LA NUOVA GUERRA FREDDA TRA USA E RUSSIA PER IL POLO NORD

di Antonella Scott da il Sole 24 Ore del 2 marzo

La Russia affila le armi: presto sarà guerra per l’Artico. “Non risparmieremo alcuno sforzo – ha assicurato nei giorni scorsi in un’intervista all’agenzia Reuters l’esploratore polare Artur Chilingarov – per dimostrare che la Russia sta seduta su risorse artiche. Facciamo molto, molto sul serio”. Chilingarov, eroe nazionale da quando, nell’estate 2007, scese con il suo minisottomarino a 4.200 metri di profondità sotto il Polo Nord per piantarvi il tricolore russo, ha precisato che la conquista dell’Artico è un progetto “sostenuto dal presidente. Un obiettivo da centrare entro la fine dell’anno”. Entro fine anno i russi torneranno alla carica alle Nazioni Unite, sicuri di poter provare che, attraverso la dorsale Lomonosov, sotto il mare la piattaforma artica è collegata senza interruzioni al continente siberiano, e ha la stessa struttura geologica: è terra russa, dunque, e per questo a Mosca spetta una “quota” dell’Artico molto superiore a quella che le viene riconosciuta attualmente. Non solo ghiacci, ma le grandi risorse naturali – gas, petrolio, diamanti, oro, carbone, ferro – che il clima e la tecnologia renderanno meno difficili da raccogliere. “Non vogliamo nulla che appartenga a qualcun altro – ha affermato Chilingarov – ma se dimostriamo che è nostro, ci spetta”. La questione non è così semplice: tutti i Paesi che si affacciano sulla regione artica – oltre alla Russia gli Stati Uniti, il Canada, la Danimarca e la Norvegia – sono pronti a difendere i propri interessi, e rivendicazioni sul Polo vengono anche da danesi e canadesi. Per non parlare di una ventina di altre nazioni che, prendendo a modello l’Antartide, sostengono che le risorse attorno al Polo Nord debbano essere accessibili a tutti.

Il diritto del mare
Al momento da queste parti detta legge la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, che dal 1982 affida ai cinque Paesi costieri il controllo sull’Oceano Artico per 200 miglia nautiche dalle rispettive piattaforme continentali, zona economica esclusiva per ciascuno di loro. Oltre le 200 miglia, le acque dell’Artico non hanno un’appartenenza, ma stanno diventando terreno di battaglia. Nel 2001 la Russia aveva tentato un primo approccio all’Onu reclamando un’estensione del proprio regno artico, e venne respinta per mancanza di prove. “Non siamo più nel XV secolo – aveva sbottato il ministro degli Esteri canadese, Peter MacKay, quando nel 2007 Chilingarov scese sotto il Polo – non puoi più andare in giro per il mondo piantando bandiere e dicendo: reclamiamo questo territorio”. Secondo le stime della US Geological Survey, sarebbe nascosto nell’Artico il 30% del gas naturale e il 15% del petrolio che l’uomo non ha ancora scoperto. La ragione per cui ad affacciarsi sul Polo ci sono anche sempre più numerose compagnie energetiche, dall’Alaska alla Chukotka, in gara per non perdere l’occasione: Statoil, ExxonMobil, Eni, Total, Shell, e naturalmente le russe Gazprom e Rosneft, in cerca di alleati perché esplorare e sfruttare le ricchezze dell’Artico non è impresa facile, anche tenendo conto del riscaldamento globale. Che offre un altro premio, rendendo accessibile (navigabile da giugno a metà novembre) la via commerciale marittima del Nord: 9.800 km e 18 giorni di viaggio da Murmansk alla Corea del Sud, una sfida alla via che passa dal Canale di Suez, lunga 19.700 km e 37 giorni.

La Via del Nord è di Putin
Anche su questa Putin mette le mani avanti: in gennaio il Governo russo ha approvato il Programma statale per l’Artico, che disegnando la strategia per i prossimi sette anni suggerisce di tradurre in legge i diritti di Mosca sulla Via artica del Nord, stipulando che debba battere bandiera russa almeno il 70% dei mercantili operativi nella regione. Il presidente russo, del resto, non perde occasione per sottolineare che Mosca difenderà con determinazione i propri interessi geopolitici nell’Artico: è il Paese che ha le coste più estese lassù, e sta oltre il Circolo polare artico una parte considerevole del territorio russo. Parole accompagnate da un rafforzamento della presenza russa nella regione: infrastrutture e trasporti, stazioni meteo e basi biologiche. Ma anche installazioni militari: nel 2011 le autorità russe hanno avviato lo spiegamento della Forza artica, dopo aver rafforzato le unità di frontiera sotto la supervisione dell’Fsb, erede del Kgb. Una brigata di fanteria e la flotta di sottomarini nucleai basate a Murmansk, una base aerea per cacciabombardieri in Jakuzia. Rosatom, l’agenzia federale per l’energia atomica, ha in programma l’ammodernamento di una pattuglia che conta nove dei dieci rompighiaccio nucleari al mondo: apristrada indispensabili, per ora, alle navi mercantili lungo la Via del Nord.  “Grazie alle politiche di esplorazione e produzione attuate dall’Unione Sovietica – ha detto ancora il 73enne Chilingarov alla Reuters – la nostra economia oggi è largamente basata su ciò che abbiamo sviluppato nelle regioni artiche, da Norilsk alla Chukotka. Allora non ci spingemmo in mare, ma le risorse non sono inesauribili. Il nostro compito ora è lasciare alle generazioni future le stesse chance di stabilità economica che ci ha dato l’Urss”. Se la Russia vincerà la sua battaglia per l’Artico, il 60% degli idrocarburi della regione saranno suoi.

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