Cosa farà Pechino coi 24 Su-35 acquistati in Russia?

Secondo il quotidiano China Daily, alla fine dello scorso anno l’Aviazione militare cinese ha ricevuto dalla Russia, in anticipo rispetto a quanto preventivato, i primi quattro caccia Sukhoi Su-35 “Flanker-E” dei 24 esemplari ordinati nel novembre del 2015  (risultato di ben cinque anni di negoziati tra Pechino e Mosca) per un contratto del valore di 2 miliardi di dollari.

I quattro caccia sembrerebbe siano stati consegnati lo scorso Natale presumibilmente sulla base aerea di Suixi nella provincia di Guandong, ovvero la base aerea più vicina al Mar Cinese meridionale.

L’ordine dei nuovi Su-35 (che ha costituito la prima vendita all’estero dei “Flanker-E”) ha insinuato molti dubbi agli analisti militari circa la condotta dei cinesi sulle nuove tecnologie che andrebbero ad acquisire: in ballo ci stanno infatti il radar del Su-35 Irbis-E, il sistema IRST (Infra-Red Search and Track) OLS-35 e, dulcis in fundo, il propulsore del caccia russo, il  Saturn AL-117S.

Sembra chiaro infatti che i nuovi caccia di quinta generazione cinese quali i Chengdu J-20 e lo Shenyang J-31, al di là dei voli di prova e degli esemplari finora costruiti, secondo gli esperti avrebbero ancora un grosso tallone d’Achille rappresentato proprio dai propulsori non maturi ad un contesto tecnologico richiesto da un caccia di quinta generazione.

Accaparrata tale tecnologia (qualora riuscissero davvero ad estrapolare quanto ritenuto necessario), i cinesi otterrebbero un triplice scopo: superare il Su-35 per qualità complessive, rendere contemporaneamente eccellenti i loro caccia di quinta generazione J-20/J-31 e chiudere definitivamente con la dipendenza dalla Russia riguardo eventuali future commesse in campo aeronautico, ma soprattutto nel campo dei propulsori aeronautici.

Riteniamo tuttavia che non saranno i propulsori dei Su-35 a far ottenere a Pechino il balzo di qualità necessario affinché i loro caccia di quinta generazione siano superiori al Su-35 stesso.

In primo luogo perché un caccia di quinta generazione dovrebbe mostrare le sue qualità rapportandosi con velivoli pari categoria (ad esempio con gli F-22 e gli F-35 statunitensi, il T-50 russo o con l’ancora prototipo giapponese Mitsubishi X-2 Shinshin).

Poi un velivolo di quinta generazione non può assolutamente misurare la sua superiorità solo sulla base di un propulsore moderno, silenzioso, ecologico e/o affidabile, basti vedere ad esempio i numerosi problemi di software e hardware tutt’altro che relativi ai propulsori che hanno costellato lo sviluppo dei caccia americani F-22 e F-35.

Un caccia di quinta generazione non è soltanto una “stealthness” elevata (con ricorso alle stive armi interne) o la supercrociera dei suoi propulsori, ma un insieme di moderni ritrovati della tecnologia che spesso faticano a coordinarsi tra di loro.

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Come se non bastasse poi il Saturn AL-117S (o Al-41F1S) in dotazione ai Su-35 è un motore certamente interessante per la tecnologia cinese ma non è un progetto innovativo adatto ad un caccia di quinta generazione, tanto che il derivato per il T-50 russo designato Izdeliye 30 è ancora in fase di sviluppo.

Quest’ultimo dovrebbe iniziare le prove di volo a bordo dell’aeromobile nel quarto trimestre del 2017 e dopo il superamento dei test di Stato entrare in produzione entro la fine del 2020.

Ma non sono queste le uniche limitazioni: secondo esperti russi e internazionali i moderni motori a reazione sono estremamente ostici da analizzare e una loro apertura comprometterebbe l’intero funzionamento del propulsore senza contare inoltre i cicli di produzione estremamente complessi del Saturn AL-117S come ad esempio le saldature ad arco in atmosfera inerte, l’isolamento termico della camera di combustione che avviene con l’uso di particolari robot che ne garantiscono precisione e sicurezza, la specializzazione e la qualificazione degli operai che installano manualmente parte della componentistica non assemblabile con macchinari di nessun tipo, le leghe speciali delle palette, etc. tutti fattori che l’industria cinese potrebbe avere serie difficoltà a replicare.

