Per il trionfo dell’islamismo nessuno ha fatto di più di Barack Hussein Obama
Il capo di al-Qaeda Ayman al Zawahiri e i suoi colonnelli in Malì, Somalia, Pakistan e Afghanistan e Libia, i leader dei Fratelli Musulmani e dei movimenti salafiti in Nord Africa e Medio Oriente si sono impegnati con dedizione nel diffondere e nell’imporre l’islamismo con sfumature più o meno estremiste. Per farlo hanno ricevuto armi e denaro, alcuni ufficialmente altri clandestinamente, dai Paesi del Golfo Persico. Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, tutti in prima linea per sostenere la primavera araba contro i vecchi regimi laici non certo per portarvi la democrazia ma bensì per imporre sharia e governo islamico. Non a caso, una sorte ben diversa ha avuto la primavera araba del Bahrein dove la rivolta della maggioranza scita è stata soffocata nel sangue dall’esercito saudita senza che nessuno a Washington, Londra, Parigi e Roma gridasse al genocidio, chiedesse una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu o l’imposizione di una no-fly-zone. Per il Bahrein e le monarchie feudali del Golfo nessuna primavera all’orizzonte. Ma il vero campione dell’islamismo, l’uomo che più di ogni altro ha aiutato al-Qaeda, talebani, salafiti, fratelli e cugini musulmani a imporsi o a far sentire il peso della loro influenza in molti Paesi è senza dubbio Barack Hussein Obama. Da quando è entrato alla Casa Bianca il presidente Barack Hussein Obama non ha infatti sbagliato un solo colpo per favorire l’ascesa dell’islamismo. Nel 2010, dopo aver tergiversato tre mesi di fronte alle richieste di rinforzi formulate dai comandanti militari in Afghanistan, ha infine deciso di inviare 33 mila soldati annunciando però che li avrebbe ritirati dopo un anno e che nel 2014 tutti i militari alleati avrebbero lasciato il Paese. Un annuncio che sancito la sconfitta in Afghanistan, l’inutile sacrificio di oltre 3 mila caduti alleati e assicurato la vittoria (o la non-sconfitta) ai talebani che da allora hanno adottato la tattica più idonea: sottrarsi per quanto possibile agli scontri durante le offensive del 2010 a Helmand e Kandahar per poi lanciarsi al contrattacco dopo l’avvio del ritiro degli alleati in attesa di marciare nuovamente su Kabul. Per comprendere la portata della dichiarazione di Obama provate a immaginare cosa sarebbe accaduto se nella Conferenza di Teheran del 1943 Roosevelt, Churchill e Stalin avessero annunciato che avrebbero combattuto tedeschi e giapponesi solo per un altro anno, poi avrebbero ritirato le truppe da tutti i fronti. Talebani e al-Qaeda ora sono più forti e non hanno motivo di negoziare con Kabul, anche il Pakistan non ha nessun interesse a cooperare con Washington sapendo che gli americani se ne andranno dall’Afghanistan. Ingenuità? Pressapochismo? Dilettantesco approccio ai problemi strategici? A meno di due mesi dalle elezioni presidenziali i repubblicani accusano Barack Hussein Obama di incompetenza per una politica estera dagli esiti disastrosi. Basti pensare che l’11 settembre, poche ore prima che i miliziani attaccassero il consolato a Bengasi, Barack Hussein Obama commemorò l’11/9 affermando che l’America oggi “è più forte, più sicura più rispettata”. E’ vero che con Barack Hussein Obama alla Casa Bianca sono stati uccisi molti leader di al-Qaeda è lo stesso Osama bin Laden ma si tratta di successi più simbolici che concreti. I comandanti vengono rimpiazzati e il vecchio leader malato ormai non contava più molto mentre la sua uccisione, quando poteva essere agevolmente catturato vivo, getta molte ombre su quell’azione circa la quale nuove rivelazioni indicano sia stata decisa con riluttanza da Obama che ancora una volta tergiversò a lungo sul da farsi. Esattamente come ha fatto con il programma nucleare iraniano, fronte sul quale si è compiuto il vero “capolavoro” di Barack Hussein Obama che sta consentendo agli ayatollah di dotarsi di armi atomiche creando una frattura senza precedenti tra Washington e Gerusalemme e lasciando gli israeliani di fronte all’opzione militare. Solo incompetenza o un preciso disegno politico? Certo a “fottere gli amici” Barack Hussein Obama si è rivelato un vero maestro. Ricordate con quale rapidità ha liquidato i migliori alleati dell’America in Nord Africa, i presidenti tunisino Ben Alì e l’egiziano Mubarak? Certo non si trattava di campioni di democrazia e diritti umani e civili (ma lo sono quelli che vogliono la