La competizione in Asia tra Cina e India

Mentre gli occhi della stampa internazionale restano puntati sugli sviluppi in Corea del Nord e Medio Oriente, poca attenzione viene data al progressivo deteriorarsi delle relazioni tra le due superpotenze asiatiche, Cina e India. Le relazioni tra le due sono tese fin dagli anni ’60 ma dagli ultimi mesi a questa parte il precipitare degli eventi lascia intravedere qualcosa di più che semplici dissapori storici.

Assistiamo infatti a una vera e propria escalation di tensioni che potrebbero condurre allo scoppio di un conflitto su scala regionale o potenzialmente più ampia. Curiosamente, l’inasprirsi delle relazioni avviene nel momento in cui a sorpresa (secondo alcune fonti) l’India avrebbe colmato il divario demografico che la separava dal rivale cinese. La popolazione indiana avrebbe recentemente sorpassato quella del dragone: 1,33 miliardi di abitanti rispetto ai 1,30 miliardi di cinesi.

Lo scioglimento di questo tabù si accompagna ad un intrecciarsi di dinamiche geopolitiche di carattere locale, regionale e globale sempre più complesso. Da un punto di vista della sicurezza internazionale, cinque sono le aree che animano le discussioni sulla relazione strategica sino- indiana: la corsa agli armamenti, le relazioni cinesi sia terrestri che marittime con l’Asia meridionale, le partnership scomode, la competizione per le risorse energetiche ed il contenzioso sui confini.

Questi fattori, tra loro correlati, sono capaci di determinare la natura della relazione. Tutte e 5 le variabili portano a pensare ad una coesistenza sempre più competitiva tra i due colossi asiatici. Se gli esiti sono incerti e gli intrecci non tutti prevedibili, di certo basta guardare ai recenti sviluppi per capire che i rapporti tra Pechino e Nuova Delhi hanno raggiunto uno dei livelli più bassi degli ultimi anni.

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Fa da sfondo la crescente militarizzazione, sia all’interno dei due paesi sia nella relazione. Un indicatore è dato dalla crescita dei budget militari in entrambi i paesi. I recenti dati del SIPRI mostrano un aumento dei bilanci per le forze armate: 215 miliardi di dollari per la Cina nel 2016 e 56 per l’India.

L’India è stata il maggior importatore d’armi nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2016; la Cina si colloca invece al quarto posto, essendo diventata capace di produrre molti sistemi internamente e importando ormai solo componenti chiave.

La Cina dispone anche di migliaia di moderni jet da combattimento compresi cacciabombardieri stealth (a bassa visibilità radar) e di una marina militare con crescenti capacità oceaniche.

L’India si colloca al quinto posto nel mondo per investimenti nel settore militare, sia per l´arsenale nucleare con i missili intercontinentali, sia per modernissime armi convenzionali. Il programma di acquisizione di 120 caccia invisibili Sukhoi PAK T-50 di produzione russa, a cui ha lavorato un team di ingegneri aereonautici indiani, testimonia le crescenti ambizioni militari e industriali di Delhi.

La Cina appare però sempre almeno un passo avanti, sia nella strategia terrestre che in quella marittima. Il crescente potere navale cinese si è manifestato con tutta la sua prepotenza a luglio, quando la Cina ha cominciato a trasferire uomini e mezzi nella sua prima base militare permanente all’estero, a Gibuti, dove anche gli Stati Uniti hanno l’unica base permanente di tutta l’Africa (Camp Lemonier).

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Benché Pechino abbia tentato di limitare queste preoccupazioni definendo quella di Gibuti una “base logistica e di supporto”, l’apertura ha ovviamente implicazioni rilevanti per lo scomodo vicino, oltre che per tutti i paesi preoccupati dall’espansione degli interessi cinesi in Asia e in Africa.

Già a marzo 2017 circolava la notizia secondo cui la Cina avrebbe aumentato le dimensioni della sua forze anfibie a sei brigate con centomila «marines» strutturate per la proiezione internazionale.

Le forze armate cinesi impiegano oggi 2,26 milioni di personale attivo, quelle indiane 1,3 milioni, anche se le componenti della Riserva sono quasi il doppio di quelle cinesi.

