Diplomatici afghani in fuga in vista del ritiro della Nato
Il corpo diplomatico afghano sbanda e cerca in ogni modo di non rientrare a Kabul temendo il caos che potrebbe dilagare nel Paese in seguito al ritiro delle truppe della Nato. Secondo fonti citate dal giornale tedesco Spiegel il fenomeno è ormai molto esteso e rappresenta un importante indicatore di come viene percepito già oggi il futuro dell’Afghanistan, a un anno e mezzo dalla conclusione della missione ISAF, da una parte rilevante della sua classe dirigente. Sabato scorso 105 diplomatici impiegati a rotazione nelle ambasciate di tutto il mondo avrebbero dovuto presentarsi al Ministero degli esteri di Kabul ma di questi solo cinque si sono presentati mentre tutti gli altri, inclusi numerosi dipendenti dell’ambasciata a Berlino, sono rimasti nel Paese dove svolgevano servizio.
Fonti del Ministero degli Esteri afghano hanno riferito che coloro che hanno “disertato” il richiamo a Kabul intendono chiedere asilo con le famiglie e altri vorrebbero solo una proroga dell’incarico all’estero almeno fino alle elezioni presidenziali previste per la primavera del 2014. “Sperano che ci sia più chiarezza circa il futuro del nostro Paese” ha detto un dipendente del ministero. “ma l’esodo è già in atto. Nessuno vuole tornare in Afghanistan”. Secondo recenti sondaggi, la maggior parte afghani ritengono che il paese affonderà nel caos e nella violenza e si aspettano che la guerra civile scoppierà una volta le forze occidentali si ritirano alla fine del 2014. A preoccupare non è solo la recrudescenza degli attacchi talebani, già in atto da tempo, ma anche la ripresa della guerra tra le diverse milizie etniche e quelle che fanno capo ai “signori della guerra”.
Recentemente lo stesso comandante delle forze alleate, il generale Joseph Dunford, ha espresso dubbi circa le possibilità delle forze militari afghane di mantenere da sole la sicurezza nel Paese ma la fuga dei diplomatici evidenzia meglio di tante analisi la preoccupazione che al ritiro degli alleati facciano seguito vendette e rappresaglie su coloro che hanno collaborato con gli occidentali e con il governo. Timori che riguardano anche i tanti interpreti e collaboratori dipendenti dei contingenti militari e tanti semplici cittadini afghani.
Molti diplomatici afghani sono i figli di politici di alto rango che stanno cercando di andare all’estero e rimanervi fino a quando la situazione in Afghanistan non sarà più chiara. Un sintomo di questa tendenza, racconta lo Spiegel, è il calo improvviso dei viaggi d’istruzione all’estero organizzati per i funzionari dell’amministrazione pubblica afghana dopo che molti partecipanti agli ultimi soggiorni di studio hanno fatto perdere le loro tracce al momento di rientrare a Kabul. Sono rimasti in Germania molti insegnanti inviati a Berlino per frequentare un corso mentre un diplomatico ha telefonato a casa durante un soggiorno in Canada per dire che non sarebbe tornato.
“Posso confermare questa tendenza” ha detto Tinko Weibezahl, il capo dell’ufficio di Kabul del Konrad Adenauer Foundation. “Negli ultimi mesi alcuni dei nostri contatti più qualificati hanno lasciato l’Afghanistan. I rifugiati sono soprattutto persone con un elevato livello di istruzione che un anno or sono erano molto più ottimisti circa il futuro” . Anche ministri, parlamentari e generali stanno cercando di portare all’estero le famiglie a dimostrazione della scarsa fondatezza delle dichiarazioni ottimistiche circa la tenuta dell’Afghanistan democratico dopo la partenza degli alleati.
Segnali di sfaldamento che si percepiscono anche nel settore occidentale dove opera (e opererà almeno fino al 2017) il contingente italiano. Il 27 giugno il governatore della provincia afghana di Herat ha rassegnato le dimissioni denunciando l’impossibilità di continuare a lavorare e pressioni di ogni sorta. Daud Shah Saba (nella foto), dall’agosto del 2010 alla guida della provincia di Herat, ha annunciato le dimissioni durante un incontro con alcuni funzionari governativi, leader tribali, rappresentanti della società civile e giornalisti. ”Mi dispiace per gli abitanti di Herat, ma alcuni elementi non mi consentono di lavorare”, ha detto. Il governatore ha parlato di ”interventi di circoli potenti” e del ”blocco dell’attuazione di progetti di sviluppo” nel nome di interessi personali. Saba, 49 anni, ha ricordato i vari progetti realizzati da quando ha assunto l’incarico, denunciando -senza mai fare nomi- la presenza di elementi ”potenti” che ora gli impediscono di continuare a lavorare per lo sviluppo della provincia. ”Avevo chiesto al presidente di fare luce sulle interferenze irresponsabili da parte di alcuni circoli nelle questioni della provincia di Herat, ma tutto è stato vano. Pertanto ho deciso di dimettermi”, ha aggiunto, affermando di aver presentato le dimissioni al presidente afghano Hamid Karzai.
da Il Sole 24 Ore
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.