sharia come fonte della legge?) ma a differenza degli islamisti erano filo-occidentali. Barack Hussein Obama ha fatto un bel regalo ai Fratelli Musulmani, che l’amministrazione statunitense definisce “islamici moderati” (ma la loro ambiguità è ormai evidente come dimostrano le diverse dichiarazioni rilasciate dai loro leader ai media occidentali e arabi, come insegnò a suo tempo Yasser Arafat) ma anche ai salafiti sostenuti dai petrodollari dei nostri “alleati” arabi del Golfo. Washington non ha mosso un dito neppure quando il neo presidente egiziano Mohamed Morsi ha liquidato i vertici militari, la vecchi guardia del regime unica garanzia rimasta contro la deriva islamica dell’Egitto. Un golpe bianco reso possibile dai soldi del Qatar che oltre ad acquistare la società che gestisce il Canale di Suez e mezzo Egitto ha comprato anche un bel po’ di alti ufficiali dell’esercito del Cairo per garantire un ricambio fedele alla nuova linea islamista, ovviamente “moderata”. Per rovesciare Gheddafi, un dittatore divenuto da anni filo-occidentale, Barack Hussein Obama ha scatenato una guerra sciagurata nella quale Londra e Parigi miravano a sottrarre a Roma concessioni petrolifere e commesse e alla quale il presidente americano ha obbligato a partecipare anche l’Italia. Prima imponendoci l’uso delle nostre basi aeree e poi pretendendo che anche i nostri aerei bombardassero le forze lealiste. Un episodio che ha sancito il punto più basso della sovranità italiana, azzerata pochi mesi dopo con l’imposizione del governo di Mario Monti voluto da Bruxelles (si scrive così ma si legge Berlino) e gradito anche a Washington per le garanzie di appiattimento sulle posizioni americane offerte dagli attuali ministri di Esteri e Difesa. Rovesciare e uccidere Gheddafi è stato l’ennesimo suicidio dell’Occidente. Non era difficile capirlo: prima ancora che il regime cadesse i ribelli avevano già annunciato che la nuova costituzione avrebbe imposto la sharia come fonte del diritto. Abbiamo lasciato la Libia in preda all’anarchia con 70 milizie tribali armate, il secessionismo di Fezzan e Cirenaica, la penetrazione di al-Qaeda e il consolidamento delle milizie salafite. Il saccheggio degli arsenali di Gheddafi ha consentito ai jihadisti di occupare mezzo Malì, parte del Niger e di minacciare con maggiore forza l’Algeria e i Paesi del Sahel ancora governati da regimi laici. Oggi l’Occidente mostra stupore per l’alleanza tra al-Qaeda e salafiti quando per dieci anni i volontari salafiti nordafricani si sono addestrati e hanno combattuto in Afghanistan e Iraq con i qaedisti. Un altro errore del dilettante Barack Hussein Obama o qualcosa di diverso? Inutile chiederlo ai leader europei che invece di perseguire i nostri interessi seguono in modo acritico gli “ordini” di Washington (e forse anche di sauditi e qatarini che investono decine di miliardi di euro in Europa) e poi farneticano di ruolo internazionale dell’Europa. Resta il fatto che al-Qaeda e gli altri gruppi islamici così forti in Libia e nel Sahel li abbiamo fatti nascere e aiutati a crescere noi Occidentali, per primi quegli statunitensi che oggi mostrano sorpresa per l’attacco al consolato di Bengasi quando la CNN riferì il 30 dicembre 2011 della presenza di una cellula di al Qaeda forte di 200 miliziani in Cirenaica. In questi giorni ha avuto buon gioco il presidente russo Vladimir Putin (forse l’unico leader di peso internazionale ad avere un approccio lucido e pragmatico nei confronti delle cosiddette primavere arabe) nel sottolineare come “il Medio Oriente stia cadendo nel caos” con un chiaro riferimento anche alla guerra siriana
. Conflitto nel quale, non paghi, noi occidentali siamo oggi tutti in prima linea a voler rovesciare il regime di Bashar Assad in una guerra nella quale siamo di fatto alleati di al-Qaeda contro i lealisti. Un conflitto non certo combattuto per la democrazia ma per rovesciare un governo in mano ad alauiti/sciti la cui caduta indebolirebbe l’Iran e portare al potere islamisti sunniti. Anche in questo caso Barack Hussein Obama non ha dubbi e ha schierato gli Stati Uniti e gli alleati (accodati e proni come sempre) al fianco degli islamisti. Se dovesse perdere le elezioni di novembre Barack Hussein Obama potrà sempre far valere i suoi meriti per ottenere un posto di rilievo in qualche emirato o califfato.
Foto: fotomontaggio tratto dal sito Maggie’s Notebook
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.