In termini di numeri, l’aeronautica militare indiana non regge il confronto con quella cinese. L’India sta però costruendo la sua terza portaerei ed i margini di divario sembrano ridursi, tanto che il PowerIndex vede la Cina al terzo posto e l’India al quarto in termini di potenza militare globale.

 

Il gioco delle alleanze

Recentemente, la Cina ha cercato di contrastare il vantaggio di Nuova Delhi in Asia meridionale attraverso la stipula di vari accordi di difesa e cooperazione nella regione. Ricordiamo ad esempio che la Cina è il secondo fornitore di armi al Bangladesh.Le relazioni India-Cina si inscrivono anche necessariamente in un complesso gioco di equilibri in cui gli USA e la Russia giocano la parte del leone. Su un tavolo a quattro, i sodalizi sono fragili e mutevoli: USA e India versus Cina quando si parla della Road and Belt Initiative e della base cinese a Gibuti; India e Russia di fronte alla Cina quando si parla di Pakistan; una soft alliance Cina e Russia quando si parla della presenza statunitense in Asia.

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Mosca intrattiene stretti rapporti sia con Cina che India nel settore strategico ed è il principale fornitore di armi sia alla Cina che all’India. Con quest’ultima nel 2016 avrebbe raggiunto un accordo per l’organizzazione di manovre militari congiunte mentre il sodalizio con la Cina è certamente più avanzato grazie anche alle esercitazioni congiunte nel porto di Baltijsk della scorsa estate e alle esercitazioni «Marine Interaction-2017» svoltesi in settembre coinvolgendo la Flotta Russa del Pacifico.

Gli interessi strategici divergenti si palesano in partnership strategiche: l’India ha intensificato le sue esercitazioni militari con Stati Uniti e Giappone, pur mettendo al primo posto l’indipendenza strategica – come confermano appunto le forniture di equipaggiamenti militari da parte della Russia – mentre sono soprattutto i rapporti sempre più stretti tra Cina e Pakistan a creare sospetto e tensione tra i due colossi asiatici.

Il riferimento è in particolare a CPEC, il maxi progetto di corridoio Cina-Pakistan parte della Belt and Road Initiative. Più in generale, dal punto di vista economico, e soprattutto bancario, il Pakistan sta diventando quasi un satellite cinese. L’India rifiuta fermamente ogni coinvolgimento in ogni progetto infrastrutturale cinese che vede come una pericolosa minaccia geopolitica ai suoi interessi in Asia.

Nuova Delhi ha trovato un valido interlocutore nel Giappone: dall’Africa Connectivity Corridor terrestre e marittimo, al progetto di corridoi dalla costa dell’Iran all’Afghanistan e Asia Centrale, ai progetti di connettività est- ovest tra il Sud ed il Sud Est asiatico, Tokyo è sempre a fianco di Nuova Delhi.

La marina cinese si sta espandendo molto rapidamente ed i porti in Sri Lanka e Pakistan, realizzati con cospicui investimenti cinesi, non aiutano a placare i sospetti reciproci.

 

Le dispute territoriali

Ma Pechino e Delhi hanno soprattutto dispute territoriali in corso che riguardano essenzialmente la provincia dell’Arunachal Pradesh e la regione del Doklam. Ed è proprio da quest’ultima che sono scoppiate ostilità che hanno portato sull’orlo di una guerra sull’Himalaya.

La scorsa estate, per 10 settimane, le rispettive truppe si sono trovate schierate nell’area di Doklam, o Donglang in cinese, in prossimità del confine tra la Cina e il Buthan.

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Il pretesto della disputa è stato l’inizio della costruzione di una strada asfaltata da parte della Cina. Secondo Nuova Delhi, e secondo lo stesso staterello himalayano, la sovranità e l’integrità territoriale del Buthan sarebbero state violate. Il progetto modificherebbe potenzialmente lo status quo nella regione e condurrebbe a seri problemi per la sicurezza dell’India, oltre a violare palesemente gli accordi sino – indiani del 2012.

L’India è venuta in soccorso del Bhutan, la cui politica estera è legata a quella di Delhi in virtù del trattato del 1947, e ha schierato le sue truppe sul confine con la Cina, con l’obiettivo di impedire la costruzione dell’infrastruttura, fatto a cui la Repubblica Popolare Cinese ha risposto con il posizionamento di proprie forze militari.

