Gibuti "caccia" i droni americani da Camp Lemmonier

da Il Sole 24 ore del 26 settembre 2013

Il massiccio impiego di droni da parte delle forze armate statunitensi continua a  sollevare polemiche non solo per le vittime provocate dai raids dei velivoli senza piloti ma anche per il rischio di incidenti e collisioni che possono mettere a repentaglio i voli civili. Come ha rivelato il  Washington Post la US Air Force ha dovuto spostare il gruppo di teleguidati (Unmanned Aerial System) MQ-9 Reaper schierati a Gibuti dalla base di Camp Lemmonier, a ridosso dell’aeroporto internazionale Ambouli a pochi chilometri dalla capitale del piccolo Stato africano, a una pista decentrata che dovrà essere completamente attrezzata. Il trasferimento è stato determinato dalla richiesta delle autorità locali preoccupate che i voli dei droni possano provocare collisioni con gli aerei passeggeri o il blocco dell’unica pista gestita in comune dalla base militare e dallo scalo di Gibuti. La base militare un tempo occupata dalla legione Straniera francese (che ancora mantiene una forte presenza nell’ex colonia dell’Africa Orientale) è stata rilevata dalle forze statunitensi all’inizio del 2002 nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom varata all’indomani degli attentati di Washington e New York dell’11 settembre.

Ai marines della Task force Horn of Africa si sono presto aggiunti unità aeree, di intelligence e uno squadrone di droni Predator e Reaper impiegati in missioni di sorveglianza e di attacco contro le milizie qaediste in Yemen e in Somalia, dove operano i combattenti shabaab e hanno trovato rifugi molti esponenti di varia nazionalità appartenenti alla “rete” fondata da Osama bin Laden.
La base di Camp Lemmonier, il cui utilizzo costa a Washington 38 milioni di dollari annui di affitto versati al governo gibutino, è stata progressivamente ampliata in questi ultimi anni con investimenti superiori al miliardo di dollari per costruire o ammodernare le infrastrutture un quarto dei quali spesi per realizzare la sede di un Joint Special Operations Command che gestisce le operazioni delle forze speciali e della Cia nella regione.  Le operazioni internazionali contro la pirateria somala hanno portato altri Paesi, inclusi Francia, Giappone e Italia (che vi schiera i team di protezione della Marina da imbarcare sui mercantili in transito), a istituire piccole basi che utilizzano lo stesso scalo impiegando velivoli pilotati.

La richiesta di spostare i velivoli teleguidati statunitensi è stata formulata dal governo locale dopo che dal gennaio 2011 sono andati perduti almeno cinque droni per incidenti dovuti ad avarie o condizioni ambientali avverse uno dei quali è precipitato non lontano dalle case di un sobborgo di Gibuti. Problemi che affliggono i droni anche in altre aree del globo come dimostrano i velivoli perduti in Afghanistan e i due Reaper schiantatisi sulla pista del principale aeroporto delle isole Seychelles, incidenti che l’anno scorso hanno indotto  il Pentagono a sospendere i voli dei droni dall’arcipelago. Secondo fonti diplomatiche la decisione di far trasferire almeno 5 Reaper sull’aerodromo di Chabelley (dotato di una pista di 2.600 metri) è stata giustificata col pericolo di incidenti e collisioni ma sarebbe in realtà determinata soprattutto dal rischio che le operazioni statunitensi rendano l’aeroporto di Gibuti in un obiettivo pagante per i terroristi di al-Qaeda.

Un’esposizione dei civili ad azioni terroristiche che potrebbe riguardare altre basi africane di droni statunitensi istituite presso scali civili in Etiopia, Burkina Faso e Niger. “La sicurezza dell’aeroporto è fondamentale” ha detto Roble Olhaye, ambasciatore di Gibuti a Washington, secondo il quale Chabelley è la “migliore opzione disponibile al momento”.
Fonti ufficiali statunitensi hanno riferito che il trasferimento non ha ridotto le capacità di lanciare attacchi. Il nuovo aeroporto “ci consente di continuare a sostenere pienamente i nostri alleati per la sicurezza dei confini contro attività illegali” ha detto il maggiore Matt Hasson, portavoce delle forze americane a Gibuti, anche se la nuova base è tutta da costruire in termini di infrastrutture. Per questo nel febbraio scorso  con una lettera al Congresso il Pentagono ha chiesto un’autorizzazione urgente per lo stanziamento di 13 milioni di dollari in fondi ed equipaggiamenti per la realizzazione di “strutture minime necessarie per avviare operazioni temporanee” a Chabelley. Non è chiaro se questo piccolo aeroporto verrà utilizzato solo temporaneamente o se diventerà il nuovo “nodo” dei droni in Africa Orientale ma le esigenze militari statunitensi in questo settore hanno visto un forte incremento a partire dal 2011 (in coincidenza con l’offensiva contro i qaedisti somali Shabaab) da quando a Camp Lemmonier si sono registrati fino a 16 decolli e atterraggi di droni al giorno.

Al centro della strategia varata dalla Casa Bianca per continuare la caccia ai leader di al-Qaeda, i droni sono già stati segnalati più volte da piloti di aerei commerciali per il rischio di collisioni e in molti Paesi si riscontrano difficoltà a regolamentarne il volo dovute anche alla segretezza applicata da Washington sulla quasi totalità dei dati tecnici dei suoi velivoli teleguidati. Recentemente la Germania ha dovuto rinunciare ad acquistare quattro droni da ricognizione strategica Global Hawk perché gli Stati Uniti non volevano fornire i dai necessari a regolamentare il volo di queste macchine nello spazio aereo tedesco. Negli Stati Uniti la Federal Aviation Administration sta lavorando ai regolamenti (attesi per la fine del 2015) per consentire il volo dei teleguidati nello spazio aereo nazionale anche al di fuori delle aerovie militari in cui vengono oggi relegati, un tema sul quale potrebbe influire l’elevato numero di incidenti registrato dai velivoli operativi.

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