Washington si gioca l’Egitto

L’ipotesi che Washington sospenda il sostegno alle forze armate egiziane in seguito alla repressione dei Fratelli Musulmani avrebbe pesanti ripercussioni strategiche e industriali per entrambi i Paesi. La gran parte degli armamenti più moderni in servizio con le forze armate egiziane sono statunitensi e sono stati finanziati con gli aiuti del Pentagono pari a circa 1,3 miliardi di dollari annui. Dagli oltre 200 cacciabombardieri F-16 ai 3mila carri armati M-1 Abrams (prodotti sui licenza in Egitto dall’apparato industriale gestito direttamente dal Ministero della Difesa) e M-60, dalle 6 fregate lanciamissili tipo Perry e Knox ex Us Navy agli elicotteri Blackhawk, dai 2.500 cingolati M-113  ai 4.500 “gipponi” Hummer fino ai 36 elicotteri da attacco AH-64 Apache da ammodernare, tutti i mezzi più efficienti delle forze del Cairo sono “made in USA. Il congelamento degli aiuti avrebbe effetti negativi sui programmi pluriennali miliardari di cooperazione avviati dalle aziende statunitensi che forniscono agli egiziani assistenza, mezzi, manutenzione e ricambi ma colpirebbe anche le capacità delle forze egiziane pur non influendo sulle operazioni di sicurezza interna.

L’Amministrazione Obama ha ribadito più volte di “non avere ancora deciso nulla ma è in corso una revisione sull’assistenza militare, di sicurezza ed economica, e che ”se necessarie” saranno fatte modifiche. Smentito il congelamento segreto dell’ultima tranche di aiuti finanziari previsti per quest’anno (pari  a 585 milioni di dollari) e la sospensione della consegna di nuovi equipaggiamenti inclusi i 36 elicotteri da combattimento Boeing AH-64 Apache che l’Egitto ricevette dieci anni or sono nella versione A ma che nel dicembre scorso ha deciso di aggiornare alla versione D al costo di 400 milioni di dollari, finanziati dagli aiuti statunitensi. In realtà il supporto statunitense non è più indispensabile per il Cairo dopo il sostegno all’esercito egiziano garantito dagli emirati del Golfo corsi in soccorso dei vertici militari.  Riad ha messo in campo 5 miliardi, altri 7 Kuwait ed Emirati Arabi Uniti mentre il Qatar sembra voler rivedere il sostegno fornito finora ai Fratelli Musulmani. Indiscrezioni riferiscono che nell’ambito del tentativo saudita di indurre Mosca ad abbandonare Bashar Assad il principe saudita Bandar bin Sultan offrì al presidente russo Vladimir Putin anche generose commesse militari destinate all’esercito egiziano (ma pagate da Riad) utili probabilmente a ridurre l dipendenza militare del Cairo dagli Stati Uniti.

Anche Israele è pronto a dare una mano ai generali egiziani anche per contrastare il crescente peso delle milizie qaediste nel Sinai. Il governo di Benjamin Nethanyau ufficialmente non commenta la crisi egiziana ma fonti governative hanno detto al Jerusalem Post che lo Stato ebraico intende sostenere l’esercito egiziano criticando l’ipotesi che Washington sospenda gli aiuti al Cairo e paventando il rischio che il Paese sprofondi nel caos come Siria e Libia.

L’impiego dell’esercito egiziano nelle operazioni di repressione interna non dipende direttamente dalle forniture statunitensi ma potrebbe evidenziare problemi di tenuta, specie se le violenze dovessero prolungarsi nel tempo, a causa dell’ampio numero di militari di leva.. La disponibilità dei soldati ad usare le armi contro i manifestanti potrebbe venir meno per “ragioni fisiologiche” legate alla difficoltà tradizionale di impiego di eserciti di massa contro il proprio popolo. Non vanno inoltre dimenticati gli ampi consensi popolari raccolti dai Fratelli Musulmani anche tra i membri delle forze di sicurezza e tra i militari. Un rischio ancor più tangibile tra i 300 mila poliziotti e membri delle forze paramilitari gestite dal Ministero dell’Interno e pesantemente infiltrate dalla “fratellanza” durante la presidenza di Mohamed Morsi. Se ufficiali e soldati professionisti sono da considerarsi affidabili e in gran parte poco inclini ai Fratelli Musulmani va tenuto conto che dei 340 mila militari dell’esercito egiziano ben 260 mila sono di leva come i 360 mila riservisti di pronto impiego. Comprensibile quindi che, anche per scongiurare problemi di tenuta, i militari cerchino di presentare il confronto con i Fratelli Musulmani come un conflitto contro terroristi e  “nemici dello Stato”.  Del resto i terroristi siano già presenti in Egitto e soprattutto in Sinai grazie alle cellule qaediste da anni insediatesi a Gaza e tollerate da Hamas.

Foto: il generale al-Sisi (Reuters)

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