Karzai ammonisce: senza l’immunità giudiziaria tutti i militari NATO a casa nel 2014
Il faccia a faccia del 18 ottobre tra il presidente afghano Hamid Karzai e il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen (in visita a sorpresa a Kabul) sembrava essersi concluso senza sorprese con la piena intesa circa il ritiro delle truppe da combattimento della Nato entro la fine del 2014. Addirittura Karzai aveva detto che “sarebbe contento” se il ritiro avvenisse anche prima, richiesta apprezzata da molti Paesi interessati ad accelerare il rimpatrio dei propri contingenti ma che conferma come la presenza militare alleata sia considerata impopolare e ingombrante per i vertici di Kabul. Parlando delle missione addestrativa prevista per il dopo 2014, Rasmussen ha ricordato che le truppe afghane ”hanno già oggi il pieno controllo su oltre un terzo dell’Afghanistan” e di fatto ”attuano l’80% delle operazioni militari miste sul territorio nazionale”. Il nostro obiettivo, ha proseguito, ”è che l’Afghanistan sia in grado di camminare con le proprie gambe, ma in ogni caso l’Afghanistan non si troverà mai solo”, neppure dopo il completamento del ritiro di Isaf Confermando l’impegno finanziario a favore di Kabul per il decennio 2014-2024 stabilito dalla Conferenza di Tokyo, Rasmussen ha assicurato che la Nato fornirà “prima della scadenza del nostro ritiro le armi e il materiale necessario alle forze di sicurezza afghane per fare al meglio il loro lavoro”. La doccia fredda sui rapporti con l’Occidente, Karzai l’ha comunicata solo dopo la partenza di Rasmussen con un comunicato nel quale il presidente afghano annuncia di aver fatto presente al segretario generale dell’Alleanza Atlantica che i militari stranieri che dopo il 2014 resteranno nel Paese per addestrare le truppe e assistere le forze afghane potrebbero non godere dell’immunità penale finora garantita alle forze di Isaf. Karzai ha affermato che il suo popolo “potrebbe impedire al governo di concedere l’immunità” soprattutto se “la guerra e l’insicurezza continueranno in Afghanistan, le frontiere non saranno protette e si pretende di porre la questioni dell’immunità al di sopra di tutto “. L’immunità giudiziaria è un prerequisito fondamentale per Washington e la Nato per lo schieramento di truppe all’estero. In base a questo principio ogni reato compiuto da militari stranieri dovrà essere giudicato dal Paese di nazionalità dei soldati e non dalla giustizia del Paese dove sono schierati. Per questo, solo per citare alcuni esempi, i soldati americani accusati di aver ucciso civili afghani, bruciato copie del Corano e orinato sui cadaveri dei talebani uccisi hanno subito processi o provvedimenti disciplinari dalla giustizia statunitense, non certo da quella afghana. L’immunità giudiziaria copre anche i soldati statunitensi dislocati nei Paesi della Nato e in Italia in base ad accordi bilaterali tra Washington e i singoli Stati partner. Alcuni analisti considerano la dichiarazione di Karzai una mossa tattica per strappare altre concessioni ai governi occidentali, specie sul fronte degli aiuti finanziari, ma potrebbe anche trattarsi di un modo per liberarsi dai pesanti condizionamenti di Washington e ottenere supporto da altri Paesi della regione come l’India, la Russia o la Cina che stanno intensificando i rapporti con Kabul non solo sul piano economico ma anche sul fronte della difesa e sicurezza. Del resto Karzai mostra da tempo insofferenza verso quelle che considera ingerenze occidentali e davanti a Rasmussen ha criticato la pretesa di inserire due membri stranieri nella Commissione per i reclami elettorali sostenuta dall’Onu, definita “ una violazione della nostra sovranità nazionale”. La questione dell’immunità può avere riflessi strategici determinanti per il futuro del Paese e in proposito il precedente dell’Iraq risulta illuminante. Dopo il ritiro delle truppe statunitensi, un anno or sono, Washington e la Nato avrebbero dovuto mantenere a Baghdad una missione addestrativa favore delle forze armate irachene ma il parlamento non approvò l’immunità giudiziaria per i soldati stranieri che in pochi giorni lasciarono il Paese. A Kabul la questione dovrà essere risolta nei prossimi due anni poiché la presenza dei militari statunitensi dopo il 2014 è già regolata da un trattato bilaterale di partnership strategica ma la questione dell’immunità è stata lasciata a un negoziato separato che deve ancora iniziare. Karzai potrebbe voler paventare il totale abbandono del Paese da parte delle forze Nato per sondare la reale disponibilità dei talebani a negoziare dopo che gli insorti vicini al Mullah Omar hanno assicurato che dopo il 2014 potrebbe ”scoppiare la pace” perché la crisi afghana verrà risolta attraverso una vasta consultazione “fra afghani”. Un’ipotesi tutta da verificare mentre le forze di sicurezza afghane avrebbero bisogno ancora a lungo del supporto esterno non solo in termini economici ma anche addestrativi. Usa e Nato si sono impegnati a finanziare con 4,1 miliardi di dollari annui, dopo il 2014, le forze di sicurezza composte oggi da 350 mila effettivi (195 mila dei quali dell’esercito) destinati nei prossimi anni a ridursi per ragioni finanziarie a 250 mila. Un taglio che non comporterà grosse difficoltà a giudicare dagli elevati tassi di diserzione e di abbandono dell’uniforme dopo i primi tre anni di servizio riscontrati nell’Afghan National Army (ANA) nonostante la rafferma sia ricompensata con un aumento di retribuzione da 260 a 320 dollari al mese per un soldato semplice. L’ANA è costretto ogni anno a rimpiazzare un terzo dei suoi effettivi con nuove reclute prive di addestramento ed esperienza per far fronte al calo degli organici determinato da diserzioni (7/10 per cento) e mancati rinnovi della ferma (25 per cento), come ha raccontati un’inchiesta del New York TimesI disertori quasi mai quasi mai vengono trovati e puniti mentre molti ex soldati lamentano la corruzione degli ufficiali, il cibo e l’equipaggiamento di scarsa qualità, le cure mediche inadeguate, le minacce talebane alle loro famiglie e la consapevolezza che l’esercito ben difficilmente potrà affrontare gli insorti dopo il ritiro delle truppe alleate. Oggi non esistono reparti afghani considerati in grado di combattere senza l’assistenza delle truppe della Nato e allo stesso tempo, decine di migliaia di uomini che hanno ricevuto un addestramento militare smettono ogni anno l’uniforme. Alcuni trovano impiego presso società di sicurezza private ma si sospetta che molti finiscano per rinforzare le milizie degli insorti determinando una situazione paradossale e imbarazzante nella quale gli istruttori della Nato finiscono per addestrare anche i combattenti talebani.
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Foto Truppe tedesche e agenti di polizia afghani nel Nord Aghanistan (Min. Difesa tedesco)
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.