LA NUOVA LISTA DELLA SPESA DELLA DIFESA ITALIANA

(aggiornato il 21 maggio ore 16)

Mentre l’attenzione mediatica e politica è concentrata sull’F-35 e molti chiedono, in nome della crisi economica, la riduzione dei 90 esemplari previsti dall’Italia, i vertici militari preparano il terreno all’acquisizione di nuovi sistemi d’arma nel settore dei velivoli teleguidati, della difesa antimissile e delle unità navali d’altura. Una lista della spesa evidenziata negli ultimi giorni da dichiarazioni ufficiali apparse sulla stampa internazionale e italiana.

 

Droni made in UE?

Da quanto dichiarato al periodico statunitense Aviation Week dal generale Claudio Debertolis  alla testa di Segredifesa (l’organismo militare che cura l’acquisizione di nuove armi ed equipaggiamenti), Roma sembra incontrare difficoltà nel ricevere dagli Stati Uniti i kit di armamento per i sei velivoli teleguidati Reaper MQ 9 in dotazione al 32° Stormo di Amendola che li affianca ai sei più piccoli Predator. L’Italia chiese a Washington l’autorizzazione ad acquisire i kit per l’armamento dei droni quasi due anni fa e una mancanza di risposta da Washington è “un caso che non è molto accettabile”. Il generale ha detto che in alternativa l’Italia potrebbe sviluppare droni armati autonomamente o con i partners europei e che in proposito esiste già un “programma riservato” (black program) sul quale non ha fornito dettagli. Il generale Alberto Rosso, responsabile della logistica dell’Aeronautica Militare Italiana, ha aggiunto che “gli Stati Uniti non sono l’unico Paese in grado di fornire queste capacità e se non saremo in grado di soddisfare le nostre esigenze potremmo cercare alternative”. Le dichiarazioni dei due alti ufficiali italiani aprono molti interrogativi. Innanzitutto perché l’acquisizione dei kit di armamento per i Reaper sembrava procedere senza intoppi pur se con qualche ritardo, dopo che il Congresso statunitense non aveva posto veti alla fornitura chiesta dall’Italia nonostante qualche deputato avesse espresso riserve circa l’esportazione delle tecnologie “unmanned”. Del resto l’11 maggio il Capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Pasquale Preziosa, aveva detto alla Gazzetta del Mezzogiorno che i Reaper “saranno dotati di armamento entro quest’anno”.

Il malumore di Segredifesa e dell’Aeronautica potrebbe essere legato a due aspetti. Il primo riguarda l’impossibilità di ottenere da Pentagono e General Atomics (azienda produttrice di Predator e Reaper) forme di cooperazione tecnica e logistica che coinvolgano le nostre aziende. Un aspetto che dovrebbe mettere in guardia circa la ridotta autonomia che potremmo avere nella gestione degli F-35 e delle tecnologie avanzate imbarcare su quel velivolo. Il secondo punto concerne l’intenzione dell’Aeronautica di schierare i Reaper armati in Afghanistan al posto degli attuali Predator disarmati ovviamente prima della conclusione della missione a Herat prevista per la fine del 2014 ma che probabilmente verrà anticipata. Come ha detto recentemente il generale Preziosa “sarei più tranquillo se potessi già proteggere attivamente gli uomini sul campo con un velivolo (teleguidato) armato”. I ritardi nella consegna delle armi allungherà i tempi per l’addestramento del personale e la piena operatività dei velivoli, aspetti che potrebbero rendere impossibile l’avvicendamento dei droni a Herat già oggi reso improponibile dai costi elevati e ingiustificati per l’imminente conclusione dell’operazione della Nato.  Ciò nonostante le affermazioni di Preziosa sembrano contraddire quanto dichiarato da Debertolis (anche lui generale d’Aeronautica) anche se ha dell’incredibile dover apprendere da giornali specializzati stranieri valutazioni e dichiarazioni del vertice di Segredifesa che non sono mai state espresse ai media nazionali.  In un’intervista alla Rivita Italiana Difesa pubblicata nel febbraio scorso Debertolis dichiarò infatti che “l’opposizione di alcuni ambienti congressuali ha finora impedito che questa richiesta (delle armi –bdr) potesse essere soddisfatta” aggiungendo che “iI Pentagono, dal canto suo, non avrebbe niente in contrario, come ribadito anche durante la visita in Italia dei Segretario alla Difesa, Leon  Panetta”.

