15 mila alleati in Afghanistan nel 2015, ucraini a Herat

Per l’ammiraglio James Stavridis, fino a poche settimane or sono comandante supremo della Nato, la consistenza ideale dei contingenti militari alleati che dovrebbero restare in Afghanistan dopo la conclusione della missione dell’Isaf è di 15 mila unità. 9 mila militari statunitensi e 6 mila alleati. Stavridis lo ha scritto in un articolo su Foreign Policy sottolineando il ruolo della prossima missione addestrativa della Nato a Kabul, battezzata Resolute Support. Le opzioni sul tappeto oggi vanno dal mantenimento di una forza di 20 mila militari con limitate capacità anche di supporto aereo e di combattimento fino alla cosiddetta “opzione zero”, il ritiro completo delle truppe alleate dal Paese come è accaduto alla fine del 2011 in Iraq. Quest’ultimo scenario viene deprecato dai militari che temono di vanificare così dodici anni di missione afghana ma pare invece raccogliere crescenti consensi presso l’Amministrazione Obama in continuo contrasto con il presidente afghano Hamid Karzai. Per Stavridis un livello di 15 mila soldati garantirebbe credibili capacità di supporto alle forze afghane nei quattro comandi regionali (Nord, Sud, Ovest, Est) con il vantaggio di affrontare costi decisamente più bassi (il sostegno finanziario alle truppe di Kabul costerà presumibilmente 4 miliardi di dollari annui) rispetto ai 100 miliardi che i soli Stati Uniti hanno spesso annualmente dal 2010 a oggi.

Il mantenimento della presenza militare alleata in Afghanistan resta  legato alla ratifica del rinnovato accordo di cooperazione strategica fra Afghanistan e Stati Uniti che dovrebbe entrare  in vigore dopo il 2014 e sarà esaminato prima della sua firma definitiva da una Loya Jorga (Gran Consiglio) che si riunirà a Kabul nei prossimi mesi. In una conferenza stampa nel palazzo presidenziale Karzai ha spiegato il 25 agosto che ”il documento è stato praticamente già preparato ma ci sono ancora questioni che il governo afghano vuole definire. Per questo, ha aggiunto, “sarà convocata una Loya Jirga, con gente proveniente da ogni provincia, distretto, città e villaggio che discuterà tutti gli aspetti del patto. Il governo, ha concluso Karzai, vede un interesse per l’Afghanistan nella conclusione di un patto di sicurezza con gli Usa,” ma a confermare questo dovrà essere la nazione afghana”. Punti sensibili dell’intesa tra Kabul e Washington riguardano l’entità della futura presenza militare, i compiti dei militari statunitensi e occidentali e il rinnovo dell’immunità giudiziaria che impedisce a Kabul di processare i soldati stranieri per reati commessi sul suolo afghano. Se quest’ultimo punto non venisse approvato dalle autorità afghane Washington ha preannunciato che verrebbe attuata la cosiddetta “opzione zero” ovvero il ritiro totale delle forze statunitensi dal Paese che indurrebbe anche gli altri alleati ad andarsene come è accaduto in Iraq. I vertici militari del Pentagono scoraggiano un ritiro completo dal Paese che renderebbe inutili gli sforzi e i costi umani e finanziari sostenuti in questi ultimi 12 anni per stabilizzare l’Afghanistan e le sue istituzioni. L’ipotesi sembra invece tentare parte dell’Amministrazione Obama frustrata per i continui contrasti con il presidente afghano Hamid Karzai.

Al momento l’unica conferma circa la futura presenza di militari alleati riguarda la disponibilità di Italia e Germania a mantenere il comando dei settori Nord e Ovest dove i tedeschi prevedono di schierare dopo il 2014 tra i 600 e gli 800 militari e gli italiani fino a un migliaio. Una missione per la quale Roma e Berlino cercano partner anche extra-Nato come nel caso degli ucraini destinati a schierare un numero imprecisato di truppe a Herat (un centinaio sono già arrivati). Prima di Ferragosto è stato siglato a Bruxelles il Technical Agreement tra Italia e Ucraina per il supporto logistico al personale di Kiev che è in fase di inserimento nel contingente italiano nell’ambito del Regional Command West di Isaf dal quale tutti i partner degli italiani se ne stano andando. I lituani, relegati per anni a Chagcharan nell’isolata provincia di Ghor, resteranno in Afghanistan ma raggiungeranno i tedeschi nel nord. Dall’Ovest si sono già ritirati gli albanesi mentre gli spagnoli stanno abbandonando la provincia di Badghis e a fine anno lasceranno a Herat non più di 300 militari contro i 750 inizialmente previsti. A siglare l’accordo italo-ucraino il rappresentante italiano presso il Comitato militare Nato/Ue, generale di corpo d’armata Gian Marco Chiarini e il rappresentante militare della missione dell’Ucraina alla Nato, generale di divisione Anatolii Petrenko.

L’accordo prevede la fornitura da parte italiana di servizi, quali l’alloggiamento e le prestazioni ad esso connesse, il vettovagliamento, la sicurezza, la manutenzione dei veicoli e la fornitura dei carburanti e lubrificanti presso la base di Camp Arena a Herat. Lo stesso accordo prevede l’erogazione, sempre da parte italiana, di beni e servizi logistici a titolo gratuito, tra i quali il servizio informazioni meteorologiche, le aree per il deposito di munizioni ed equipaggiamento, l’accesso alle infrastrutture per il benessere del personale e il servizio sanitario d’emergenza.

Foto: mortai statunitensi in azione in Afghanistan (US DoD)

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