità dell’F-35 nel Close Air Support “descritte come quelle capaci di farne un degno sostituto dell’anziano assaltatore A-10, non sono attese prima del 2021” (Londra deve radiare i Tornado, che usa nel CAS, qualche anno prima).
I Marines: “Cambieremo il modo di combattere e vincere”

La capacità operativa iniziale dell’F-35, sostengono le relazioni tecniche del Dipartimento della Difesa e naturalmente i detrattori del programma, è stata raggiunta con un aereo ancora troppo immaturo e lontano dalle promesse e dalle aspettative di progetto.

Il documento più indicativo è quello della Direzione delle attività di test e valutazione operativa dello stesso Pentagono (DOT&E) divulgato a gennaio con il titolo eloquente “The F-35 Is Not Ready for IOC and Won’t Be Any Time Soon”. Contiene una dettagliata analisi sui progressi dei vari sistemi dell’aeroplano raggiunti a tutto l’ottobre 2014, quindi a meno di un anno dalla dichiarazione dei Marines della Capacità Operativa Iniziale dei loro STOVL. Ne parliamo più avanti.

“Lo squadrone VMFA-121 ha raggiunto la Capacità Operativa Iniziale per gli F-35B in linea con i requisiti tracciati nella relazione congiunta del giugno 2014 al Comitato Congressuale per la Difesa”, ha dichiarato il Generale Dunford.

“L’unità dispone di aerei F-35B in configurazione Block 2B dotati delle capacità di inviluppo e dell’autorizzazione (all’impiego; ndr) delle armi richieste oltre che della capacità di formazione e manutenzione e delle infrastrutture richieste per lo schieramento su piste di fortuna o sulle navi.

Questi aerei sono in grado di condurre missioni di supporto aereo ravvicinato in fase offensiva e difensiva, interdizione aerea, oltre che di fungere da scorta di supporto d’assalto e ricognizione armata, come parte di una task force terra-aria dei Marines o in supporto alle forze militari congiunte”.

Nella sua comunicazione Dunford manifesta la piena fiducia nella capacità dell’F-35B di “supportare i Marines durante i combattimenti, come dimostrato in anni di lavoro in cui test di sviluppo e voli operativi sono stati portati avanti contemporaneamente.

Prima di dichiarare la Capacità Operativa Iniziale abbiamo condotto operazioni in mare per sette settimane a bordo di una portaerei della classe L, abbiamo preso parte a esercitazioni multiple ed eseguito una recente valutazione operativa comprensiva di sortite multiple con armamenti. La capacità dell’F-35 di operare da piste di fortuna o da portaerei in mare,” prosegue la nota del generale, “conferirà alla Nazione le abilità di un caccia di quinta generazione in grado di cambiare radicalmente il nostro modo di combattere e di vincere.”

 

Sei anni di ritardo
“Conferirà le abilità”. E’ questo il punto. La IOC della versione STOVL dell’F-35B intanto è stata raggiunta con quasi sei anni di ritardo sulla pianificazione originale, e solo dopo una corsa contro il tempo che riassume in sé le difficoltà fuori del comune del programma, anticipandone in qualche modo le implicazioni a lungo termine. Una rincorsa tanto più inspiegabile se si tiene conto delle diverse opzioni offerte dal programma.

“Congelate” in via definitiva il 31 maggio 2013 in base ai desiderata delle tre forze aeree interessate, le disposizioni del Pentagono prevedevano:
1)    che il primo reparto operativo dell’US Air Force dotato della versione a decollo convenzionale F-35A potesse dichiararne la IOC fra l’agosto 2016 con un minimo di 12 aerei, e il dicembre 2016 con una dotazione piena di 24, equipaggiando i velivoli con un software (il Block 3i) che, a fine anno, sarebbe stato sicuramente migliore che in agosto.

2)    che i Marines dovessero fare lo stesso con i loro STOVL nel luglio del 2015 con 10 aerei dotati del precedente Block 2B, oppure in dicembre con 14-16, ma sempre col Block 2B, avvantaggiato anch’esso da altri mesi di implementazione.

3)    infine che la Navy dichiarasse la capacità iniziale dei suoi F-35C con il Block 3f nell’agosto 2018 con almeno 10 aerei, oppure nel febbraio 2019, non si dice però con quanti velivoli (e valgono ovviamente le considerazioni di cui sopra sulla maturità del software). La Marina in particolare aveva chiesto con il Block 3f un radar capace di sorvegliare aree più ampie, una capacità che nel 2007 veniva considerata basica, ma che gli F-35 potranno avere solo dopo il 2020, con Block di software successivo al 3f.

