Rifugiati: nuovo fronte tra Turchia e Ue
Agenzia Nova – Da qualche settimana in Europa si registra un massiccio afflusso di profughi sulla cosiddetta “rotta dei Balcani”; in particolare il traffico si è intensificato dopo che le autorità turche, che negli ultimi anni avevano tenuto serrate le frontiere, hanno allentato i controlli ai confini e iniziato far uscire parte dei rifugiati siriani che negli ultimi 4 mezzo erano entrati nel paese fuggendo dalla Siria, ma non solo. Qualche giorno fa le autorità turche hanno riferito che Ankara ha speso 7,6 miliardi di dollari per ospitare 2,2 milioni di profughi siriani dall’inizio della guerra in Siria.
Nell’occasione il vicepremier turco Numan Kurtulmus aveva ricordato che la Turchia è sempre stata in prima linea nell’affrontare “la più grande crisi di rifugiati dalla seconda Guerra mondiale” e che avendo un confine di circa 900 chilometri con la Siria ha dovuto adottare “una politica della porta aperta” verso coloro che fuggivano dalla guerra precisando che ora però la Turchia aveva iniziato a faticare nel continuare ad affrontare da sola questa emergenza umanitaria.
Per cercare di normalizzare la situazione le autorità turche hanno redatto un apposito documento per l’istituzione di un meccanismo congiunto per gestire l’aggravarsi della crisi dei rifugiati siriani che prevede anche il coinvolgimento di Unione europea ed Usa.
Il piano turco si articola in tre parti. La prima fase prevede un maggiore coinvolgimento dell’Europa per evitare l’ulteriore afflusso di profughi, con Ankara che ribadisce la necessità di rimuovere per via politica e diplomatica le cause che determinano questa crisi, ovvero la rimozione del presidente siriano Bashar al Assad. Nella seconda parte viene rilanciata la richiesta turca di creare rifugi per i profughi nelle zone settentrionali della Siria.
La terza e ultima fase prevede poi il rimpatrio in Siria dei rifugiati che “altrimenti passerebbero decenni senza diritto di cittadinanza e la mancanza di diritti fondamentali come accaduto ai palestinesi nel 1948” ha fatto notare il premier turco Ahmet Davutoglu.
Il premier turco è tornato sul problema rifugiati escludendo la possibilità di creare di un centro di ospitalità e soccorso per le migliaia di profughi che arrivano in Turchia sostenendo che campi di questo tipo eventualmente dovrebbe essere realizzati in apposite zone di sicurezza “all’interno del territorio siriano”.
La scorsa settimana i leader dei paesi europei hanno trovato un accordo per aumentare gli aiuti alla Turchia e agli altri paesi che confinano con la Siria, in pratica quelli che in questi anni hanno accolto gli oltre quattro milioni di persone che sono fuggite dal paese di Assad, ma ora la Turchia sembra voler prendere il denaro e chiudere a nuove cooperazioni internazionali in materia.
Davutoglu ha infatti ribadito che per la Turchia, anche per contrastare il terrorismo curdo, la priorità è rafforzare le frontiere del paese, specie quelle con la Siria da cui potrebbero passare militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan o dello Stato islamico.
Questo significherebbe il blocco dell’arrivo dei migranti via terra e la necessità per questi di tentare la traversata via mare, con i tutti i rischi che ne possono conseguire.
Ovviamente la chiusura ferrea delle frontiere a sud lasciando aperte quelle verso l’Europa è una ipotesi che Bruxelles non gradisce e potrebbe ripercuotersi nei rapporti tra le parti, in primis mettendo a rischio gli stessi stanziamenti decisi dalla Ue per aiutare Ankara ad affrontare l’emergenza rifugiati. Anche l’ipotesi di organizzare campi di accoglienza in Siria sembra fare il gioco di Ankara ma non quello dei migranti e rischia anche di inasprire i già tesi rapporti con Damasco.
Da tempo la Turchia sogna di realizzare una zona cuscinetto in territorio siriano nei pressi del suo confine libera da jihadisti e curdi in cui estendere la propria influenza, quasi creando un enclave turca in territorio siriano. Per Davutoglu l’area migliore sarebbe quella che si estende da Azaz a Jarablus nel nord della Siria.
Qualora però i terroristi dello Stato islamico dovessero attaccare la zona e prenderne possesso questi campi profughi potrebbero essere realizzati in tre distinti località siriane tutte in grado di ospitare circa 100 mila persone. Su questo punto Davutoglu è stato chiaro “voi europei pagate e noi turchi costruiamo i campi”. Da un lato va dato atto alla Turchia di aver affrontato da sola, o quasi, per anni l’emergenza dei rifugiati siriani, anche se Ankara in questi quattro anni ha anche cercato in tutti i modi di mettere in difficoltà il presidente siriano.
Ora che Ankara è alle prese con una profonda crisi politica interna e sta regolando i conti con la minoranza curda nelle regioni sudorientali ha deciso di scaricare il problema sull’Europa cercando però di rientrare in parte delle spese sostenute. Lunedì prossimo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sarà a Bruxelles dove incontrerà il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Al centro dell’agenda ci sarà il conflitto in Siria e la crisi dei rifugiati. Per una Turchia che continua ad aspirare di entrare nella Ue rompere in tema di immigrazione potrebbe essere la fine di questa aspirazione.
Foto: AP. EPA, Reuters, TM News
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