ROMA SCHIERA IN IRAQ FORZE DA COMBATTIMENTO

E’ iniziato intorno al 10 aprile l’afflusso a Erbil del nuovo contingente messo in campo dalla Brigata aeromobile “Friuli”, che l’Italia ha deciso di inviare nel Kurdistan iracheno per rafforzare il suo contributo alla lotta allo Stato Islamico.

La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi dall’agenzia Il Velino che ha citato fonti curde. Due dei 4 elicotteri NH-90 previsti sono già in teatro operativo insieme agli equipaggi e stanno effettuando attività di ambientamento insieme a parte del personale assegnato alle operazioni di “Personnel Recovery”, recupero di militari o civili in zone di combattimento, le cosiddette “aree non permissive”.

L’annuncio della partenza del contingente composto da 130 militari (incluso un plotone di fanteria aeromobile del 66° reggimento Trieste) e 8 elicotteri (4 elicotteri NH-90 e 4 AW-129 Mangusta) del 7° reggimento Vega era stato dato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti il 2 febbraio a chiusura del vertice degli Stati membri della Coalizione.

L’unità aeromobile rimpiazzerà in questo ruolo un reparto statunitense che però non disponeva di elicotteri da attacco.

Verso la diga

Truppe italiane in movimento anche alla Diga di Mosul dove è giunta una squadra di militari per effettuare ricognizione e presa di contatti con le forze curde che presidiano la grande infrastruttura in vista dello schieramento delle truppe che garantiranno la sicurezza al cantiere e ai tecnici della Trevi.

La notizia l’ha appresa nei giorni scorsi l’ANSA da fonti locali sottolineando che “si tratta  di una squadra mandata in avanscoperta per raccogliere informazioni in vista dello schieramento del contingente”.

Il 15 aprile la tv satellitare al Arabiya e il sito al-Wartan News hanno invece riferito dell’arrivo presso la diga di “tecnici che provvederanno ad approntare un campo che ospiterà un gruppo di ingegneri della ditta Trevi il cui arrivo è previsto nelle prossime settimane”.

La forza militare italiana che sarà inviata dovrebbe essere composta di circa 450 militari Secondo quanto si apprende da fonti della Difesa, il team che ha compiuto il sopralluogo a Mosul è di stanza ad Erbil, dove è schierato il contingente italiano dell’operazione Prima Parthica.

Alcuni militari di questo contingente già da tempo stanno svolgendo attività di ricognizione presso la diga per esigenze di carattere logistico e operativo. Già nello scorso dicembre un primo ‘advanced team’ italiano si era recato a Mosul con questo scopo.

Fonti irachene hanno inoltre rivelato ad Analisi Difesa che i militari italiani forniranno la sicurezza all’intera area della diga mentre la protezione ravvicinata al personale italiano della Trevi sarà affidata a contractors della società britannica Pilgrims, presente da ben 12 anni in Iraq e che ha il 27 febbraio scorso ha visto rinnovata la sua licenza operativa dal Ministero degli Interni di Baghdad.

“Non è un cantiere come gli altri, lo sappiamo bene. Non abbiamo mai lavorato in una zona di guerra. Eppure in azienda c’è chi si è offerto volontario” ha detto Stefano Trevisani (nella foto a sinistra), amministratore delegato del Gruppo Trevi, in un’intervista al Quotidiano Nazionale.

“I lavori dureranno un anno e mezzo, fino a ottobre dell’anno prossimo. Gli italiani saranno una settantina, i locali almeno 250. Poi stranieri di altre nazionalità. Il cantiere sarà pienamente operativo da metà settembre e e riprenderemo la manutenzione che si faceva prima, certo con tecnologie più all’avanguardia”- ha aggiunto.

Perplessità

Il dispositivo militare che l’Italia sta mettendo in campo non sembra essere compatibile, neppure in termini finanziari, con il contratto ricevuto dalla Trevi di circa 300 milioni di dollari (non i 2 miliardi annunciati nel dicembre scorso da Matteo Renzi).

L’azienda romagnola effettuerà quindi lavori di consolidamento dell’opera che porteranno a un incasso inferiore al costo dell’operazione militare di protezione della diga messo in atto dall’Italia.