Misterioso anche il riferimento di Debertolis al “programma riservato” per il drone armato europeo. Una vicenda tutta da chiarire anche perché se il programma è “black” perché il generale ne ha parlato ad Amy Butler, giornalista di Aviation Week? Forse per esercitare pressioni dirette sul Pentagono palesando possibili alternative ai velivoli americani e sollecitare la rapida consegna dei kit d’armamento? Ipotesi probabile soprattutto se si valuta la grande disponibilità espressa da Washington ai britannici con il “prestito” di velivoli statunitensi per i test d’integrazione dei missili MBDA Brimstone consentendo così alla RAF di lasciare i suoi Reaper in Afghanistan.  Le difficoltà emerse tra i partner europei a trovare un accordo per produrre un drone armato comune sono note e lo stesso Debertolis ha precisato che il programma non è ancora decollato pur aggiungendo che un Super MALE (Medium Altitude Long Endurance) armato potrebbe essere annunciato tra un mese al Salone del Bourget. Circa i tempi lunghi di un progetto europeo basti ricordare che la Francia riceverà con urgenza due Reaper già destinati all’USAF per schierarli in Malì entro quest’anno, più altri cinque che verranno consegnati nel 2014. Se anche ci fosse un accordo quasi ultimato tra alcuni Paesi europei per dare vita a un Super MALE armato ci vorrebbero però anni per arrivare a disporre di una flotta operativa di nuovi droni   “made in Europe” la cui adozione  renderebbe peraltro superflui i Reaper e Predator acquistati in questi anni negli Stati Uniti per 378 milioni di dollari. Di questi i primi 4 Predator (un quinto venne perduto in un incidente) verranno radiati presumibilmente nel 2020 ma i 2 Predator A Plus e i 6 Reaper sono nuovissimi e sostituirli o duplicare la flotta di droni di quella categoria affiancando un velivolo europeo rappresenterebbe uno spreco di risorse.

 

 

MEADS a difesa di Roma?

Sempre ad Aviation Week il generale Debertolis ha espresso alcune valutazioni anche sul sistema di difesa contro i missili balistici MEADS (Medium Extended Air Defense System), programma congiunto tra Stati Uniti (Lockheed Martin), Italia e Germania (MBDA missile Systems) dal quale Washington si sgancerà l’anno prossimo dopo il completamento della fase di sviluppo. L’abbandono degli USA rischia di affondare il programma vanificando gli investimenti sostenuti fino ad oggi pari a oltre  4 miliardi di dollari tra i quali 800 milioni di euro spesi dall’Italia. Debertolis ha espresso esplicitamente l’auspicio che Polonia e Giappone colmino il vuoto lasciato dagli statunitensi anche se i due Paesi potrebbero essere interessati a valutare anche prodotti diversi e già operativi. Di “due clienti internazionali interessati a essere coinvolti nello sviluppo e nella produzione”del Meads  aveva parlato anche Rick Edwards, vice presidente esecutivo di Lockheed Martin Missiles, partner dell’europea MBDA nel programma. Nonostante l’austerity, come ha sottolineato Aviation Week, Debertolis ha detto che l’Italia potrebbe acquistare almeno una batteria di Meads per la difesa di Roma. L’Esercito italiano però schiera già un sistema contro i missili balistici, il Samp-T prodotto con i francesi da MBDA e offerto anche ai turchi che impiega il missile Aster 30. L’acquisizione di una batteria di Meads duplicherebbe i sistemi antimissile italiani e i costi anche perché utilizza il missile americano Patriot PAC-3 non adottato dall’Italia.

Fonti di Segredifesa hanno precisato che la batteria citata da Debertolis è il prototipo utilizzato per i test e lo sviluppo già esistente nella base romana di Pratica di Mare che sarebbe utile “impiegare in qualche modo” qualora il programma Meads non dovesse arrivare alla fase di produzione per mancanza di fondi o di partner”. E’ però difficile immaginare l’utilizzo diuna singola batteria senza il supporto logistico/industriale e soprattutto senza le armi anche perché a Pratica di Mare risulta esserci solo il lanciatore, il radar guida missili e la centrale operativa (sviluppati da italiani e tedeschi) ma non il radar di scoperta né i missili Patriot Pac-3.  Del resto nella già citata intervista a RID di tre mesi or sono Debertolis aveva detto che “qualora la partecipazione americana dovesse realmente terminare, il know-how e l’expertise tecnologica, rilevante, accumulata con il Meads, saranno fatti ricadere su altri programmi, a cominciare ovviamente dal SAMP-T”.
Una posizione diversa da quella espressa ad Aviation Week e simile a quella dell’industria tesa a salvaguardare il lavoro effettuato sul Meads in vista di un futuro sistema di difesa antimissile europeo. “Il nostro punto di vista è quello del tax payer che non può vedere disperse le risorse investite. La soluzione di un’architettura europea di difesa contro i missili balistici è l’uso efficiente degli investimenti già fatti” aveva detto ad Analisi Difesa l’ad di MBDA Italia Antonio Perfetti, intervistato durante il recente Salone della difesa Idef di Istanbul.