Il Bhutan, pur essendosi aperto economicamente alla Cina, è rimasto sempre fedele all’India e non solo formalmente, come testimonia la decisione di non prendere parte al progetto «One Belt One Road».

Le tensioni tra Cina e India sul confine con il Buthan, per il momento rientrate, potrebbero continuare a crescere nei prossimi mesi. Sebbene la regione sia di scarso appeal per la comunità internazionale, il conflitto sembra uno dei più significativi degli ultimi anni, sia per gli attori coinvolti che per la dinamica.

Le parti impegnate ad ammassare truppe alla frontiera ricordano i conflitti convenzionali dei tempi andati, ma non per questo meno pericolosi delle guerre non territoriali. Il 15 agosto truppe indiane e cinesi si sono scontrate vicino al lago Pangong, nelle montagne del Ladakh.

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La notizia è passata quasi inosservata per cui sia nell’Aksai Chin che nell’Arunachal Pradesh sono state mobilitate forze militari. Gli «sconfinamenti» cinesi in entrambe le zone sarebbero comunque in aumento già da anni.

Il clima di ostilità ricorda ormai quello che aveva preceduto l’unico anno in cui le due potenze asiatiche si sono sfidate militarmente, il 1962, in concomitanza con la crisi dei missili di Cuba. Proprio Nell’Arunachal Pradesh e nell’Aksai Chin si combatté tra il giugno e il novembre di quell’anno una guerra ad alta quota che provocò oltre 2000 morti.

Anche se non è intenzione di Delhi trasformare le ostilità in un conflitto imponente, il confronto militare non potrà essere facilmente riparato, come afferma Brahma Chellaney, uno dei maggior geostrateghi indiani. Del resto la storia cinese sotto il PCC dimostra che Pechino non si è mai ritirata se non per aprire poi un nuovo fronte nella stessa o in un’altra area.

Il giorno della fine delle ultime ostilità, il 28 agosto, sul China Daily si affermava la necessità di «farla pagare all’intransigenza indiana». Pechino non ha avuto altra scelta che negoziare, ma sicuramente non dimenticherà facilmente l’episodio, il primo in cui una potenza rivale osa sfidarla apertamente in un territorio conteso.

Secondo Chellaney, è chiaro anche che l’India è stata il bersaglio della Three Warfares Doctrine, approvata nel 2003 dalla Commissione Militare Centrale e guida concettuale per le operazioni di informazione dell’Esercito di Liberazione del Popolo, che si basa su 3 pilastri: l’uso coordinato di operazioni psicologiche; la manipolazione dei media e una sorta di guerra legale designata per manipolare strategie, politiche di difesa e percezioni all’estero.

Ovviamente, la disputa tra India e Cina sul confine tra Cina e Bhutan nasconde profonde ragioni strategiche per entrambi i paesi: Pechino tenta di aumentare la sua influenza sull’Asia Centrale tramite i grandi progetti infrastrutturali, i cui fedeli pilastri sono Belt and Road.

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La Belt and Road Initiative, nuova versione della via della seta terrestre e marittima, è sicuramente il più grande progetto infrastrutturale mai concepito, suscettibile di modificare gli equilibri geopolitici mondiali.

Per quanto sussistano dubbi riguardo alla capacità finanziaria di portarle a termine le opere sono in corso di realizzazione senza sosta da 2 anni e mirano a collegare la Cina a paesi, strade, pipelines fuori dall’orbita tradizionale di influenza.

L’India teme la crescita di potere della Cina in Asia e il suo impatto, sempre più grande, su paesi che storicamente sono stati sotto l’ala protettrice dell’India o che sono i suoi più prossimi vicini.

L’importanza della remota regione del Doklam non va sottovalutata, essa costituisce un interesse di sicurezza vitale per Nuova Delhi, un vero e proprio punto di snodo e collegamento tra gli stati nordorientali dell’India ed il resto del paese. Anche il controllo strategico sul Buthan è di primaria importanza per Nuova Delhi, così com’è importante che rimanga fuori dalla « !morsa » di « One Belt One Road ».

