Gli israeliani entreranno a Gaza?

L’escalation del confronto in atto a Gaza sembra inarrestabile. Lo dicono innanzitutto i numeri: più di mille missioni aeree israeliane e altrettanti  razzi palestinesi in appena quattro giorni. Per fare un paragone Hamas lanciò 600 razzi contro il territorio israeliano nei 24 giorni di operazione “Piombo Fuso” scatenata dalle truppe di Gerusalemme nel dicembre 2008. Anche i dati sulla mobilitazione di riservisti israeliani sembrano indicare un imminente allargamento delle operazioni benché 75 mila riservisti richiamati in servizio inducono a pensare a qualcosa di più grosso del solo attacco terrestre a Gaza. Anche in questo caso il confronto col recente passato può fornire qualche indicazione. Alla fine del 2008 l’assalto a Gaza venne gestito con il richiamo di 10 mila riservisti mentre due anni e mezzo prima l’offensiva su vasta scala contro Hezbollah che investì tutto il Libano meridionale richiese la mobilitazione di 60 mila riservisti. Israele quindi sembra prepararsi non solo a invadere Gaza ma anche a un eventuale confronto con l’Egitto guidato dai Fratelli Musulmani, movimento a cui si richiama anche Hamas. Il presidente del Fjp, il braccio politico dei Fratelli Musulmani, Mohamed Saad al Katatni, ha chiesto che sia ”rivisto” il Trattato di Pace con Israele del 1978 e “tutti gli accordi con il nemico”. Una richiesta che suona come una minaccia di guerra e accomuna i Fratelli Musulmani al partito salafita el-Mour e ad altri gruppi politici in un Egitto sempre più schierato a fianco di Hamas ma “costretto” (anche da Washington) a svolgere il ruolo di mediazione nella crisi. Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno comunicato a Israele la loro opposizione a un’offensiva terrestre su Gaza ma i 30 mila militari israeliani mobilitati intorno al territorio palestinese potrebbero essere pronti a muovere già oggi con l’obiettivo di annientare le forze di Hamas e Jihad Islamica distruggendo i depositi di razzi sfuggiti ai raids aerei. Circa un terzo degli ordigni lanciati sono stati intercettati dal sistema Iron Dome, lo scudo anti-razzi realizzato dalle aziende Elta e Rafael (con un contributo finanziario statunitense pari a 275 milioni di dollari) operativo con 5 batterie dall’anno scorso e schierato anche a difesa di Tel Aviv, capace di discriminare dalla traiettoria dei razzi quelli diretti su centri abitati (da intercettare) da quelli diretti u aree disabitate o (da lasciar andare) . Secondo il comando israeliano però “non pochi” erano privi di esplosivo, cioè alleggeriti per estenderne la gittata. Alcuni razzi che sono riusciti a penetrare più in profondità nel territorio israeliano non erano altro che dei “tubi” spinti da propellente ma di fatto relativamente innocui perché privi di esplosivo. Un escamotage che potrebbe avere non solo un obiettivo psicologico ma anche il compito di fa sparare il più possibile Iron Dome contro bersagli inerti contando sul fatto che i missili intercettori israeliani Tamir costano oltre 30 mila dollari a esemplare e vengono utilizzati per abbattere razzi del valore di poche migliaia o addirittura poche centinaia di dollari. Rispetto alla battaglia del 2008 Hamas dispone oggi di più razzi e con maggiore gittata come i Fajr-5 o le copie prodotte a Gaza battezzate Kassam M-75 il 90 per cento dei quali già distrutti dai jet secondo fonti militari. Di questi ordigni non devono esserne rimasti molti in mano ad Hamas a giudicare da come i lanci vengono centellinati in un contesto che vede invece un intenso impiego di ordigni più piccoli e con minore gittata, dagli artigianali Kassam (5/12 chilometri di raggio d’azione) ai Grad da 122 millimetri (20/40 chilometri a seconda delle versioni). Le milizie di Hamas, stimate in circa 20 mila combattenti, dispongono di missili anticarro e antiaerei portatili provenienti dai depositi dell’esercito di Gheddafi e soprattutto possono contare a Gaza su bunker e postazioni occultate progettati dai genieri dei pasdaran iraniani che realizzarono le linee difensive di Hezbollah che nell’estate 2006 fermarono l’offensiva israeliana in Libano. Il rischio è che un’offensiva terrestre a  Gaza e una lunga battaglia (il comando israeliano ha avvertito la popolazione di prepararsi ad almeno sette settimane di guerra) allarghino il conflitto all’Egitto, agli Hezbollah libanesi o allo stesso Iran. Uno scenario che infuocherebbe il Medio Oriente facendo quasi dimenticare la guerra civile siriana ma che potrebbe concretizzarsi solo se Washington si smarcasse dall’alleanza storica con Israele. Forse proprio per questo la Jihad Islamica palestinese non crede che gli israeliani facciano sul serio e valuta la minaccia di un assalto a Gaza e il richiamo dei riservisti “azioni di guerra psicologica” come ha detto Ahmad al Mudallal all’agenzia iraniana Fars.  “Non vorremo entrare a Gaza ma lo faremo se nelle prossime 24-36 ore saranno lanciati altri razzi contro di noi” ha dichiarato invece alla CNN il vice ministro degli esteri israeliano, Danny Ayalon. Presto vedremo chi sta bluffando.

Foto AP

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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