La Bosnia esporta armi in gran parte dirette ai ribelli siriani
L’anno scorso la Bosnia-Erzegovina ha registrato un aumento del 13,3% nelle esportazioni di armi e munizioni che hanno raggiunto un valore di 193,9 milioni di marchi bosniaci convertibili, circa 99 milioni di euro.
I dati, emersi dalla Camera per il commercio estero del Paese balcanico, sono rilevanti per un piccolo paese la cui produzione militare è limitata per lo più ad armi e munizioni leggere di origine jugoslava e mutuate dalle tipologie più conosciute di armi sovietiche, dai fucili d’assalto della famiglia kalashnikov, lanciarazzi Rpg, mortai…..
Armi rustiche, affidabili ma non certo l’ultimo grido in fatto di hi-tech, per questo non stupisce che tra i clienti dell’industria bellica di Sarajevo vi sia l’Afghanistan, che negli ultimi anni ha fatto incetta di armi (come l’Iraq) negli arsenali ex sovietici dei Paesi dell’Est Europeo). Sorprende invece che i principali acquirenti siano Arabia Saudita e Stati Uniti seguiti da Turchia ed Emirati Arabi Uniti.
Paesi che guidano le classifiche delle spese militari e sono in grado di acquistare equipaggiamenti ben più sofisticati e moderni di produzione occidentale ma che si rivolgono ai fornitori bosniaci per acquisire armi e munizioni con cui equipaggiare le diverse milizie siriane che si oppongono al governo di Damasco.
Nel 2017, l’Arabia Saudita (con 45,6 milioni di marchi convertibili) è stato il Paese maggior importatore di armi e munizioni dalla Bosnia, seguito da Afghanistan (29,9 marchi convertibili), Stati Uniti (26,2 milioni di marchi) Turchia (18.3 milioni) Egitto (11 milioni) ed Emirati (10,7 milioni).
Si tratta per lo più dei maggiori sponsor dei ribelli siriani e delle milizie sunnite yemenite. Se gli Stati Uniti sembrano aver rinunciato ad armare le milizie jihadiste siriane per puntare sui curdi, le monarchie del Golfo e la Turchia continuano invece a sostenere i gruppi di miliziani legati ai movimenti islamisti Wahabiti e Fratelli Musulmani.
Il business della guerra civile siriana per i bosniaci cresce di anno in anno: nel 2016 gli incassi dell’export furono pari a 87.4 milioni di euro contro i 70 dell’anno precedente mentre gli acquirenti erano sempre gli stessi gli stessi: egiziani, sauditi, americani, afghani, turchi….
Fin dal 2012 alcuni paesi della ex Jugoslavia hanno garantito un continuo flusso di armi verso i ribelli siriani. Nell’agosto di quell’anno emerse una fitta rete clandestina ce coinvolgeva i Balcani, le monarchie sunnite del Golfo e la Turchia con il supporto diretto dell’intelligence statunitense per armare e addestrare in Turchia le milizie anti-Assad: salafiti, Fratelli Musulmani e qaedisti.
In giugno lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) stimava che il solo Qatar avesse speso almeno tre miliardi di dollari per acquistare e far pervenire ai miliziani 3.500 tonnellate di armi e munizioni attraverso i confini turco e giordano. L’aeroporto turco di Esenboga è stato il più utilizzato dai voli logistici per rifornire i ribelli con oltre 160 velivoli cargo solo nei primi sei mesi del 2012 che hanno scaricato armi ed equipaggiamenti.
Solo i sauditi, d’intesa con la CIA, comprarono quell’anno oltre 50 milioni di dollari di armi leggere croate per lo più fucili d’assalto, lanciagranate Rbg-6 e lanciarazzi M-79 e Rpg-22 trasportati in Giordania da decine di voli militari.
Un sostegno militare diretto ai cosiddetti “ribelli moderati” come sostenevano gli USA e alcuni paesi europei coinvolti nel programma di addestramento ed equipaggiamento dei ribelli. Però quelle stesse armi croate vennero fotografate nell’estate 2014 a Mosul e in altre aree dell’Iraq settentrionale imbracciate dai miliziani dello Stato Islamico che proclamarono il Califfato dopo aver messo in fuga l’esercito di Baghdad.
Poco dopo l’Isis in Iraq si impadronì anche di armi bosniache che il governo di Sarajevo aveva regalato a Baghdad per riequipaggiare il suo esercito (cui si riferiscono le foto che illustrano l’articolo).
Le truppe di Assad hanno trovato tra i ribelli armi di diversa provenienza e “donazioni” di surplus degli eserciti arabi incluse casse di munizioni con impressi i loghi delle forze armate saudite e di alcuni emirati del Golfo.
Alla fine del 2017 gli stanziamenti statunitensi per forniture belliche al costituendo esercito curdo-siriano di 30 mila uomini delle Forze Democratiche Siriane (inviso ad Ankara) ammontavano a 2,2 miliardi di dollari da spendere entro il 2022.
Denaro investito in armi, munizioni ed equipaggiamenti di modello russo/sovietico reperito soprattutto nei Balcani.
Un’inchiesta del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), organizzazioni di giornalisti investigativi, ha evidenziato come il Pentagono si affidi anche a fornitori da Kazakistan, Georgia e Ucraina, considerato che i paesi Balcanici e dell’Est Europa non riescono a soddisfare la crescente domanda di armi.
Secondo il rapporto, le armi verrebbero trasportate in Turchia, Giordania e Kuwait (accompagnate da documenti che non indicherebbero la Siria come destinazione finale) e da lì trasferite in territorio siriano.
Foto Stato Islamico
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.