Caso Petraeus: Obama vince ma perde i “pezzi pregiati” del suo staff

Difficile prevedere se le dimissioni da direttore della CIA rappresenteranno davvero la fine della carriera del generale David Petraus , l’uomo che regalò a George W Bush la vittoria militare in Iraq e soccorse  Barack Obama alle prese con il ginepraio afghano. Eppure nella sua carriera Petraeus non ha conosciuto solo successi. Nel 2003, da generale di divisione, guidò in Iraq la 101 divisione aeromobile incaricata di presidiare il settore caldo di Mosul distinguendosi per un approccio attento alle necessità della popolazione sunnita in gran parte fedele a Saddam Hussein. Meriti che l’anno successivo gli valsero l’incarico di coordinare la ricostituzione dell’esercito di Baghdad, compito nel quale non brillò come dimostrarono i primi disastrosi impieghi dei reparti iracheni nelle operazioni contro i ribelli a Fallujah. L’anno successivo, al comando   dell’ U.S. Army Combined Arms Center di Fort Leavenworth, Petreus rilanciò alla grande la sua carriera  elaborando un nuovo manuale per le operazioni di contro-insurrezione. La pubblicazione, nota come FM-24, riprendeva strategia e tattiche adottate con successo dai britannici in Borneo e dai francesi in Algeria negli anni ’60 adattandole al contesto iracheno. Esattamente quello di cui aveva bisogno l’Amministrazione Bush alla ricerca di una vittoria militare che consentisse il progressivo disimpegno dall’Iraq. Nominato co mandante a Baghdad nel gennaio 2007, Petraeus ottenne dalla Casa Bianca 30 mila soldati di rinforzo per potenziare le operazioni di contrasto dei ribelli con una serie di offensive che colsero il loro maggiore successo nella decisione delle tribù sunnite di voltare le spalle alle milizie di al-Qaeda e di aderire al processo politico del nuovo Iraq. La vittoria a Baghdad proiettò Petraeus alla testa del Central Command, il comando che gestiva le operazioni in Iraq, Medio Oriente e Afghanistan. Nel 2010  venne nuovamente chiamato a togliere le castagne dal fuoco al presidente, questa volta il democratico Barack Obama alle prese con le dimissioni forzate del generale Stanley McChristal, costretto a lasciare il comando delle forze alleate in Afghanistan dalle sue esplosive dichiarazioni contro l‘Amministrazione rilasciate al magazine Rolling Stone. Accettando di assumere il comando a Kabul, Petraeus puntò a ripetere il successo iracheno applicando alla guerra contro i talebani la sua dottrina anti-insurrezionale ma questa volta dalla Casa Bianca non ottenne quella  “carta bianca” che gli aveva invece  concesso Bush.  Obama  ci mise oltre tre mesi a concedere i 33 mila rinforzi richiesti da Petraeus per il “surge afghano” e quando finalmente li annunciò lo fece dichiarando allo stesso tempo che dall’anno seguente sarebbe iniziato il ritiro degli americani  da Kabul. Con la schiettezza che lo avevo reso molto popolare tra i suoi uomini e tra i reporter, Petraeus non risparmiò le critiche al presidente pur esprimendole con toni pacati e argomentazioni circostanziate al punto che cominciarono a circolare indiscrezioni di una sua probabile candidatura nel Partito Repubblicano per le elezioni presidenziali di quest’anno. Quando Obama lo nominò direttore della CIA, nell’aprile dell’anno scorso, qualcuno ipotizzò che lo avesse fatto per sottrarre all’agone politico un pericoloso avversario anche se, sul piano operativo, Petreus era l’uomo ideale per sviluppare quell’integrazione tra forze speciali e intelligence che è alla base della guerra segreta condotta in tutto il mondo contro al-Qaeda e i gruppi jihadisti. A Langley, sede del quartier generale della CIA, Petraeus si era fatto molti nemici tra i dirigenti dell’agenzia ai quali ha imposto uno stile “militaresco” introducendo  criteri strettamente meritocratici per l’attribuzione di benefit e premi retributivi.  L’attacco degli estremisti islamici al consolato di Bengasi, l’11 settembre scorso (nel quale vennero uccisi 4 americani tra i quali l’ambasciatore in Libia Christopher Stevens) rappresentò un pesante contraccolpo per Petraeus. Mentre sui media statunitensi fioccavano  inchieste e indiscrezioni che evidenziavano gli errori di Obama nella gestione di quell’evento il generale evitò accuratamente l’esposizione in pubblico. Forse anche per evitare di alimentare il rimpallo di responsabilità, aspro anche se sotto traccia, tra il Dipartimento di Stato e la CIA. Due settimane or sono Petraeus si trovava al Cairo, probabilmente per ottenere informazioni e forse l’estradizione di alcuni estremisti coinvolti nell’assalto al Consolato di Bengasi. Le sue dimissioni lasciano in sospeso dubbi e perplessità.
