QUEL GAS SIRIANO PUZZA UN PO’
Il gas sarin attribuito agli arsenali di Bashar Assad (che contano, a seconda delle stime, tra le mille e le 5 mila tonnellate armi chimiche) quante persone ha ucciso nei sobborghi di Damasco? Oltre 1.400 secondo l’intelligence statunitense e quanto riferito dal Segretario di Stato John Kerry, circa 350 secondo Medici senza frontiere che denunciano però 3.500 persone colpite, solo 280 secondo l’intelligence francese. Gian Micalessin, reporter del Giornale e finora unico giornalista italiano a raggiungere i dintorni dell’area colpita dai gas a Ghouta, scrive oggi dal villaggio di Jobar di non aver trovato traccia dell’uso di gas né persone informate dei fatti accaduti proprio in quella zona. Sui media di tutto il mondo quasi non si parla d’altro eppure pochi hanno diffuso una notizia che dovrebbe risultare invece di grande interesse per cercare di dipanare la matassa intorno all’impiego del gas nervino il 21 agosto nei sobborghi di Damasco. Se il reportage di Micalessin è realizzato sul lato del fronte controllato dai lealisti il reportage firmato da Dale Gavlak (che da Amman collabora da anni con l’agenzia Associated Press) e Yahya Ababneh del 29 agosto è stato effettuato dalla parte opposta, intervistando alcuni ribelli siriani appartenenti a gruppi islamisti attivi nel settore di Ghouta che hanno ammesso le loro responsabilità nel massacro di civili del 21 agosto che Washington e parte della comunità internazionale attribuiscono ad Assad. Pubblicato dal giornale on line Mintpressnews il reportage è stato quasi sistematicamente ignorato dai grandi media nonostante le diverse testimonianze parlino chiaro. I ribelli nascondono in moschee e case private le armi, anche quelle chimiche ricevute dai servizi segreti sauditi e la “fuga di gas” sarebbe da attribuire all’inesperienza dei miliziani a maneggiarle.
Tra le testimonianze raccolte sul campo da Yahya Ababneh, una combattente che si fa chiamare “K” rivela che i miliziani qaedisti di al-Nusrah “non ci hanno detto che quelle erano armi chimiche né come usarle. Non sapevamo che erano armi chimiche, non lo avremmo mai immaginato”. Un noto leader dei ribelli di Ghouta, che preferisce farsi chiamare “J” spiega che “i miliziani di Jabhat al-Nusra non cooperano con altri ribelli, se non nei combattimenti. Non condividono informazioni segrete e hanno semplicemente usato alcuni ribelli ordinando loro di trasportare e impiegare quel materiale. Eravamo molto curiosi circa queste armi ma purtroppo alcuni combattenti le hanno gestite in modo improprio facendole esplodere”.
Informazioni e testimonianze tutte da verificare ed è naturale dubitare che possa trattarsi di un’operazione organizzata dai servizi segreti di Bashar Assad per scaricare sui qaedisti la responsabilità di quanto è successo. Del gli stessi sospetti e le stesse verifiche riguardano anche le dichiarazioni delle cancellerie dei Paesi in prima linea nel voler attaccare Damasco. Probabile inoltre che, in caso di loro responsabilità diretta, i ribelli qaedisti avessero ricevuto le armi chimiche dai sauditi proprio per creare un incidente a pochi chilometri dall’hotel che ospitava i tecnici dell’Onu esperti in armi chimiche creando così un casus belli. Ammettendo che il sarin sia stato diffuso per errore o incuria gas i ribelli sono però riusciti in breve tempo a sfruttarlo a fini propagandistici realizzando i video con i quali viene accusato il regime.
Da un lato appare evidente che le forze di Assad non traggono alcun vantaggio politico o militare dall’impiego di armi chimiche contro in ribelli. Gli unici a guadagnarci sarebbero gli insorti che potrebbero proporsi al mondo come vittime delle armi di distruzione di massa invocando l’intervento internazionale anche a “scopo umanitario” in nome del superamento di quella “linea rossa” che Barack Obama aveva tracciato un anno or sono proprio in riferimento agli arsenali chimici siriani. D’altra parte i ribelli hanno già utilizzato armi chimiche uccidendo numerosi soldati lealisti come aveva detto (suscitando scalpore, censure e reazioni) nel maggio scorso alla televisione svizzera il giudice Carla Del Ponte che fa parte del team dell’Onu che si è occupato di questo problema. In giugno invece era stato il premier britannico David Cameron a dire pubblicamente che i qaedisti in Siria cercano di dotarsi di armi chimiche, anticipando di fatto lo scenario fotografato dal reportage pubblicato da Mintpressnews.