Quasi superfluo sottolineare che la commessa gonfierà il fatturato della Trevi mentre le spese per il contingente saranno a carico del contribuente italiano. Inoltre sono davvero molte le aziende italiane che operano in aree rischiose del mondo ma non possono contare sulla protezione delle nostre forze armate.

E’ possibile che all’attuale contratto ne facciano seguito altri ma la motivazione di schierare un battaglione di bersaglieri della Brigata Garibaldi con, a quanto pare, cingolati Dardo, carri Ariete e forse artiglieria (semoventi Pzh-2000 il cui impiego nella missione potrebbe essere oggetto di ripensamenti) per proteggere 70 tecnici e ingegneri italiani non regge.

Del resto la Diga di Mosul non pare realmente minacciata dallo Stato Islamico le cui milizie sembrano aver perso slancio sul fronte di Mosul mentre nel breve periodo in cui hanno controllato l’infrastruttura, nell’estate 2014, non fecero nulla per distruggerla.

Quali obiettivi reali?

Anche circa l’urgenza dei lavori di consolidamento dell’infrastruttura vi sono punti di vista molto diversi.
Secondo Washington l’intervento della Trevi è urgentissimo perché la diga sarebbe sul punto di crollare già questa primavera.

Un allarmismo reiterato in modo insistente persino con documenti posti sul sito internet dell’ambasciata statunitense a Baghdad (con valutazioni catastrofiche di oltre un milione di morti in caso di crollo) ma decisamente respinto dal governo iracheno che parla di manutenzione necessaria ma non urgente e sottolinea soprattutto l’assenza di rischi.

Un reportage del settimanale “oggi” mostrava il 22 marzo scorso un clima decisamente tranquillo presso la diga di Mosul, con gente addirittura intenta a fare il picnic:  “Lavoro qui da 34 anni e questa diga la conosco come se fosse mia. È un sistema complesso, è vero, e la presenza dello Stato Islamico qui a pochi chilometri non è rassicurante, ma non ci sentiamo in pericolo imminente” ha detto il vicedirettore della struttura, Muhsim Hasan.

Ad aprile e maggio il livello delle acque e la conseguente pressione sulla struttura dovrebbero aumentare ma i lavori di consolidamenti inizieranno solo a settembre mentre resta da capire quanto davvero sia imminente la battaglia per la liberazione di Mosul, ancora sotto il controllo dell’Isis.

Il fronte dista meno di dieci chilometri dalla diga  e se davvero l’attacco  a Mosul venisse scatenato la prossima estate le truppe curde, combattive ma equipaggiate in modo leggero, potrebbero avere bisogno di un supporto di fuoco maggiore di quello assicurato dalle scarse incursioni aeree statunitensi e alleate.

Verso un ruolo “combat” dell’Italia?

Una ragione in più per sospettare che il ruolo del contingente italiano, con i suoi mezzi pesanti, forse persino l’artiglieria e il supporto degli elicotteri da attacco Mangusta, abbia più lo scopo di appoggiare l’offensiva dei peshmerga su Mosul che quello di difendere la diga.

Gli AW-129 sono gli unici elicotteri da combattimento schierati dalla Coalizione in Iraq insieme a uno squadrone di AH-64D Apache statunitensi di cui ieri il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha annunciato il 19 aprile il dispiegamento a sostegno delle operazioni nel settore di Mosul. Una coincidenza?

Sembra quindi probabile che si prepari un nuovo ruolo nuovo per le forze italiane assegnate alla Coalizione, circa 850 militari (destinati a salire a 1.300 con le truppe destinate a presidiare la diga) finora impiegati solo in compiti addestrativi (esercito e carabinieri) anche se unità di forze speciali sono aggregate a reparti iracheni in prima linea mentre i velivoli dell’Aeronautica (un tanker KC-767A, 2 droni Predator e 4 bombardieri Tornado) operano sull’Iraq privi di bombe e missili.

Del resto Barak Obama, che da tempo preme per un maggiore impegno di Roma contro l’Isis, dall’Iraq alla Libia, ha “preteso” da Matteo Renzi l’intervento italiano presso la diga annunciandolo pubblicamente nel dicembre scorso e costringendo così un imbarazzato premier italiano a spiegare la nuova missione a “Porta a Porta”.

@GianandreaGaian

Foto: Aviation Batallion Isaf RCW, Operazione Prima Parthica, Operazione Antica Babilonia, Reuters, AP e Gruppo Trevi

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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