La relazione extraconiugale di Petraeus con la sua biografa quarantenne Paula Broadwell, durata un anno e conclusasi sei mesi or sono  secondo il Wall Street Journal, potrebbe rappresentare uno specchietto per le allodole. La relazione c’è stata e, come riferisce la NBC ,  l’FBI ha aperto un’inchiesta indagando la Broadwell (ex militare ora scrittrice e insegnante al Center for Public Leadership di Harvard)  “per aver tentato impropriamente di accedere alla email di Petraeus con il possibile obiettivo di ottenere informazioni coperte da segreto”. Un’accusa che suscita qualche perplessità anche perché le mail tra Petraeus e “l’amica” erano finite all’attenzione dell’FBI già qualche mese prima, quando il generale si trovava ancora in Afghanistan. Stupisce però che nonostante il rischio per la sicurezza il Federal Bureau of Investigation abbia informato le Commissioni per l’intelligence di Camera e Senato (e a quanto apre anche la Casa Bianca) circa queste indagini solo la scorsa settimana, come riferisce il New York Times anche perché è indubbio che l’inchiesta dell’FBI costituisce sul piano politico  un efficace strumento di pressione, specie su un uomo “tutto d’un pezzo” come il generale Petraeus. Il Direttore della CIA è infatti un perfetto capro espiatorio nella vicenda dell’attacco dei jihadisti al consolato di Bengasi, l’11 settembre scorso. Un episodio che ha evidenziato tutti i limiti e le contraddizioni della politica estera di Obama che rinunciando a perseguire con raids militari i colpevoli ha peggiorato ulteriormente il suo livello di popolarità negli ambienti militari.  Grazie anche a indiscrezioni fatte trapelare probabilmente da ambienti vicini al Dipartimento di Stato, la CIA è finita nell’occhio del ciclone per la morte di Stevens che avrebbe potuto essere soccorso da una base segreta dell’agenzia d’intelligence situata vicino alla sede del consolato. Difficile appurare come stiano realmente le cose ma ai funerali di Stevens strideva l’assenza di Petraeus le cui dimissioni giungono a pochi giorni dalla relazione che avrebbe dovuto presentare al Congresso proprio suoi fatti dell’11 settembre a Bengasi.
Considerando il carattere deciso del militare può darsi che Petraeus non avesse condiviso la decisione di Obama di rinunciare a un’azione punitiva contro i jihadisti libici mentre tra le ragioni personali che possono aver indotto Petreus a lasciare potrebbero esserci anche motivi di salute poiché già quando era a Kabul giravano voci che combattesse contro un tumore.
La domanda che è in ogni caso occorre porsi dopo le dimissioni di David Petraeus da direttore della Cia è se Barack Obama, appena rieletto alla Casa Bianca, sia vittima o carnefice dell’uscita di scena del generale eroe della contro-insurrezione. Per alcuni osservatori le dimissioni del generale che aveva vinto la guerra irachena costituiscono la prima “grana” sul tavolo di Obama nel suo secondo mandato presidenziale ma è possibile configurare scenari ben diversi. Dopo la vittoria elettorale Obama ha dovuto incassare l’annuncio che lasceranno il loro posto il Segretario di Stato Hillary Clinton, il numero uno del Pentagono Leon Panetta (alla guida della CIA prima dell’arrivo di Petraeus) e poi dello stesso Petraeus. Tutti i personaggi di punta della politica estera e militare di Washington abbandonano Obama. Fosse capitato a George W. Bush i media di mezzo mondo avrebbero titolato sul collasso dell’amministrazione e su un presidente sfiduciato dai suoi più stretti collaboratori. La politica estera e di difesa di Obama (a partire dal “leading from behind” che vede gli americani agire a più basso profilo sui campi di battaglia) è per molti versi rivoluzionaria rispetto al tradizionale ruolo di stabilizzazione giocato in prima linea dagli Stati Uniti. In Medio Oriente e Nord Africa la Casa Bianca ha favorito, anche con le armi, l’affermazione dei movimenti islamisti a spese di regimi laici e filo-occidentali mentre la politica tentennante di Washington nei confronti dell’Iran ha portato gli ayatollah a un passo dal possedere “la bomba” e il gelo nei rapporti tra Stati Uniti e Israele. In Asia Centrale il ritiro dall’Afghanistan (criticato da Petraeus quando guidava le truppe a Kabul)  rischia di allargare la destabilizzazione jihadista coinvolgendo anche India, Cina e Russia. Scenari che non consentono di escludere forti dissidi tra il presidente e i suoi collaboratori di punta che, per ragioni diverse ma in nessun caso eclatanti, lasciano tutti insieme il loro posto.
Petraeus ha colpe gravissime per la morte di Stevens ma si è dimesso solo dopo le elezioni per non mettere in imbarazzo il presidente? Oppure è il presidente Obama che dopo la vittoria ai seggi scarica Petraeus, capro espiatorio ideale per i fatti di Bengasi, utilizzando la giustificazione del tradimento coniugale tenuta a lungo nel cassetto? In ogni caso la soluzione delle dimissioni risulta , in prospettiva, accettabile per entrambi. Consente a Obama di scaricare su altri le responsabilità del disastro di Bengasi e a Petraeus di salvare in modo onorevole una brillante carriera che nei prossimi anni (il generale ne ha 60) potrà essere spesa anche in campo politico con la candidatura repubblicana alla Casa Bianca intorno alla quale da tempo circolano voci. In un’ottica politica infatti , non si può escludere che Petraeus, come ha fatto anche Hillary Clinton, abbia lasciato l’incarico istituzionale per avere le mani libere per prepararsi a nuove sfide. Forse, tra quattro anni (salute permettendo) come candidato repubblicano alla Casa Bianca. Una nuova battaglia che potrebbe opporlo proprio a Hillary Clinton. Del resto, annunciando le dimissioni dalla CIA, Petraeus ha citato il presidente Theodore Roosevelt, ricordando che “uno dei maggiori doni della vita è quello di lavorare duro per un incarico che ne valga la pena”.

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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