A tal proposito si è espresso il tenente generale in pensione Evgeny Petrocvich Buzhinsky, Presidente del Consiglio esecutivo del Pir Center (un’organizzazione non governativa russa leader specializzata nello studio delle questioni di sicurezza globale), secondo il quale “abbiamo firmato coi cinesi un accordo circa la tutela della proprietà intellettuale, accordo che per inciso è stato un prerequisito per la fornitura di Su-35 alla Cina. Ad ogni modo – ha proseguito Buzhinsky –  i cinesi non possono produrre il motore del Su-35 poiché i miei colleghi del settore tecnico-militare hanno riferito che è praticamente impossibile giungere al “core” del propulsore senza rovinare definitivamente il motore stesso. Infine – ha proseguito Buzhinsky- come se non bastasse, è quasi certo che nonostante il nome identico che accomuna le versioni russe e cinesi del caccia in essere, ed in virtù dei precedenti avvenuti con la Cina, gli esemplari da esportazione abbiano sensibili differenze con quelli forniti ai reparti di volo russi”.

Certamente come abbiamo ribadito su Analisi Difesa nel luglio del 2010 nell’articolo “Le difficoltà dello Shenyang J-15”, già in passato i cinesi hanno mostrato di saper clonare discretamente buona parte di un velivolo; lo stesso caccia imbarcato Shenyang J-15 fu sviluppato nel 2001 in Cina attraverso l’acquisto di un esemplare di Su-33 dall’Ucraina, che diventò così la base di progettazione per quello che venne definito dalla stampa specializzata occidentale come un clone del  caccia imbarcato russo Su-33.

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Tuttavia anche lo stesso J-15 è stato spesso ritenuto inferiore al Su-33 per numerosi motivi legati agli apparati di produzione locale e agli stessi propulsori e ad ogni modo stiamo parlando di un velivolo che incorpora un’avionica risalente alla fine degli anni ’70 e il cui ingresso nell’Aviazione Navale russa risale ad oltre venti anni fa.

Resta tuttavia aperta la questione a cosa effettivamente servano 24 Su-35 all’Aeronautica Militare di Pechino. Secondo Andreas Rupprecht in un intervista a Defense News, lo stanziamento dei nuovi Su-35 nella base aerea di Suixi suggerisce la possibilità che gli stessi possano agire come caccia da scorta a lungo raggio per i bombardieri H-6K operanti in tutto il Mar Cinese Meridionale (e da qui si potrebbe pensare anche alla vicinanza con le Isole Spratly, contese tra diverse nazioni presenti nella regione e distanti 1300 chilometr ) o persino nelle vicinanze delle acque territoriali giapponesi.

E nel contrasto Cina – Vietnam è necessario citare la recente partnership tra quest’ultimo e l’India: Hanoi potrebbe ottenere da Nuova Delhi nientemeno che i missili da crociera BrahMos o i missili terra-aria Akash, rendendo plausibile l’ipotesi di Rupprecht.

Va poi ricordato che la collaborazione tra i due paesi sfociata nell’addestramento al volo dei vietnamiti da parte dei piloti indiani sui Su-30 in dotazione ai due paesi recentemente esaminata da Analisi Difesa.

Queste manovre comuni danno l’impressione che l’asse Nuova Delhi – Hanoi punti a rintuzzare le mire espansionistiche di Pechino nella regione del sud-est asiatico.

La possibilità di rifornimento in volo, sempre secondo Rupprecht, dei Su-35 con l’ausilio della piccola flotta di aerocisterne Il-78 acquistate dall’Ucraina, moltiplica il fattore di forza prima demandato proprio agli Shenyang J-11B della Navy cinese che fino ad ora avevano la responsabilità primaria su tutta l’area evidenziata dall’analista e che adesso potrebbero avere più libertà d’azione lungo le coste del paese asiatico.

Infine, potremmo considerare concludendo anche il salto di qualità che i piloti cinesi avrebbero nel passaggio dai Su-27/J-11 ai caccia di quinta generazione J-20/J-31; in questo caso il gap eccessivo e radicale potrebbe essere colmato con l’utilizzo da parte dei primi piloti di un caccia di generazione “4++” come il Su-35, un velivolo decisamente più moderno e tecnologico del vecchio Su-27/J-11.

Foto Sukhoi

Maurizio SparacinoVedi tutti gli articoli

Nato a Catania nel 1978 e laureato all'Università di Parma in Scienze della Comunicazione, ha collaborato dal 1998 con Rivista Aeronautica e occasionalmente con JP4 e Aerei nella Storia. Dal 2003 collabora con Analisi Difesa occupandosi di aeronautica e industria aerospaziale. Nel 2013 è ospite dell'Istituto Italiano di Cultura a Mosca per discutere la propria tesi di laurea dedicata a Roberto Bartini e per argomentare il libro di Giuseppe Ciampaglia che dalla stessa tesi trae numerosi spunti. Dall'aprile 2016 cura il canale Telegram "Aviazione russa - Analisi Difesa" integrando le notizie del sito con informazioni esclusive e contenuti extra provenienti dalla Russia e da altri paesi.

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