Verso una svolta nel conflitto siriano?

Le possibilità che la crisi siriana giunga a una svolta sembrano legate ai segnali di un maggiore coinvolgimento internazionale che si registrano in questi giorni sul fronte politico e militare. Dopo la costituzione della Coalizione nazionale siriana, istituita in Qatar ma con sede al Cairo da 14 gruppi di opposizione, i Paesi arabi e l’Occidente hanno accelerato il riconoscimento politico e l’invio di aiuti alla nuova organizzazione. La dirigenza della Coalizione è guidata da due oppositori storici al regime siriano del quale hanno frequentato a lungo le carceri: Ahmad Moaz al Khatib vicino ai Fratelli Musulmani e George Sabra , già membro del Partito comunista siriano. Uomini quindi in grado di raccogliere appoggi negli ambienti islamisti che influenzano oggi tutti i Paesi arabi come in quelli laici di America ed Europa. Il gruppo degli ‘Amici del Popolo Siriano’, oltre 120 delegazioni di Paesi ed organizzazioni internazionali riuniti a Marrakech, hanno riconosciuto oggi la nuova coalizione dell’opposizione come “il legittimo rappresentante del popolo siriano” chiedendoal presidente Bashar al-Assad, di farsi da parte. Anche il governo americano ha formalmente riconosciuto la Coalizione dell’opposizione siriana “come legittimo rappresentante del popolo siriano in opposizione al regime di Assad”. Lo ha ufficializzato il presidente americano Barack Obama alla rete televisiva Abc aggiungendo che “abbiamo deciso che la coalizione dell’opposizione siriana è ormai abbastanza inclusiva e abbastanza rappresentativa della popolazione siriana da considerarla come legittimo rappresentante del popolo siriano in opposizione al regime di Assad”.
Benchè il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, abbia sottolineato che al-Khatib si è detto “disponibile alla soluzione politica della crisi, anche con negoziati aperti a responsabili alawiti vicini al regime”, l’ipotesi di negoziati sembra non avere molti margini per concretizzarsi almeno finché Bashar Assad resterà a Damasco. Per questo gli Stati Uniti sono impegnati in un’opera di mediazione tesa a convincere Mosca a indurre Assad a dimettersi e a lasciare la Siria per dar subito vita a un governo transitorio con rappresentanti tutte le confessioni religiose. Una proposta che secondo il quotidiano russo Kommersant è stata illustrata dal segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, al collega russo, Serghei Lavrov. La creazione di un governo multiconfessionale dovrebbe consentire di evitare scontri tra sunniti, alauiti, cristiani, curdi e le altre comunità (molte delle quali temono l’affermarsi di un regime islamista sunnita) e potrebbe scongiurare il rischio rappresentato dalle armi chimiche presenti negli arsenali dell’esercito siriano e che potrebbero cadere nelle mani di milizie ben poco affidabili. Mosca, maggior sponsor del regime siriano insieme a Cina e Iran, per ora non sembra disposta ad abbandonare l’alleato né sembra convinta di poter indurre Assad a lasciare Damasco e ha anzi mostrato sorpresa per la decisione di Obana di riconoscere la coalizione degli insorti.

