Le énclaves europee del Jihad
Askanews – Francia, Belgio, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Svezia e Danimarca. E’ l’atlante, sicuramente in difetto, della Jihad in Europa. Una rete che ha delle vere e proprie roccaforti: intere aree urbane disseminate in decine di città del vecchio continente.
Una rete di quartieri dove regna un misto tra il caos e la Shariya islamica: insomma mini-emirati da cui organizzare attentati in tutta Europa e offrire rifugio a terroristi ricercati. Attacchi come quelli di ieri che hanno gettato nel terrore gli abitanti di Bruxelles.
In Europa ci sono non pochi Molenbeek, il quartiere di Bruxelles covo dei jihadisti che hanno messo a ferro e fuoco la capitale belga e prima quella francese: da Malmo, in Svezia al distretto di Kolenkit di Amsterdam per non parlare della miriadi di mini-califfati sorti nelle ‘banlieue’ in Francia e nel Londonistan.Quartieri dove i terroristi possono contare sulla protezione di legami familiari e dell’omertà se non la collaborazione di simpatizzanti della comunità islamica. Ma ecco la mappa della jihad in Europa Paese per Paese:
L’hub del terrore nasce in GRAN BRETAGNA, non a caso chiamata ‘Londonistan’. Una denominazione che va ben oltre la capitale per comprendere quartieri in quasi tutte le città del Regno Unito: da Liverpool e Manchester e Leeds, da Birmingham a Derby, e Bradford, oltre a Derby, Dewsbury, Leicester, Luton, Sheffield, per finire con Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della capitale.
Quartieri dove spesso si trovano dei cartelli che avvertono che “stai entrando in una zona controllata dalla sharia”.
Intere aree urbane dove esiste un lavoro capillare che si base sul dogma di “al Dawa w al Jihad”, ovvero il proselitismo e il combattimento: il proselitismo serve a raccogliere sempre nuove reclute per il Jihad, che è l’azione di sostegno alle attività jihadiste.
Il padre spirituale del reclutamento jihadista è stato lo sceicco Omar Bakri, oggi agli arresti in Libano.
Di origini siriane, al Bakri, aveva fondato “al-Muhajirun”, (I Migranti) un collettivo islamico radicale nato in Inghilterra a metà degli anni Novanta.
Numerosi adepti di questo collettivo sono divenuti nel tempo importanti personaggi del jihadismo mondiale, in particolare nelle file dell’Isis.
In FRANCIA vengono chiamate ‘Zus’, (Zones urbaines sensibles). Secondo le autorità di Parigi ce ne sono 751 in tutto il paese e ospitano almeno cinque milioni di musulmani.
Un’enclave jihadista tipica, secondo l’intelligenece, è Sevran: un comune nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, di 50mila abitanti con il 90% degli abitanti di origini straniere.
In Francia c’è anche una piccola cittadina che ha la più alta percentuale di foreign fighter del Paese:
Lunel, un borgo situato nel dipartimento dell’Herault nella regione della Linguadoca-Rossiglione con un quarto della popolazione immigrata. Da tempo nota per il Moscato e le corse dei tori, Lunel, è passata alle cronache come ”la fabbrica dell’odio” dopo che negli ultimi mesi almeno 20 dei suoi 25 mila abitanti sono andati a combattere in Siria e 8 di loro sono morti nei ranghi dell’Isis. Per dare un volto ai fantasmi della Francia è cruciale fare tappa in questo borgo tra Nimes e Montepellier da dove sono partiti uno ogni 100 jihadisti.
Il BELGIO ha una lunga lista di zone a rischio. A Bruxelles, dove il 20% della popolazione è di religione musulmana, esiste un intero quartiere – Molenbeek – “sottoposto alla Sharia”.
Qui nessuno, anche se non islamico, può bere o mangiare in pubblico durante il mese di digiuno il Ramadan, le donne sono “invitate” a indossare il velo e a non portare i tacchi. Bere alcool e ascoltare musica sono attività non gradite.
Agli angoli della strada un cartello giallo con scritta nera avverte che ci si trova in una “Sharia controlled zone”.
E più di una volta i giovani che vivono in questa zona hanno accolto con un lancio serrato di pietre le autovetture della polizia. Oltre Molenbeek a Bruxelles svetta Kuregem, un distretto di Anderlecht dove spesso
la polizia e gli assistenti sociali non osano neppure entrare. Da non dimenticare ‘Sharia4Belgium’, gruppo islamico radicale ritenuto il principale reclutatore di combattenti per la jihad in Siria.
