Il Montenegro nella Nato: nuova mossa anti Russia

da Il Mattino

L’adesione dei piccolo Montenegro all’Alleanza Atlantica non inciderà sugli equilibri strategici globali ma nell’attuale situazione di tensione internazionale e di prolungato attrito tra Stati Uniti e Russia rischia di provocare un’ulteriore escalation della tensione.
Il tempismo con cui è stato ufficializzato l’invito a Podgorica a unirsi all’Alleanza Atlantica non poteva essere meglio calibrato se l’obiettivo era rendere ancora più difficili i rapporti con Mosca.

Da oltre un anno e mezzo la crisi ucraina ha determinato un clima da nuova guerra fredda tra Nato e Russia mentre il recente intervento militare di Mosca in Siria e l’abbattimento del bombardiere Sukhoi da parte di un caccia turco hanno contribuito a gettare benzina sul fuoco anche perché era dal 1950 che un velivolo russo non veniva abbattuto da un aereo di uno Stato membro della Nato.
Elementari ragioni di opportunità diplomatica e prudenza consiglierebbero la Nato a rimandare l’adesione del Montenegro, decisione che non muterebbe gli assetti strategici, non indebolirebbe l’Alleanza occidentale ma favorirebbe quei Paesi europei (Italia inclusa) impegnati a ricucire lo strappo con la Russia determinato dalla crisi a Kiev e dall’annessione della Crimea.

Non sembra quindi casuale che l’invito al Montenegro venga formalizzato proprio ora che la rinnovata minaccia dello Stato Islamico sembra favorire la cooperazione tra Russia e Occidente e la rimozione delle sanzioni che penalizzano le economie russa ed europea.

Con un po’ di malizia è facile pensare che l’invito al Montenegro punti a creare un clima sfavorevole alla nascita della nuova inattesa alleanza tra Russia e Francia contro lo Stato Islamico in Siria.

Un’ulteriore conferma che la Nato è sempre più speculare agli interessi degli anglo-americani, che nei loro documenti di dottrina militare continuano a sostenere che il nemico da cui difendersi è la Russia.

Un approccio sostenuto da alcuni Stati membri dell’Europa Orientale, tradizionalmente intimoriti dalle esibizioni muscolari russe, ma non certo dai partner europei storici dell’Alleanza.

L’ingresso del Montenegro nella Nato avrà ripercussioni anche nei Balcani rafforzando le pressioni sulla Serbia, ancora legata a Mosca da una solida amicizia e da stretti rapporti economici e militari più volte criticati da Washington.

Belgrado aveva perso il suo sbocco al mare nel 2006 con la secessione di Podgorica che aveva poi accentuato il distacco riconoscendo l’indipendenza del Kosovo.

Un gesto che aveva contrariato buona parte della popolazione montenegrina (non solo quel 29 per cento composto da serbi) nella quale, secondo i sondaggi, solo il 35 per cento è oggi a favore dell’adesione a un’alleanza che nel 1999 non esitò a bombardare pesantemente anche il Montenegro.

Il governo di Milo Djukanovic vede l’adesione alla Nato come un trampolino per la futura ammissione nella Ue (il Paese ha già adottato l’euro) ma al tempo stesso la gran parte degli investimenti stranieri vengono dalla Russia, primo partner commerciale di Podgorica.

Mosca potrebbe quindi utilizzare l’arma economica come rappresaglia sulla falsariga delle contromisure adottate in questi giorni con la Turchia.

Del resto il presidente della Commissione Difesa del Senato russo, Viktor Ozerov, non ha usato mezze misure nell’affermare ieri che “il Montenegro oggi diventa per la Russia un paese che è un membro potenziale della minaccia alla sua sicurezza” aggiungendo che l’ingresso di Podgorica nella Nato renderebbe “impossibili molti programmi che prima erano realizzati con la Russia, anche di cooperazione tecnico-militare”.

La percezione a Mosca è che l’iniziativa atlantica punti a erodere progressivamente quanto resta dell’influenza russa nei Balcani spostando ulteriormente a Est l’asse militare dell’alleanza, già impegnata a schierare truppe e mezzi nelle Repubbliche Baltiche, Polonia, Bulgaria e Romania.

Il Cremlino teme inoltre che la nuova adesione riapra quella corsa all’ampliamento della Nato che vede sospese le candidature di Bosnia, Macedonia, Georgia e Ucraina considerate (specie le ultime due) vere e proprie minacce alla sicurezza nazionale.

In prospettiva avere i montenegrini come alleati potrebbe rivelarsi un pessimo affare anche per l’Italia. La base navale di Bar, l’aeroporto di Golubovci o una delle quattro basi aeree militari oggi non più impiegate dalle piccole forze armate montenegrine potrebbero in futuro ospitare forze aeree e navali statunitensi oggi schierate in Italia, Spagna e Germania offrendo costi decisamente più contenuti.

In un clima internazionale dominato dall’ambiguità non si può infine escludere che l’invito della Nato al Montenegro sia una sfida ai russi tesa però a inserire ila questione in una trattativa più ampia in cui, per ipotesi, la freddezza sostanziale con cui Washington ha accolto le pretese turche di mobilitare gli alleati contro i russi in Siria possa venire barattata con una sostanziale accettazione da parte di Mosca del nuovo assetto geopolitico del Montenegro.
Un gioco al rialzo potenzialmente foriero di nuove escalation specie se la Russia dovesse accogliere la richiesta di Abdullah al-Thani, premier del governo libico legittimo (quello di Tobruk) che ieri ha invitato Mosca a mandare truppe e aerei in Libia per combattere lo Stato Islamico a Sirte.

Foto: NATO, Cremlino, Presidenza Montenegro

@GianandreaGaian

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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