 

 

FREMM e pattugliatori per la Marina

Nonostante le carenze di bilancio e i drastici tagli al naviglio previsti dalla riforma dello strumento militare firmata dal ministro Giampaolo Di Paola, la Marina Militare punta a mettere in cantiere un ampio programma di nuove costruzioni. Il completamento del Programma per le fregate Fremm è una priorità confermata nei giorni scorsi anche dal  Sottosegretario alla Difesa, Roberta Pinotti, in visita ai cantieri spezzini di Riva Trigoso accompagnata dal presidente della commissione Difesa del Senato Vito Vattuone. Delle 10 unità previste 4 sono state finanziate, per altre 2 verranno  presto stanziati 749 milioni di euro mentre, come riporta il “Corriere Mercantile”. Il sottosegretario Pinotti ha precisato che “per il finanziamento della settima e ottava nave, la cui opzione è scaduta il 29 aprile scorso, occorrerà attendere ancora sei mesi”. Le due navi sono incluse nel piano di investimenti 2014/2016 ma la Pinotti (che riceverà la delega alle Politiche Industriali oltre che alla Programmazione e all’Armamento) ha aggiunto che “esiste un piano che prevede investimenti per progetti di armamento sostenuti dal Ministero dello Sviluppo Economico. Sulla legge di stabilità del 2013 era presente lo stanziamento per le Fremm, lo stesso lavoro deve essere compiuto per il 2014 e 2015. In altre parole, nella legge di stabilità bisogna confermare e finalizzare i finanziamento, perché si tratta di capitoli di bilancio che possono contenere anche altri programmi”. Oltre alle fregate multimissione la Marina punta a compensare la prossima radiazione di una trentina di vecchie unità con nuove costruzioni anche nel settore dei pattugliatori d’altura.

Milano Finanza ha riferito di un programma per otto nuovi pattugliatori del valore di 2,4 miliardi di euro (300 milioni a esemplare) il cui stanziamento potrebbe venire favorito dall’ultima ricerca Srm (Studi e ricerche del Mezzogiorno), Banca d’Italia e Assoporti su “Trasporto marittimo e sviluppo economico” nel quale si valuta che 100 euro investiti in una nuova unità navale ne generano 249 nel sistema economico nazionale.  Questo effetto moltiplicatore sul prodotto interno lordo non ha eguali negli altri settori e, secondo il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi,  questa valutazione dovrebbe spingere a ripensare i tagli lineari alla spesa militare. “In termini di budget la Marina è già la Cenerentola rispetto ad Esercito e Aeronautica eppure per il Paese investire nella Marina in maniera più incisiva significherebbe dare una forte spinta all’economia e all’occupazione, non solo alla sicurezza” ha detto De Giorgi al quotidiano economico sottolineando le ricadute complessive per l’industria italiana e per l’export valutando che ogni tre navi prodotte per la Marina ne viene esportata almeno una all’estero. La nuova classe di pattugliatori prevede unità da 4 mila tonnellate lunghe 130 metri  con velocità di 35 nodi e modulare, cioè in grado di imbarcare dotazioni diverse incluso un ospedale. Navi da utilizzare anche per il controllo delle rotte mercantili minacciate dalla pirateria, delle piattaforme petrolifere e per gli interventi di protezione civile con la possibilità di acquisire per la costruzione fondi dedicati.

Ulteriori dettagli De Giorgi li ha forniti al periodico statunitense Defense News parlando di 12 unità da 3.500/4mila tonnellate e 90 uomini d’equipaggio con le quali rimpiazzare anche le corvette in radiazione: armate di un cannone da 127 millimetri e uno da 76 millimetri più altri sistemi d’arma modulari a seconda del tipo di missione e in grado di imbarcare 2 elicotteri NH-90 o un AW-101. Una classe di unità definite “Fremm semplificate” la cui concezione è alle fasi iniziali ma che è stata approvata in via preliminare dallo Stato maggiore in sei esemplari iniziali.  Dai concetti espressi da De Giorgi le nuove unità potrebbero ispirarsi alle Littoral Combat Ship dell’Us Navy realizzate negli Stati Uniti anche da Fincantieri.

Lo stanziamento di oltre 2,4 miliardi di euro, anche se spalmato in diversi anni, difficilmente potrà provenire dai magri fondi di bilancio ma dipenderà dalle risorse del Ministero dello Sviluppo Economico o da un eventuale stanziamento ad hoc. Le valutazioni di De Giorgi circa gli investimenti risultano in linea con quanto affermato il 15 maggio dal ministro della Difesa, Mario Mauro dicastero alle commissioni congiunte di Camera e Senato. “Le spese per la Difesa non sono solo un onere per la collettività, ma sono anche in grado di contribuire allo sviluppo tecnologico e industriale. Attraverso un indirizzo strategicamente mirato degli investimenti – ha aggiunto Mauro – è possibile partecipare attivamente al rilancio dell’economia nazionale, stimolando la domanda interna, generando un indotto occupazionale, sviluppando il know how per le nostre industrie”.

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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