Fissate le scadenze, il Pentagono avvertiva tuttavia che “se la disponibilità delle necessarie capacità subirà cambiamenti o ritardi, queste stime saranno opportunamente riviste”. Bene, non sono state riviste, neppure dopo l’incendio a un motore del giugno 2014 che ha sconvolto il programma dei test di sviluppo.
Perché i Marines non hanno aspettato la fine dell’anno, potendo contare su un maggior numero di aerei in linea già retrofittati/modificati (per la concurrency), insomma più “capaci”, offrendo così come reparto un miglior livello di prontezza/disponibilità operativa? Vi erano forse particolari clausole contrattuali fra il DoD e il Corpo da un lato, e i contractor dall’altro?

Il Pentagono aveva chiesto ripetutamente ai Marines di aspettare la disponibilità di software più completo prima di dichiarare l’operatività iniziale, una richiesta rigettata ogni volta dal Corpo. Perché? Mistero.

E non si comprende come, lasciando che i Marines premessero sull’acceleratore su una macchina ancora in rodaggio, la Difesa americana abbia finito per dare un segnale negativo a livello di immagine ai prossimi clienti stranieri dell’F-35 STOVL, cioè le Marine italiana e britannica (l’Australia li voleva, ma vi ha rinunciato).

 

“Al di là del concetto di modifica”
Sei anni di ritardo non sono uno scandalo per i nuovi programmi militari, ma come abbiamo scritto più volte, nell’F-35 l’impressione è che i ritardi siano il sintomo, se non la causa, di problemi radicati nel progetto, che continueranno a generare aumenti di costo, e nuovi ritardi.

Prima della loro consegna al VFMA-121, cinque dei dieci aerei hanno dovuto sottoporsi a lavori di retrofit e modifica tali da dover intervenire persino sulle loro strutture. “In certi casi il lavoro è stato più complicato e invasivo (della semplice applicazione dei previsti kit di modifica; ndr), arrivando persino a dover tagliare elementi strutturali (con successiva riverniciatura e conseguente verifica della bassa osservabilità dell’aereo; ndr).

Questo è assai singolare per un aereo così giovane, va al di là del concetto di ‘intervento di modifica’ ”. Così il responsabile della Repair and Maintenance Facility dei Marines di Cherry Point che ha affrontato questo compito, affidandosi a un’organizzazione tecnico-logistica a sua volta ancora “immatura”.

Le difficoltà di una gestione complessa, appesantita almeno in questi primi anni dalla concurrency (sovrapposizione fra sviluppo e produzione), è a ben guadare essa stessa alla radice di una IOC del Joint Strike Fighter – al di là di tutte le certificazioni di rito, come la conclusiva Operation Readiness Inspection a Yuma – meno che “Initial” rispetto alla consuetudine dei nuovi sistemi d’arma, tanto da poter dire che oggi e per almeno ancora un paio d’anni l’F-35 offre una somma di capacità – beninteso al lordo della sua “bassa osservabilità” – equivalente a quello dei velivoli da combattimento “convenzionali” di ultima generazione.

Casomai, passati 14 anni dall’inizio dello sviluppo e speso più di un quarto dell’investimento globale del programma, queste prime capacità operative avrebbero potuto rappresentare e offrire qualcosa di più; per lo meno, più del “livello minimo” di operabilità richiesto.

Tanto per dire, questi primi 10 JSF “operativi” non potranno condurre le loro varie missioni usando il cannone, perché l’arma sarà operabile solo a partire dal 2017 (le prime prove a fuoco in volo iniziano questo mese). Né potranno portare armamento esterno sotto le semiali, perché il software di cui sono dotati non lo consente ancora; e lo STOVL non brilla certo per la capacità di carico delle sue stive interne.

 

Ci sono ancora cose da riprogettare

Veniamo al rapporto del DOT&E. Puntualmente giudicato superato da costruttore e Ufficio di programma del DoD dai progressi compiuti nel frattempo, dei quali peraltro tanto il primo quanto il secondo hanno dato conto solo in parte, nelle sue 34 pagine il report mette nero su bianco problematiche che difficilmente, dati anche i trascorsi del programma, possono essere considerate archiviate dopo nemmeno un anno:
• Le oscillazioni dell’ala dopo sei anni non sono ancora state risolte del tutto. Il problema può essere mitigato o superato solo a discapito della manovrabilità in combattimento e delle caratteristiche di bassa osservabilità.

