Nella crisi tra USA e Kabul anche i dazi doganali sul ritiro

Un’aspra disputa tra Afghanistan e Stati Uniti sulle procedure doganali ha portato all’ interruzione del ritiro degli equipaggiamenti militari Usa dal territorio afghano via terra e a proseguirlo per via aerea, con un’impennata dei costi di centinaia di milioni di dollari. Il governo afghano, scriveva ieri il Washington Post, intende imporre una multa di mille dollari per ogni container che lasci il territorio afghano senza adeguati documenti doganali e ha calcolato che la cifra dovuta finora ammonta a circa 70 milioni di dollari. Il Pentagono, alle prese con una serie di tagli al bilancio, stima che i costi del ritiro degli equipaggiamenti e attrezzature militari dall’Afghanistan arriveranno ad una cifra compresa tra i cinque e i sette miliardi di dollari. A fare la differenza potrebbe essere l’impiego di spedizioni via terra o per via aerea. La disputa, che rientra in un più ampio sforzo afghano per imporre tasse ad aziende e contractor Usa, rischia di rendere ancora più complicate le trattative su un accordo di sicurezza bilaterale tra Stati Uniti e Afghanistan, che dovrebbe regolare la presenza militare americana nel Paese dopo il 2014, quando sarà conclusa la missione Nato. Le due parti, scrive il giornale, sono ancora distanti su diverse questioni, compresa quelle delle tasse e diritti doganali che verranno imposte alle forze e ai contractor Usa.  Ad accrescere la tensione tra Kabul e Washington  (Barack Obama non esclude l’opzione zero cioè il ritiro totale delle truppe a fine 2014)  contribuiscono le dichiarazioni del  segretario generale della presidenza afgana, Karim Khoram, che ieri ha detto che l’apertura dell’ufficio politico dei talebani a Doha è il risultato di un “complotto” verosimilmente ordito dagli Stati Uniti o dal Pakistan per dividere l’Afghanistan. I talebani avevano aperto questo ufficio di rappresentanza il 18 giugno scorso, ma la settimana scorsa hanno deciso di chiuderlo “provvisoriamente”.

Salutata inizialmente dagli Stati Uniti come un’iniziativa capace di offrire una chance ai colloqui di pace, l’apertura dell’ufficio era stata invece duramente criticata dal presidente afgano Hamid Karzai che, per rappresaglia, ha deciso di interrompere i negoziati con Washington sulle condizioni dell’eventuale permanenza delle truppe Usa in Afghanistan dopo la fine della missione Isaf della Nato, a conclusione del 2014. “L’apertura di questo ufficio in Qatar e il modo a cui ci si è arrivati sono la conseguenza di un complotto, che noi abbiamo denunciato come ordito per dividere o distruggere l’Afghanistan”, ha detto Khoram. L’acutizzarsi della crisi Kabul e Stati Uniti sta favorendo indirettamente l’offensiva talebana che mira a colpire il programma di transizione e a evidenziare l’inadeguatezza delle strutture governative afghane.  Secondo recenti dati fornita dalla Missione Onu in Afghanistan (Unama) 3.092 afghani sono rimasti uccisi o feriti tra il primo gennaio e il 6 giugno scorso. Tra queste vittime ci sono molti dipendenti statali, leader religiosi e tribali.

Foto. mezzi alleati in uscita dall’Afghanistan (Washington Post)

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