Quei legami tra Cecenia e Jihad
da Il Mattino del 14 maggio
L’attacco terroristico compiuto sabato sera nel entro di Parigi dal 21 enne Khamzat Azimov, jihadista ceceno naturalizzato francese quando aveva 14 anni e vissuto a lungo a Nizza, ha avuto un curioso strascico diplomatico.
Ramzan Kadyrov, primo ministro della Cecenia, repubblica caucasica della Federazione Russa, ha dichiarato che l’attentatore era cresciuto in Francia e che quindi “tutta la responsabilità” di quanto avvenuto a Parigi ricade sulle autorità francesi.
“Azimov era solo nato in Cecenia, ma era cresciuto nella società francese e la sua personalità, le sue visioni e le sue convinzioni si erano formate lì” ha detto Kadyrov (nella foto sotto con Vladimir Putin).
L’origine della matrice jihadista nell’ideologia che ha animato il gesto criminale di Azimov verrà forse chiarita dagli investigatori francesi e potrebbe dipendere, come per altri giovani islamici di diversa origine, da una radicalizzazione avvenuta attraverso il web o frequentando ambienti estremisti.
D’altra parte non è certo la prima volta che emerge il ruolo di rilievo ricoperto dai ceceni nel terrorismo islamico e nella guerra allo Stato Islamico.
Provincia ribelle dell’Impero zarista fin dalla fine del ‘700, la Cecenia ha dato alla Russia una delle più importanti organizzazioni criminali, la Obščina o “mafia cecena” attiva non solo sul territorio della Federazione ma in tutta l’Asia Centrale nel traffico di droga e armi ed è sospettata di avere stretti legami d’affari con i talebani afghani e altre organizzazioni jihadiste.
La Russia di Boris Eltsin schiacciò a fatica la rivolta secessionista e indipendentista del 1994, cui fecero seguito repressioni che alimentarono la diaspora cecena verso Stati Uniti ed Europa.
Dalla fine degli anni ’90 l’insurrezione cecena ha ottenuto importanti sostegni dalle monarchie sunnite del Golfo, soprattutto dall’Arabia Saudita, che ne hanno trasformato la lotta per l’indipendenza (motivata anche dalle rappresaglie e dalle deportazioni attuate da Stalin sulle popolazioni caucasiche che nel 1942 avevano simpatizzato con gli invasori tedeschi) in vera e propria jihad di matrice wahabita.
Molti miliziani ceceni vennero addestrati nei campi talebani e di al-Qaeda in Afghanistan dove alla fine del 2001, durante l’invasione statunitense, con la “legione straniera islamica” Osama bin Laden combattevano battaglioni di miliziani ceceni, del Daghestan e di altre regioni islamiche del Caucaso russo.
Al tempo stesso molti volontari arabi hanno combattuto negli ultimi anni tra le fila delle milizie dell’Emirato del Caucaso, il movimento islamista ceceno fondato nel 2007 a cui ha fatto seguito nel 2015 il Wilayat Qawqaz (la provincia del Caucaso proclamata dallo Stato Islamico che include Cecenia, Daghestan e Inguscezia).
A conferma del ruolo avuto dai petrodollari del Golfo nel sostegno alla jihad cecena, nell’’estate 2013 Mosca rivelò ai media che il principe saudita Bandar bin Sultam (foto a latoi), all’epoca capo dei servizi segreti di Riad, aveva offerto segretamente a Vladimir Putin importanti contropartite finanziarie ed energetiche in cambio dello stop a ogni sostegno al regime siriano di Bashar Assad.
Tra le offerte saudite vi sarebbe stato anche l’impegno a garantire che non vi sarebbero state azioni terroristiche a turbare i giochi olimpici invernali in programma a Sochi, sul Mar Nero, nel febbraio 2014. Una promessa che poteva fare solo chi avesse il pieno controllo sulle milizie dell’Emirato del Caucaso.
Paradossalmente la Cecenia esprime oggi i più fedeli alleati e i più acerrimi nemici di Mosca. Volontari ceceni hanno infatti combattuto in Ucraina sia dalla parte di Kiev sia al fianco dei separatisti del Donbass.
Il premier ceceno Kadyrov, ex guerrigliero sospettato di essere colluso con organizzazioni criminali ma fedelissimo di Putin, ha inviato truppe anche in Siria, Volontari a combattere al fianco delle forze di Damasco e reparti regolari di polizia militare a presidiare le città strappate ai ribelli jihadisti tra i quali combattevano anche ceceni.
Dal 2014, dei circa 8mila volontari che dalle repubbliche russe e dell’ex Urss sono andati a combattere sotto le bandiere dello Stato Islamico in Siria e Iraq, almeno un quarto erano ceceni o comunque caucasici che hanno ricoperto anche ruoli di rilievo nell’organizzazione jihadista.
Come il comandante delle milizie del Califfato in Siria, Abu Omar al-Shishani (“il ceceno”), georgiano che aveva aderito alla causa dei ribelli ceceni e poi a quella jihadista, ucciso nell’estate del 2016 dopo che gli Usa avevano posto sulla sua testa una taglia sulla testa da 5 milioni di dollari (nella foto sotto).
Diversi volontari sono partiti per il jihad dall’Europa, dove in tanti avevano ottenuto (forse affrettatamente) asilo dopo essersi dichiarati perseguitati dai russi.
Molti di loro sono tornati nel Caucaso o hanno trovato rifugio presso le milizie dell’IS in Afghanistan (Korashan) o sono tornati in Europa, Italia inclusa.
Nell’aprile scorso il Tribunale di Bari ha condannato a 5 anni di reclusione per i reati di terrorismo internazionale di matrice islamica e istigazione alla jihad armata il 38enne ceceno Eli Bombataliev, arrestato a Foggia nel luglio 2017.
L’uomo, segnalato anche dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi), è un foreign fighter ceceno appartenente all’Emirato del Caucaso, arrivato a Foggia dal Belgio nel 2012 dove aveva ottenuto lo status di rifugiato.
Nelle intercettazioni telefoniche era emerso il curriculum terroristico di tutto rispetto di Bombataliev: aveva partecipato all’assalto del dicembre 2014 alla Casa della Stampa e ad una scuola di Grozny, capitale della Cecenia, costati la vita a 19 persone, intendeva inoltre tornare in Siria ma soprattutto stava pianificando attentati in Europa grazie agli stretti i legami con reti jihadiste cecene in Belgio e Germania.
Foto: TASS, Ria Novisti, AFP e Stato Islamico
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.