INVIDIARE GLI SVIZZERI
Meno male che ci sono gli svizzeri a ricordare agli europei e soprattutto a noi italiani come dovrebbe essere la democrazia. Quella vera, dove la parola finale sui provvedimenti legislativi rimane ai cittadini, non quella finta in cui i sudditi-elettori votano partiti che poi decideranno a palazzo, accordandosi tra loro con l’obiettivo prioritario di salvaguardare sé stessi e le loro prebende, le “ricette” da propinarci. Ieri gli svizzeri hanno detto no all’abolizione del servizio militare di leva con un referendum che ha visto il 73 per cento dei votanti respingere la proposta del movimento anti-militarista GSSE (Gruppo per una Svizzera senza Esercito). Il dato è riferito a proiezioni rese note da Berna ma da molti cantoni i dati definitivi vedono il no superare l’80 per cento, in Ticino il 73 mentre a Ginevra e nel Giura i no non hanno raggiunto il 60 per cento.
Il Gsse ha raccolto le 100mila firme necessarie per chiedere il referendum ritenendo “il servizio militare obbligatorio un modello ormai superato. Soltanto i nostalgici della Guerra fredda possono credere seriamente che la Svizzera abbia bisogno di un esercito di 100.000 soldati” sostiene il movimento favorevole a forze armate composte da uomini e donne che prestano servizio militare su base volontaria e professionale. Contrari all’iniziativa il governo e la maggioranza del Parlamento che hanno sostenuto il no. I sondaggi pre-elettorali davano il no al 63 per cento contro poco più del 30 per cento per i si. Si sono recati alle urne quasi il 47 per cento degli aventi diritto. Sempre ieri, il Ticino è stato il primo cantone svizzero ad approvare col referendum la legge che vieta nei luoghi pubblici burqa, niqab e altri abbigliamenti che coprono il viso: i si a questa proposta hanno superato il 65 per cento. Il tema dovrebbe venire presto riproposto in altri cantoni o a livello federale dopo che nel 2009, sempre con un referendum, gli svizzeri dissero no alla costruzione di nuovi minareti.
Tornando ai temi legati alla Difesa i cittadini svizzeri verranno chiamati presto a esprimersi attraverso il referendum (tra breve inizierà la raccolta delle firme) anche sull’acquisizione di 22 cacciabombardieri Saab Jas 39 Gripen decisa dal governo. Al di là delle opinioni, che siate favorevoli o meno alla leva militare, ad acquistare un cacciabombardiere svedese o statunitense, a tollerare o meno le discriminazioni di genere e le violazioni dei diritti umani dettati da una religione medievale, in ogni caso non resta che invidiare agli svizzeri una democrazia che rimette le decisioni nelle mani del cittadino-contribuente.
Un esempio particolarmente illuminante per l’Italia dove i sudditi non solo vengono spennati da uno Stato vorace, sprecone e inefficiente ma vengono anche presi in giro da un sistema politico che ha la facciata democratica ma si guarda bene dal chiedere il parere ai cittadini circa le decisioni da assumere. Un sistema talmente timoroso della nostra opinione da ammettere i referendum solo abrogativi e col “quorum” al 50 +1 per cento in base a un principio di tipo sovietico (un tempo si diceva “bulgaro”) che tende a indurre il cittadino a recarsi alle urne per esprimere consenso al sistema, come se gli elettori non fossero liberi anche di non votare.
Del resto anche quando il quorum è stato raggiunto e i referendum hanno avuto successo la volontà espressa dai cittadini non è stata certo rispettata a cominciare dalla questione del finanziamento pubblico dei partiti, abrogato dagli italiani ma che continua a pesare sulle nostre tasche.
Proviamo a immaginare quante cose oggi sarebbero diverse, non necessariamente peggiori o migliori, se avessimo potuto scegliere in tutti i settori della cosa pubblica. Solo per fare qualche esempio se aderire o meno all’Unione Europea, se passare all’euro o tenerci la lira, se mantenere la leva militare e passare a forze armate professionali, se acquistare o meno il cacciabombardiere F-35, se partecipare o no ad operazioni militari oltremare o quale sistema elettorale adottare. Che invidia per gli elvetici, cittadini liberi di scegliere e padroni a casa propria.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.