Pechino, dopo l’intrusione poco gradita, ha anche implicitamente messo in dubbio la sovranità dell’India sul 45% del Jammu e del Kashmir sotto controllo indiano e ha ridotto ufficialmente il confine che separa Jammu e Kashmir indiani da quelli cinesi. Anche la presenza militare cinese sul territorio del Jammu e del Kashmir pakistano, per esercitazioni o addestramento con le forze di Islamabad, sta aumentando persino in prossimità della linea di armistizio con l’India.

 

Sfida nel Mar Cinese Meridionale

La reazione indiana nell’Himalaya va del resto collegata anche all’evoluzione degli equilibri nel Mare Cinese Meridionale. Già da anni negli arcipelaghi della Spratly e delle Paracels, la cui sovranità è contesa (rispettivamente tra Cina, Malesia, Filippine, Taiwan e Vietnam e tra Cina, Taiwan e Vietnam) Pechino ha cercato di consolidare la propria posizione usando la mano pesante per modificare lo status quo a suo favore a partire dalla costruzione di infrastrutture che sono poi state affiancate da basi militari. A fine luglio Pechino ha firmato con lo Sri Lanka un accordo per l’uso del porto di Hambantota, anche se Colombo ha negato alla Cina la proprietà totale, venendo incontro alle pressioni di USA e India.

Tra isole artificiali e basi, i cinesi sono in grado di coprire tutto il Mare Cinese Meridionale. Ancora tempo fa l’India si era pronunciata, anche se in maniera cauta, in modo critico rispetto alle politiche cinesi nel Mar Cinese Meridionale, che non dovrebbe essere interessato da “interferenze nazionali”.

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Per ripicca, la Cina aveva posto obiezioni all’esplorazione di gas da parte della compagnia petrolifera indiana statale ONGC Videsh nel blocco operativo 127, vicino al Vietnam. La stessa compagnia a luglio ha firmato un accordo per l’acquisizione di una quota di partecipazione del 50 per cento nei due blocchi di PetroVietnam nel Mare Cinese Meridionale. Fatto che sicuramente non avrà fatto piacere a Pechino.

Di fronte all’impasse della comunità internazionale al riguardo che sancisce l’implicita accettazione dello status quo nel Mar cinese Meridionale, l’India si è trova costretta ad intervenire per arginare i movimenti cinesi in Asia del Sud.

Delhi ha già cominciato a pagare il tributo per il confronto con Pechino. La Cina ha infatti recentemente negato di condividere con l’India alcuni dati idrologici che avrebbero potuto prevenire o alleviare le conseguenze delle alluvioni recentemente verificatisi nello stato dell’Assam e che sarebbe stata obbligata a fornire in virtù della Convenzione ONU sui corsi d’acqua internazionali di cui è parte. Il Global Times attribuisce esplicitamente il mancato trasferimento dei dati all’infrangimento da parte dell’India della sovranità territoriale cinese (nel Buthan).

Secondo quanto riportato da un membro dell’esercito cinese stesso dopo gli scontri, la situazione nell’Himalaya diverrà simile a quella nel Kashmir.

La logica bipolare in Asia si fa sempre più netta mentre la diplomazia ufficiale si rivela assai poco efficace se non completamente assente. A fine novembre, le forze armate cinesi hanno affermato che manterranno una cospicua presenza vicino all’area dove sono avvenuti gli scontri l’estate scorsa. Il fatto che la notizia arrivi alle soglie della stagione più rigida, lascia presagire che 1.600-militari stanziati abbiano hanno ormai stabilito una base permanente. Il 30 novembre il portavoce del ministro della difesa conferma i sospetti affermando che «il Donglang è territorio cinese».

 

Foto : Tibet Digital Time, India Tiday, South China Morning Post e AFP

Classe 1983, Master in Relazioni Internazionali e Dottorato di Ricerca in Transborder Policies IUIES, ha maturato una rilevante esperienza presso varie organizzazioni occupandosi di protezione internazionale delle minoranze, politica estera della UE e sicurezza internazionale. Assistente alla cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali e Politica Internazionale presso l'Università di Trieste, ricercatrice post-dottorato presso il Centro di Studi Europei presso l'Università Svizzera di Friburgo, e junior member presso la Divisione Politica Europea di Vicinato al Servizio Europeo per l'Azione Esterna. Lavora attualmente presso Small Arms Survey a Ginevra come Ricercatrice Associata.

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