In guerra tutto è permesso e non saremo certo noi a sorprenderci o a scandalizzarci per le Info-operations scatenate dai diversi contendenti. In fondo la Nato ha fatto la guerra ai serbi in Kosovo per una strage “costruita”, quella della fossa comune di Racak . In Libia abbiamo combattuto Gheddafi sull’onda dello sdegno per immagini che ritraevano un cimitero ma con la scritta sul video che riportava “fosse comuni a Tripoli” e anche in Iraq gli anglo-americani sono entrati nel 2003 col pretesto di neutralizzare armi di distruzione di massa he non furono mai trovate (ma che potrebbero essere state portate proprio in Siria su ordine di Saddam Hussein prima dell’inizio dell’invasione).
Se trovasse conferme la “pista “ dei sauditi che consegnano il sarin ai ribelli andrebbero rilette come colossali truffe mediatiche le notizie delle intercettazioni delle comunicazioni militari di Damasco effettuate dall’intelligence statunitense e israeliano nelle quali sarebbero stati registrati gli ordini impartiti dagli ufficiali siriani di impiegare armi chimiche. Un tema sul quale non è infatti mancata la confusione. Le indiscrezioni israeliane filtrate su Debka.com riferivano di lancio di missili a testata chimica, alcune organizzazioni non governative parlarono di proiettili d’artiglieria a carica chimica mentre i ribelli inizialmente avevano dichiarato che il gas era stato lanciato dai jet.
Comprensibile quindi che la Russia , insieme all’Iran sponsor principale di Damasco, dubiti delle prove presentate da Washington. “Quello che ci hanno mostrato in precedenza e più di recente i nostri partner americani, come pure quelli britannici e francesi, non ci convince assolutamente” ha detto il ministro degli Esteri di Mosca, Serghei Lavrov. “Non ci sono ne’ mappe geografiche ne’ nomi ne’ alcuna prova che i campioni siano stati prelevati da professionisti” ha proseguito il ministro “e neppure contenevano alcun commento sul fatto che molti esperti hanno messo in forte dubbio i video che girano su internet”. Un chiaro riferimento al fatto che si vedessero molte vittime già composte per la sepoltura e i supposti soccorritori si muovessero tra le persone colpite dal gas senza indossare alcuna protezione.
Se fossero stati davvero i ribelli a creare il “caso sarin” con la complicità saudita per trascinare in guerra gli Stati Uniti diverrebbe più comprensibile l’improvvisa esitazione di Barack Obama sul blitz contro Damasco. Dopo la guerra in Iraq la Casa Bianca non può permettersi un altro passo falso sulle armi di distruzione di massa e Obama non può rischiare la sua (residua) credibilità interna facendosi sgambettare dagli “alleati” sauditi che non gli hanno mai perdonato di aver abbandonato il presidente egiziano Hosni Mubarak lasciando l’Egitto e l’intero Medio Oriente in balìa della “primavera araba”. Un problema che Riad ha risolto per il momento (e non certo con l’aiuto statunitense) sostenendo l’intervento dei militari del Cairo che ha rovesciato il governo di Mohamed Morsi e dei fratelli Musulmani.
La spregiudicatezza di Riad e dei suoi servizi segreti guidati dal principe Bandar bin Sultan non desta certo meraviglia. Secondo quanto emerso da fonti di stampa nell’incontro del 31 luglio scorso il principe ha offerto al presidente russo Vladimir Putin un accordo “di cartello” per controllare il mercato mondiale del petrolio e salvaguardare i contratti di gas di Mosca in cambio della fine dell’appoggio russo al regime siriano di Bashar al-Assad. La notizia è stata smentita ufficialmente dal Cremlino ma a farla circolare sono stati ambienti vicini al governo russo. A renderla nota è stato, prima del britannico Telegraph il quotidiano libanese As-Safir, vicino al movimento sciita Hezbollah e a Damasco e ovviamente ostile ai sauditi. Il capo dell’intelligence di Riad avrebbe anche garantito di salvaguardare la base navale russa in Siria (a Tartus) dopo la caduta del regime di Assad.
Di fronte al “niet” di Putin, Bandar avrebbe anche fatto balenare la possibilità di attacchi di terroristi ceceni alle Olimpiadi invernali di Sochi in mancanza di un accordo sulla Siria. “Posso garantirvi di proteggere le Olimpiadi invernali del prossimo anno , i gruppi ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi sono controllati da noi” avrebbe detto Bandar. Una minaccia, neppure velata, che sembra più un vanto che un’ammissione di colpa e alla quale Putin pare abbia risposto dicendo che “questo conferma che i nostri due Paesi hanno visioni molto diverse circa la lotta al terrorismo”.
Foto: vittime del Sarin seppellite nei sobborghi di Damasco (Shaam News Network)
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.