L’avamposto strategico

di Craig Whitlock dal Washington Post / Internazionale  23 novembre 2012

Gli ordini della Casa Bianca arrivano quasi sempre alla base di Gibuti, da dove partono i droni diretti in Yemen e in Africa Ventiquattr’ore su ventiquattro, circa 16 volte al giorno, nella base militare statunitense di Gibuti atterrano e decollano i droni che combattono la guerra contro il terrorismo. Alcuni di questi aerei senza pilota si dirigono verso la Somalia, lo stato fallito le cui frontiere sono solo a una quindicina di chilometri a sudest. Ma la maggior parte attraversa il golfo di Aden diretta verso lo Yemen, un altro paese instabile, dove gli Stati Uniti stanno combattendo una guerra sempre più implacabile contro le cellule di Al Qaeda nella regione. Fino a una decina d’anni fa, Camp Lemonnier, un assolato avamposto della Legione straniera francese, era solo un punto d’appoggio per i marines che arrivavano nella regione. Ma negli ultimi due anni l’esercito degli Stati Uniti lo ha trasformato in una base decisiva nella guerra contro la nuova generazione di gruppi terroristici nata in tutta l’Africa, dal Mali alla Libia alla Repubblica Centrafricana. Il motivo principale è che Gibuti, incastrato tra l’Africa orientale e la penisola araba, è un punto di partenza perfetto per gli aerei diretti verso lo Yemen e la Somalia. Le attività della base sono coperte dalla massima segretezza. Ma l’analisi dei documenti che siamo stati autorizzati a consultare – compresi i progetti di costruzione, i rapporti sugli incidenti e i memorandum interni – dimostra che dall’inizio del 2012, con l’arrivo di otto droni Predator, le operazioni che partono da Gibuti hanno subìto un’escalation, e nei prossimi mesi il Pentagono ha intenzione di intensiicarle ulteriormente. Dai documenti emerge anche il ruolo fondamentale svolto dal Joint special operations command (Jsoc), al quale il presidente Obama in genere aida le operazioni più delicate. I circa 300 militari del comando programmano i raid aerei e coordinano i voli dei droni da un compound di massima sicurezza all’interno della base. I militari lavorano quasi tutti in incognito, e neanche il personale ordinario conosce i loro veri nomi. Le altre attività della base sono ancora più segrete. Nel complesso, a Lemonnier ci sono circa 3.200 persone tra militari e civili, che addestrano soldati stranieri, raccolgono informazioni e distribuiscono aiuti umanitari in tutta l’Africa orientale, per evitare che l’estremismo prenda piede tra la popolazione. Gli aerei telecomandati di Gibuti sono pilotati, via satellite, da persone che sono a migliaia di chilometri di distanza, davanti a una console nella base dell’aeronautica di Creech, in Nevada, o in quella di Cannon in New Mexico. A Camp Lemonnier, per il personale che li fa decollare, li recupera e si occupa della loro manutenzione le condizioni di lavoro sono molto meno piacevoli. Ad agosto, il dipartimento della difesa ha presentato al congresso il piano dettagliato di come intende usare la base di Gibuti nei prossimi 25 anni. In programma ci sono nuove costruzioni per 1,4 miliardi di dollari, tra cui quella di un nuovo enorme compound che potrebbe ospitare ino a 1.100 agenti delle forze speciali, più del triplo di quelli che ci sono oggi. In prima linea ci saranno sempre i droni.

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