• Anche nella sua terza generazione, appena consegnata ai reparti, il casco dell’F-35 continua a mostrare elevati tassi di falsi allarmi e problemi di stabilità, riducendo la consapevolezza situazionale dei piloti e mettendo a rischio la loro sicurezza;

• Errori del software del sistema di sostegno logistico ALIS continuano a ostacolare il funzionamento, la pianificazione di missione e la manutenzione dell’F-35, costringendo i servizi di manutenzione a fare eccesivo affidamento su appaltatori e a ricorrere a “soluzioni-scorciatoia” che aggirano il problema (“workaround”);

• La bassa disponibilità e affidabilità dell’F-35 è indotta da problemi intrinseci di progettazione che stanno diventando più evidenti e difficili da risolvere.

Ma c’è una ragione fondamentale per cui quell’ “iniziale” appare relativo, generando “una capacità molto più limitata di quanto fosse stato pianificato”, come riconosceva a gennaio lo stesso Pentagono. Ed è la relativa incompletezza del Block 2B, come s’è accennato la versione del software installata su questi primi JSF dichiarati operativi.

Le funzionalità e capacità che mancano all’appello e una completa ottimizzazione di quelle “zoppicanti”, sono state rimandate ai successivi Block 3i e soprattutto 3f, vale a dire fra non meno di due-tre anni, quando si sarà trovata la soluzione delle “deficiences” di questa release del software, che secondo il DOT&E sono 579.

La ragione principale di questi rimandi – fisiologici nei moderni sistemi d’arma, per carità, ma qui siamo quasi al parossismo – è semplice e apparentemente inamovibile: come le teste nella mitica Hydra, la verifica di ogni singolo test point durante i voli di collaudo/sviluppo dà come risultato la “produzione” mediamente di nuovi 9 test point da verificare.

Il risultato, sempre secondo il Director Operational Test and Evaluation, è che se fino a non molto tempo fa si pensava che la fatidica Full Operational Capability (FOC) dell’F-35 potesse essere conseguita col Block 3f, il rischio è che si debba attendere i successivi Block 4A e 4B, la cui disponibilità operativa – almeno fino a tutto l’ottobre scorso – non è attesa prima del 2022.

Da questi futuri software, per dirne una, ci si attende la soluzione definitiva ai problemi di gestione del calore all’interno del velivolo e della potenza di bordo. Ma la cosa più grave è che se i costi di acquisizione delle varie flotte di F-35 – quelle italiane comprese – verosimilmente coprono il programma fino al Block 3f, il Block 4 dovrà essere finanziato in aggiunta.

Ulteriori costi di retrofit e – soprattutto – altro tempo da interporre fra la capacità operativa iniziale e quella finale per mettere in linea un aeroplano effettivamente all’altezza delle aspettative che ne avevano motivato l’acquisto. E sette anni, fra la IOC e la definitiva FOC, non sono pochi; solo l’F-22 ha fatto peggio finora, con gli spaventosi costi supplementari che l’Air Force americana conosce bene.

 

Altre decine di miliardi di dollari di spesa

Come fa efficacemente notare il sito americano pogo.org in un’analisi pubblicata a marzo, il rimandare sistematicamente la soluzione delle deficiences dei software e l’implementazione delle capacità programmate, unito – come abbiamo visto – alla continua “produzione” di nuovi test point da verificare, rischia di portare anche a nuove disastrose spirali di costo, tanto che l’intero pacchetto “recupero dei ritardi/implementazione finale delle prestazioni previste” potrebbe richiedere (secondo questa analisi) un esborso aggiuntivo di una settantina di miliardi di dollari.

Tanto quanto è costato l’intero programma F-22. Difficile poi – per un Parlamento, tanto per cominciare – distinguere fra effettivi, nuovi costi non preventivati, e normali, necessari miglioramenti del sistema d’arma.

Inevitabilmente sulla questione software relativamente alla IOC dichiarata a fine luglio dai Marines, è scoppiata violenta l’ennesima polemica. Il 16 luglio l’agenzia Bloomberg ha reso pubblici alcuni passi di un report datato 22 giugno del Sottosegretario alla Difesa Frank Kendall (fino a non molto tempo fa critico nei confronti del programma JSF) secondo il quale “tutte le 243 capacità (del software Block 2B, ndr) relative alla dichiarazione della IOC, tranne otto, sono in via di completamento e di verifica”. Quelle otto capacità riguardano la guerra elettronica, la fusione dei sensori e il sistema di data link aria-aria e aria-suolo.

Vale a dire, le capacità più importanti, che potranno essere aggiunte, come riconosce lo stesso Kendall, solo nel 2017, cioè con la prevista disponibilità del software Block 3f. “Queste carenze” rassicura tuttavia il Sottosegretario, “non interferiscono con le prestazioni delle missioni che i Marines intendono svolgere”.

