L’impossibile integrazione dell'intelligence
da Il Sole 24 Ore del 25 novembre
Di una struttura unificata di intelligence europeo si sente parlare con cadenza periodica, ogni volta che gli Stati membri della Ue si vedono attaccati o esposti a un minaccia comune, sia essa rappresentata dalla sfida del terrorismo islamico o dall’aggressivo spionaggio elettronico anglo-americano che non risparmia i Paesi alleati emerso prepotentemente negli anni ’90 con la rete d’intercettazione delle comunicazioni Echelon e più recentemente grazie alle rivelazioni di Edward Snowden note come “Datagate”.
L’intelligence europeo, così come le forze armate europee, sono destinati a restare utopie almeno finché esisteranno i singoli Stati e l’Europa non sarà una federazione come gli Usa o le repubbliche russe. Le strutture d’intelligence, così come in ambito militare le forze speciali che peraltro spesso cooperano con gli 007 nelle operazioni contro il terrorismo, sono per loro natura “assetti nazionali” che rispondono direttamente al capo dello Stato o al vertice governativo.
Questo non significa che non si possa migliorare la cooperazione già esistente tra i servizi di sicurezza europei velocizzando lo scambio di informazioni su pericolosi terroristi o sospetti jihadisti ma l’integrazione tra strutture informative di Stati diversi non è possibile perché ogni Stato persegue un ampio spettro di interessi spesso contrapposti a quelli di partner e alleati.
Non lo è neppure sul piano militare se si considera che in Iraq e Afghanistan le informazioni d’intelligence venivano condivise solo in minima percentuale tra i diversi contingenti alleati e i primi a custodire gelosamente la gran parte dei dati erano proprio coloro che avevano gli strumenti più poderosi ed efficaci per raccoglierli e analizzarli, cioè gli anglo-americani.
Del resto i servizi segreti sono tradizionalmente le istituzioni utilizzate per perseguire gli interessi nazionali anche in modo subdolo e coperto, e per sabotare gli interessi di avversari e competitor, definizioni che sono spesso tutt’altro che lineari, specie oggi che i lavoro degli 007 riguarda sempre di più la sicurezza economica.
Un alleato all’interno della NATO può essere un competitor commerciale nella gara per aggiudicarsi contratti energetici o per forniture di armi e infrastrutture strategiche. SAnzi,. Potremmo dire che oggi l’Europa, pur quasi tutta alleata di Washington all’interno della NATO, è il più importante rivale economico, strategico e commerciale degli Stati Uniti.
Come il Datagate ha impietosamente dimostrato a chi avesse ancora una visione “romantica” dell’intelligence (frequente nei romanzi ma priva di riscontri nella realtà), tutti spiano tutti persino all’interno delle alleanze.
L’obiettivo è conoscere oggi le decisioni che un governo renderà note solo tra qualche tempo, avere accesso alle strategie commerciali di Stati e aziende, reperire dati utili ad anticipare le mosse dei concorrenti.
L’intelligence francese e britannica hanno fatto di tutto per mettere fuori gioco l’Italia dal futuro della Libia durante la guerra contro Gheddafi nel 2011 e ancor oggi MI6 e DGSE operano per consentire a Londra e Parigi di penetrare nella nostra ex colonia a scapito degli interessi italiani.
Dopo la strage di Parigi e di fronte alla minaccia jihadista tutti i Paesi europei devono affrontare un nemico comune ma per farlo utilizzano a volte strumenti diversi o perseguono interessi nazionali inconfessabili.
Per esempio tutte le ambiguità nella guerra allo stato Islamico sono state filtrate e gestite attraverso gli strumenti dell’intelligence e ai servizi segreti molti Paesi anche europei hanno affidato la gestione di forniture di armi finite poi in mano a qaedisti e Stato Islamico.
Sul fronte dell’antiterrorismo gli apparati di sicurezza puntano ad avere fonti o infiltrare loro uomini all’interno di cellule terroristiche e organizzazioni di supporto jihadiste ma spesso tali presenze non possono rischiare di venire “bruciate” girando informazioni ai colleghi di altri Paesi.
Anche sul fronte della sicurezza la Ue soffre il problema di aver abrogato le frontiere che limitavano i movimenti delle persone ma non i confini che delimitano gli interessi dei singoli Stati. Anche per questo i terroristi riescono talvolta a muoversi da un Paese all’altro più velocemente di quanto facciano le informazioni d’intelligence.
Foyo: Reuters, Ansa, AFP, AP, EMA
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.