LA COREA A UN PASSO DALLA GUERRA

Kim Jong Un bluffa come fece spesso suo padre per ottenere contropartite economiche e politiche dalla comunità internazionale o sta davvero preparandosi a scatenare la seconda guerra di Corea? Difficile dare una risposta analizzando la sola escalation di iniziative e dichiarazioni bellicose di Pyongyang che hanno fatte seguito all’inasprimento delle sanzioni dell’Onu dopo il test atomico del febbraio scorso. Prima la minaccia di utilizzare armi nucleari per  un “attacco preventivo contro l’aggressore americano”, poi la decisione di abrogare il trattato di non aggressione con la Corea del Sud e infine il taglio della “linea rossa” che assicura le comunicazioni tra i vertici delle due Coree durante le crisi. Quanto accaduto in passato (la linea rossa era stata “tagliata” anche nel 2008 e nel 2010) potrebbe risultare di scarso supporto per prevedere le mosse del regime comunista anche perché Kim Jong Un arriva al suo “battesimo del fuoco” galvanizzato dai successi conseguiti negli ultimi mesi con il lancio di un missile balistico a lungo raggio e la realizzazione di un test atomico sotterraneo. “Crediamo che i nordcoreani cercheranno di usare le armi nucleari contro le forze americane e gli alleati solo per difendere il regime di Kim Jong-un, ma non sappiamo cosa potrebbe convincere Pyongyang ad attaccare ”ha reso il direttore della National Intelligence statunitense, James Clapper.  A rafforzare l’ipotesi dell’azzardo bellico dei nordisti ci sono poi due precedenti risalenti al 2010 che hanno visto le provocazioni militari di Pyongyang restare impunite.  In marzo un siluro lanciato da un sottomarino affondò in acque internazionali la corvetta sudcoreana Cheonan e in novembre i lanciarazzi katyusha bombardarono l’isola di Yeonpyeong. Nei due scontri morirono 50 sudcoreani ma né Seul né Washington attuarono effettive rappresaglie militari. Un precedente che potrebbe indurre Pyongyang a forzare la mano con nuove oche rischierebbero di creare anche le condizioni di tensione nelle quali un semplice errore o l’errata interpretazione della manovra di un velivolo o di una nave da guerra possono determinare l’inizio delle ostilità. Del resto il regime comunista definisce pretestuosamente “una vera e propria invasione” l’esercitazione navale americana e sudcoreana Key Resolve, iniziata solo virtualmente con simulazioni computerizzate e che fa comunque parte di un programma addestrativo della durata di sei settimane denominato ”Foal Eagle” che si ripete ogni anno coinvolgendo le forze statunitensi in Corea (30 mila militari con carri armati, artiglieria e decine di cacciabombardieri F-16). Ridicolo che il regime di Kim Jong-Un abbia risposto paventando addirittura una “guerra atomica imminente” e che il Rodong Sirmun,  quotidiano ufficiale del Partito del Lavoro abbia scritto che “i reparti militari di prima linea, le unità antiaeree e missilistiche strategiche con armi nucleari sono nello stadio finale della preparazione per una guerra a tutto campo, in attesa dell’ordine d’attacco”.

Le opzioni del Nord
Le carte militari che Pyongyang potrebbe decidere sono almeno tre. Attacchi limitati contro navi da guerra di Seul, isole o zone di confine presentandole come risposte a provocazioni del nemico. Si tratta forse dell’opzione più probabile anche se rischierebbe di innescare scontri militari di ampia portata che evidenzierebbero l’inferiorità dei mezzi e dell’addestramento delle forze del Nord nei confronti dei più sofisticati e moderni equipaggiamenti delle truppe di Seul e degli statunitensi. L’opzione di attacchi nucleari contro gli Stati Uniti o le loro basi nel Pacifico viene generalmente ritenuto inconsistente per varie ragioni. Washington controlla costantemente lo spazio aereo nordcoreano e potrebbe rilevare e probabilmente intercettare i missili balistici con le batterie di missili Standard imbarcati sulle navi della Settima Flotta. Non è poi confermata la capacità dei vettori nordcoreani di raggiungere il territorio statunitense (ma le basi a Guam, in Giappone e in Corea si) né che siano già disponibili testate atomiche ma l’impiego di queste armi genererebbe una rappresaglia devastante da parte degli Stati Uniti che riporterebbe la Corea del Nord all’età della pietra, in realtà poco più indietro di dove si trova ora. Sottovalutare le capacità di Pyongyang di scatenare un sanguinoso conflitto rappresenterebbe un errore tenuto conto della “spada di Damocle”  che pende sulla capitale sudcoreana, situata quasi a ridosso del confine, è a tiro non solo delle centinaia di missili balistici a breve raggio Hwasong (derivati dagli Scud), ma anche di migliaia di razzi campali pesanti e persino dei cannoni da 152 millimetri nascosti all’interno di caverne lungo il 38° Parallelo e difficili per tenerli al riparo dai raids aerei. Armi che potrebbero utilizzare testate chimiche presenti in gran quantità negli arsenali nordisti

L’irritazione cinese
Oltre a Washington e Seul anche Pechino appare seriamente preoccupata dall’escalation militare innescata dalla Corea del Nord, sulla quale i cinesi si sono forse illusi di poter esercitare un concreto controllo. Ora più che mai con le crisi in atto con Giappone, Vietnam, Taiwan e Filippine per il controllo degli arcipelaghi, la Cina ha bisogno di far emergere il suo ruolo di stabilizzatrice per consolidare la sua immagine di grande potenza. Del resto con il suo massiccio quanto ostentato riarmo aereonavale la Cina ha fatto autogol impaurendo tutti i suoi vicini (Seul sta addirittura valutando di dotarsi di un deterrente nucleare nazionale dopo il ritiro negli anni scorsi, delle atomiche americane presenti nel Paese dagli anni ‘50), buttatisi a capofitto in una corsa al riarmo senza precedenti e tra le braccia molti degli stati Uniti. Un trend che risulterebbe accentuato se le minacce nordcoreane culminate con la denuncia del trattato di non aggressione firmato con Seul determinassero un incremento della presenza militare statunitense nel “cortile di casa” di Pechino.

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