Il rischio islamista

Il governo russo aveva recentemente sottolineato come gli Stati Uniti si siano resi conto che l’appoggio agli insorti ha favorito gruppi estremisti e terroristici come Fronte Jabhat al-Nusra, legato al ramo iracheno di al-Qaeda e dichiarato da Washington una “organizzazione terroristica internazionale” con un documento firmato dal Hillary Clinton il 20 novembre scorso.
Il problema determinato da al-Nusra e da altri gruppi islamisti (armati e finanziati da organizzazioni non governative di Qatar e Arabia Saudita) non è legato solo alla matrice politica ma soprattutto ai notevoli successi sul campo di battaglia. Un’inchiesta del New York Times ha rivelato nei giorni scorsi che la milizia qaedista è oggi la meglio armata, la più ricca e la più efficiente tra quelle che combattono le truppe lealiste. La presenza di molti combattenti esperti veterani di Afghanistan, Iraq e Yemen ha permesso di espugnare alcune importanti basi militari governative e di mettere le mani su armi pesanti inclusi missili antiaerei e carri armati. L’ultima installazione espugnata dai jihadisti ieri sera è quella di Sheikh Suleiman, ultimo grande presidio militare a ovest di Aleppo, a nord della quale è sotto attacco anche un’accademia militare che ospita 3mila soldati. Un reportage della AP da Sheikj Suleiman ha confermato che molti miliziani provengono da altri Paesi arabi e dall’Asia centrale.
I successi militari rendono al-Nusra sempre più ingombrante sminuendo il ruolo militare delle altre milizie e soprattutto dell’Esercito siriano libero, i disertori che per primi presero le armi contro il regime grazie all’aiuto e all’ospitalità della Turchia e che oggi sembrano sempre più emarginati dai movimenti di matrice islamica. Se infatti l’assetto politico delle opposizioni siriane sembra raggiungere un equilibrio e un punto di coesione tra buona parte dei diversi gruppi altrettanto non si può dire dell’assetto militare. Il 7 dicembre è stato costituito ad Antalya, nel sud della Turchia, un comando militare unificato che riunisce i gruppi appartenenti ai movimenti salafita e dei Fratelli Musulmani ma esclude l’ELS e altri gruppi laici. Esponenti militari di spicco come il colonnello Riad al-Asaad, fondatore dell’ELS, il generale Hussein Haj Ali, l’ufficiale più alto in grado fra quanti hanno finora abbandonato il regime di Damasco e il generale Mustafa al-Sheikh (noto per le posizioni anti-islamiste) non hanno partecipato al vertice di Antalya al quale erano presenti come “osservatori” ufficiali di collegamento e uomini dei servizi d’intelligence di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Giordania, Qatar e Arabia Saudita. Il nuovo comando è guidato dal generale Selim Idris, considerato vicino ai salafiti, e dispone di uno stato maggiore composto di trenta militari e civili.

Gli sviluppi militari
Le spaccature tra i diversi gruppi degli insorti e il consolidarsi di alleanze tra le milizie islamiste rendono molto pericolose le forniture di armi che gli occidentali stanno fornendo senza troppo clamore ai ribelli dopo mesi di presenza più o meno rimasta nell’ombra di consiglieri militari europei e statunitensi in Turchia e persino dentro al territorio siriano. Nei giorni scorsi Le Figaro ha rivelato che una missione di consiglieri militari francesi ha incontrato esponenti dell’Esercito libero siriano in “una zona tra Damasco e il Libano”, all’interno del territorio siriano con l’obiettivo di individuare i destinatari di eventuali forniture di armi. Le fonti dell’opposizione siriana citate dal giornale francese hanno reso noto che anche agenti britannici e statunitensi avrebbero avuto incontri con i ribelli. Gli esperti francesi hanno voluto sapere i compiti dei diversi gruppi e “la capacità operativa di ognuno di loro” e la loro “connotazione politica” hanno spiegato ancora le fonti. Anche fonti militari francesi hanno confermato la missione.
La Francia che ha riconosciuto formalmente la nuova coalizione dell’opposizione siriana, chiede alla Ue di fornire “armi difensive” ai gruppi ribelli “opportunamente identificati”. Secondo il Sunday Times anche Washington ha dato il via da alcune settimane a forniture militari ai ribelli che includerebbero armi prelevate in Libia dalle caserme dell’esercito di Gheddafi quali mortai, razzi anticarro e missili antiaerei SA-7 ai quali sarebbero da attribuire i recenti abbattimenti di jet ed elicotteri lealisti. Gli aiuti militari ai ribelli potrebbero però non essere l’unica forma di intervento militare internazionale. Gli indizi che qualcosa si stia muovendo in vista di un attacco dall’esterno alle forze di Assad si moltiplicano in queste ore. Secondo indiscrezioni Londra avrebbe schierato jet Typhoon e Tornado nelle basi aeree a Cipro mentre il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, ha sentito il bisogno oggi di dichiarare che la Francia non ha ”intenzione di intervenire in Siria” ma al tempo stesso si è rifiutato di confermare la presenza della portaerei Charles De Gaulle nelle acque antistanti la Siria dove già da alcuni giorni incrocia la portaerei statunitense Eisenhower

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Foto APo

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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