Preso il jihadista che guidò l’assalto al consolato americano a Bengasi

E’ stato arrestato in Egitto il sospetto capo della rete terroristica islamista responsabile dell’assalto dell’11 settembre scorso contro il consolato degli Stati Uniti a Bengasi costato la vita allo stesso ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens, e a tre suoi connazionali. Lo riferisce il Wall Street Journal citando fonti riservate dell’amministrazione statunitense. Si tratterebbe di Muhammad Jamal Abu Ahmad, 45 anni, già militante della Jihad Islamica egiziana ben conosciuto nelle carceri egiziane dalle quali venne liberato nel marzo 2011, poco dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak. Il suo arresto, effettuato dalle autorità del Cairo su indicazioni dell’intelligence statunitensi, risalirebbe alla settimana scorsa. A quanto pare Washington avrebbe fornito prove che Ahmad, fin dal rilascio, ha costituito una squadra di miliziani addestrati in campi paramilitari clandestini situati nel deserto, in territorio libico ma anche egiziano, grazie ai finanziamenti ottenuti da al-Qaeda nella Penisola Arabica, cioè la “succursale” della rete terroristica che ha sede nello Yemen. Finora le autorità del Cairo hanno mantenuto il massimo riserbo sull’arresto di Abu Ahmad e non avrebbero consentito ai funzionari statunitensi di interrogarlo. La notizia sembra confermare molte indiscrezioni in circolazione da ormai un anno sulla struttura di al-Qaeda costituitasi in concomitanza con la caduta del regime di Gheddafi nella Cirenaica libica con circa 200 volontari libici, egiziani e di altre nazionalità su ordine diretto di Ayman al-Zawahiri, l’egiziano erede di Osama bin Laden alla testa di al-Qaeda. Quanto riportato dal WSJ indica anche che David Petraeus, fino a poche settimane or sono alla guida della CIA, aveva visto giusto seguendo la “pista egiziana” per scoprire le responsabilità dell’attacco al consolato di Bengasi, più probabilmente una base sotto copertura della CIA invece di una sede diplomatica. Petraeus si recò infatti al Cairo a inizio novembre per una visita di due giorni che oggi è possibile collegare alla presentazione delle prove contro Ahmad alle autorità del Cairo.  Nonostante le gravi difficoltà del presidente Mohammed Morsi, il governo egiziano guidato dai Fratelli Musulmani difficilmente potrà rifiutarsi di collaborare con Washington non solo per gli aiuti economici forniti dagli Stati Uniti ma anche per il decisivo appoggio di Barack Obama al presidente Morsi nella mediazione per la  cessazione delle ostilità tra israeliani e palestinesi a Gaza. La cooperazione dei Fratelli Musulmani con gli statunitensi coinvolge anche l’analogo movimento libico. “La Libia garantisce piena collaborazione con gli Usa” nelle indagini sull’assalto al consolato di Bengasi ha detto nei giorni scorsi Mohamed Sowane, leader del partito libico Giustizia e Costruzione, espressione dei Fratelli Musulmani, che ha sottolineato “l’interesse libico all’accertamento dei fatti e delle circostanze dell’omicidio del diplomatico statunitense” precisando che “la piena collaborazione con l’amministrazione di Washington in materia di sicurezza” deve avvenire “nel rispetto della sovranità della Libia” e tenendo conto “della grande sensibilità del popolo libico in merito alla presenza straniera sul suo suolo”. Di fatto un invito a evitare blitz o incursioni di droni come quelli attuati dagli statunitensi in Pakistan e Yemen contro gli esponenti di al-Qaeda. L’attacco dell’11 settembre a Bengasi continua a rappresentare un tema delicato per l’Amministrazione Obama. Il segretario di Stato, Hillary Clinton, testimonierà sull’argomento davanti al Congresso in una audizione pubblica dopo la pubblicazione, attesa per la prossima settimana, del rapporto del Dipartimento di Stato sull’attentato. Ancora il Wall Street Journal aveva rivelato il 4 dicembre che sarebbe stata la CIA, e non la Casa Bianca o il Dipartimento di Stato, a scegliere di omettere i riferimenti ad al-Qaeda dal rapporto sull’attacco di Bengasi che riportava il termine generico “estremisti”. L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Susan Rice, aveva fatto riferimento alla natura “spontanea” della protesta contro il film “Innocence of Muslism”, poi sfociata nelle violenze di Bengasi. Proprio per aver escluso la radice terroristica dell’attacco all’ambasciata americana in Libia, la possibile candidata alla successione di Hillary Clinton è fortemente criticata dall’opposizione. Stando al Wall Street Journal, la prima bozza faceva riferimento ad al-Qaeda ma il riferimento stesso fu poi rimosso per proteggere fonti e indagini in corso. E’ stato invece il New York Times a raccontare il 5 dicembre che durante la guerra contro Gheddafi gli Stati Uniti autorizzarono il Qatar a fornire armi ai ribelli libici scoprendo solo dopo che gran parte di questi equipaggiamenti erano finiti nelle mani di miliziani islamisti mentre oggi proprio il Qatar è sospettato di aiutare i jihadisti legati ad al.-Qaeda che controllano il nord del Malì. Un’esperienza che rende  gli statunitensi comprensibilmente più cauti nell’autorizzare l’invio di armi agli insorti siriani (tra i quali vi sono molte milizie islamiste, alcune legate ad al-Qaeda)  sostenuti con armi e denaro da Qatar, Turchia e Arabia Saudita.

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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