GIORNALISTI RAPITI IN SIRIA: QUEI RIBELLI SONO DEI TERRORISTI

 

da Il Giornale dell’8 aprile 2013 di Gian Micalessin  

Si spera ancora in una soluzione a breve per i 4 italiani La troupe Rai «fermata»tre giorni fa ènelle mani di un gruppo di integralisti Ma i media minimizzano i rischi perché sono anti Assad. E l’Italia li sostiene Bloccati. Fermati. Ma per­ché non «invitati»? O addirittu­ra «ospitati»?

La rassegna dei ti­toli sui giornalisti italiani cadu­ti nelle mani di al-Nusra, un gruppo ribelle siriano d’ispira­zione jihadista, sarebbe comi­ca se non fosse vera. Per le edi­zioni on line di Repubblica , La Stampa e l’Unità – tanto per ci­tarne alcuni – Amedeo Ricucci, Andrea Vignali, Elio Colavolpe e Susan Dabbous non sono sta­ti rapiti.

Non sono prigionieri. Sono bloccati in attesa di chiari­menti. Come un viaggiatore senza documenti al valico di Chiasso. Peccato che nella pro­vincia siriana di Idlib, al di là del confine turco, non ci siano i do­ganieri svizzeri, ma i militanti di Jabhat al-Nusra, una delle più fanatiche formazioni d’ispi­razione jihadista attive sul fron­te siriano. Una formazione che Washington, pur impegnata nel sostenere le forze anti As­sad, inserisce nell’elenco dei gruppi terroristi. Una formazio­ne che si batte per la trasforma­zione della Siria in un Califfato e conta tra le proprie fila i vetera­ni del gruppo di Zarqawi, la cel­lula qaidista irachena famosa per la decapitazione di ostaggi occidentali.

Ma questi particolari eviden­temente appaiono irrilevanti. Dopo aver perso di vista l’invo­luzione fondamentalista della rivoluzione tunisina, egiziana e libica una parte della stampa preferisce chiudere gli occhi an­che sulla radicalizzazione della rivolta anti Assad. Nasce anche da qui la compiacenza e la di­sponibilità con cui si accetta il suggerimento, proveniente del­la galassia ribelle e dalle loro quinte colonne italiane, di ab­bassare i toni a spacciare un evi­dente sequestro di persona per un innocuo «fermo tempora­neo ».

L’atteggiamento, inten­diamoci, è legittimo. Se Parigi e Londra cercano da mesi di con­vincere il resto dell’Unione Eu­ropea a finanziare una galassia ribelle chiaramente egemoniz­zata dalle formazioni più radi­cali, anche la stampa è libera di schierarsi. Ma se schierarsi è comprensibile, meno lecito è farsi trascinare in un ipocrita e acquiescente torpore con cui si rischia di giustificare non solo il sequestro di un collega, ma an­che le sue peggiori conseguen­ze. Se si accetta l’idea che un gruppo di fanatici possa seque­strare dei colleghi per verifica­re se siano spie o autentici gior­nalisti, allora lo stesso gruppo potrà sentirsi giustificato ad ap­plicare la propria fanatica legge se riterrà fondati i propri sospet­ti. Così andò in Iraq nel 2004 con il povero Baldoni, elimina­to da un gruppo che lo conside­rava una spia. Da questo punto di vista an­che la situazione di Ricucci e compagnia inizia a farsi preoc­cupante.

Chi continua a chia­mare «fermo» il loro sequestro farebbe meglio a contare le ore trascorse da giovedì pomerig­gio. A questo punto sono oltre 72. Sufficienti a un gruppo orga­nizzato come al- Nusra per con­tattare le proprie cellule italia­ne e c­hiarire che Ricucci e gli al­tri sono autentici giornalisti im­pegnati da mesi a documenta­re le attività dei gruppi anti As­sad. Assicurazioni che i nostri servizi segreti e quelli turchi hanno probabilmente già pas­sato ai loro omologhi del Qatar e dell’Arabia Saudita, notoria­mente in contatto con al-Nu­sra. P

iù il tempo passa più il cor­diale «fermo» rischia di trasfor­marsi in qualcosa di ben più se­rio di una «vacanza». La speran­za è, ovviamente, che i nostri colleghi tornino liberi nelle prossime ore. Ma se così non sa­rà, chi esibisce una remissiva acquiescenza con i rapitori do­vrà incominciare a chiedersi se il proprio atteggiamento non ri­schi di legittimare il sequestro. E tutte le sue eventuali conse­guenze.

 

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