Nel settembre 2014 viene aperto ad Anversa un processo contro 46 presunti membri del gruppo che si era sciolto nel 2012. Gli inquirenti ritengono che i suoi ex membri abbiano reclutato circa il 10% dei 300-400 belgi partiti per la Siria e che gravitavano attorno al gruppo salafita.
L’OLANDA ha una lista di 40 aree urbane off-limits. Il ‘problema numero uno’, è il distretto di Kolenkit, ad Amsterdam. Quindi, i quartieri di Pendrecht, Het Oude Noorden e Bloemhof di Rotterdam. Utrecht deve fare i conti con la zona di Ondiep. Nella capitale, l’Aia, il distretto di Schilderswijk è chiamata addirittura ‘sharia wijk’, dove aveva base il gruppo Hofstadt, che ha pianificato l’assassinio del regista Theo van Gogh.
Anche la DANIMARCA come un pò tutti i Paesi scandinavi deve fare i conti con il jihadismo diffuso. Nella capitale Copenaghen la zona controllata dalla “Shariya” è il sobborgo di Tingbjerg.
In SVEZIA la città più islamizzata è Malmo a sud proprio davanti a Copenaghen con il 30% della popolazione di fede musulmana. Il quartiere ghetto è per eccellenza Rosengaard, abitato da soli migranti e tappezzato da poster con la scritta: “Nel 2030 prendiamo il controllo”.
La GERMANIA che ospita un gran numero di migranti, non è stata toccata in modo grave dal terrorismo jihadista. Nella capitale Berlino esiste a Neukolln, uno dei più grande quartieri musulmani che viene chiamato, ‘la provincia ottomana’.
Di recente la polizia tedesca ha compiuto un raid a Neukolln per sventare i piani dell’Isis. Dopo gli attentati di New York dell’11 settembre, venne scoperta la cosiddetta ‘cellula amburghese’. Mohamed Atta e altri dei suoi 19 compagni implicati nell’attacco al Pentagono e alle due torri venivano dalla città anseatica.
Più che di quartieri in SPAGNA bisogna parlare di una intera regione chiamata ‘Xarq al Andalus’; ovvero il Levante Spagnolo, i territori che furono occupati dai conquistatori musulmani per quasi 5 secoli.
In Spagna fu il debutto in Europa dei jihadisti: nel marzo 2004 infatti in un attacco su grande scala persero la vita a Madrid circa 200 e altre 2.000 furono ferite.
I jihadisti credono ancora che ‘al-Andalus’, (il nome arabo di questi territori) persa dalle riconquiste cristiane appartenga di diritto al Califfato Islamico.
Negli ultimi dieci anni, le forze di sicurezza spagnole hanno arrestato 568 jihadisti in 124 operazioni separate. Le autorità di Madrid stimano in oltre 70 i jihadisti spagnoli partiti all’estero.
Secondo l’esperta di terrorismo Soren Kren, decine di jihadisti stanno entrando in Spagna dalla vicina Francia, dove ‘si sentono soffocati’ a causa del giro di vite del governo dopo gli attentati di Parigi. Attualmente sono almeno 50.000 i convertiti musulmani che vivono in Spagna.
La polizia dice che essi sono particolarmente vulnerabili alla radicalizzazione perché subiscono crescenti pressioni da parte degli islamisti che gli chiedono di compiere attacchi per dimostrare il loro impegno nella nuova fede.
Per molti analisti, il principale ispiratore degli euro-jihadisti è Abu Musab al Suri, il cui vero nome è Mustafa Nasser Setmariam (nella foto con Osama bin Laden..
Nato in Siria, cittadino spagnolo, ha vissuto a lungo a Londra dove collaborava con gli estremisti algerini. Al Suri è sostenitore della ‘Jihad individuale’ attraverso ‘cellule piccole, completamente separate’ per ‘condurre la resistenza”. Abu Musab al Suri è autore di vari testi, come la ‘Resistenza islamica internazionale’ e ‘Gestione della Ferocia’.
Quest’ultimo è un volume che è stato tradotto in lingua inglese dal Pentagono: un libro che propone un modello di jihad del post 11 settembre che teorizza ‘il jihad diffuso’. Lo stesso autore presenta il suo libro così: ‘Creare il caos in un dato Paese o in una zona precisa, in modo da far soffrire gli abitanti locali creando così le premesse per far perdere il controllo alle autorità e una ripartizione della società.
Foto: Getty Images, AFP, EFGE, AP, Reuters
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