Bisognerebbe intendersi su cosa i dieci F-35B dei Marines dal 1° agosto vogliono e/o sono in grado di fare. E’ questo del resto il tono della riposta arrivata pochi giorni dopo dal capo del Government Accountability Office Michael Sullivan, secondo il quale queste stesse otto capacità rappresentano proprio “i fattori chiave di superiorità dell’F-35 sugli altri aerei da combattimento”.

“La fusione dei sensori”, ricorda in particolare il responsabile della Corte di conti americana, “ha un impatto sul carico di lavoro dei piloti, e il report (del Sottosegretario Kendall; ndr) è vago riguardo al modo di affrontare le loro difficoltà in missione”.

Tempo fa un generale dell’US Air Force magnificò le possibilità di questa “fusione” (sommatoria, per così dire, in un unico file di tutti i dati sul target scoperti dai vari sensori dell’aereo, una tecnologia peraltro già adottata dai caccia più recenti, Eurofighter in testa) sull’F-35, ma dalle sue dichiarazioni era difficile capire se si riferiva alla teoria o a una pratica già sperimentata.

 

Aerei “isolati” dal resto delle forze
Oltre alle problematiche del software ci sono però almeno altri tre fattori limitanti. Nella sua nota sulla Initial Operational Capability dell’F-35 dei Marines, il Pentagono come s’è accennato dichiara che gli aerei del VFMA-121 potranno già essere impiegati a partire dalle unità tutto-ponte anfibie della Navy o da piste terrestri semi-preparate (“austere”), ed essere dislocati su teatri operativi, partecipando cioè a missioni di guerra (contro l’ISIS?) in Libia nei prossimi mesi?.

L’ultima recente sessione di prove di imbarco dello STOVL non è però andata nel migliore de modi, dimostrando un’efficienza dei sei velivoli coinvolti sensibilmente al disotto delle aspettative . Peccato, inoltre, che la attesa versione “expeditionary” del sistema logistico ALIS (siamo alla release 2.0.1) non sia ancora stata implementata come richiesto dalle reali esigenze di un teatro di guerra.

Ancora, peccato che il Joint Strike Fighter non abbia ancora affrontato, fra gli altri, test approfonditi sulla sua vulnerabilità al fuoco, sia quello indotto dal nemico sia quello meteorologico (fulmini), date le deficienze accusate dai suoi serbatoi di combustibile. Per non parlare poi dell’impossibilità per ora di usare il cannone a canne rotanti da 25 millimetri (arma fondamentale nel CAS, almeno in quello “low e slow”), cui fanno difetto i colpi, solo 190: pochissimi secondi di fuoco (le prove di sparo in volo iniziano questo mese).

Infine, una limitazione di tipo tattico: gli F-35 possono scambiarsi dati via data link fra loro, ma non con altri aerei “convenzionali” (i Marines hanno in linea l’F/A-18 e l’AV-8B Harrier II): si farebbero scoprire, e allora addio stealthness.

Anche questa, cioè un’interoperabilità “sicura” per loro, sarà raggiunta solo fra qualche tempo. Ma il generale Dunford a fine luglio ha salutato i nuovi F-35 STOVL operativi come “parte di una task force terra-aria dei Marines o in supporto a forze militari congiunte”.

La capacità operativa iniziale dichiarata per prima dalla versione più complessa dell’F-35, non nasce in definitiva sotto la migliore stella.

A guastare la festa è stata forse anche la grossa polemica sulla sua presunta incapacità di offrire prestazioni adeguate nel combattimento aria-aria a distanze ravvicinate (il famoso “dogfight”) scoppiata dopo l’uscita di un rapporto anonimo di un test pilot dell’Air Force che ha condotto un JSF contro un F-16 Fighting Falcon: mal “pilotabile” il primo, super agile come sempre il secondo.

Ma anche qui c’è l’immancabile contro-rapporto: la stessa Air Force comunica che nelle recenti esercitazioni Green Flag nessun F-35 è stato “colpito”.

All’argomento dedicheremo un prossimo approfondimento. Valga comunque ad aggrovigliare ancor più la matassa in cui si trova avvolto il Joint Strike Fighter, ciò che ha ribattuto il più volte citato generale Joseph Dunford a chi critica l’aereo della Lockheed anche per la mancanza di una dote peraltro non richiesta a un velivolo da attacco qual è: “Io amo l’F-16, penso che sia un grande aeroplano. Ma in un dogfight, preferirei sedermi in un Joint Strike Fighter piuttosto che in un Fighting Falcon”.

Foto:  Lockheed Martin e US DoD

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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