Un immigrato non è un rifugiato, né un profugo

di Anna Bono da La Nuova Bussola Quotidiana del 28 ottiobre 2013

“Rifugiati occupano anagrafe centrale di Torino” è un titolo del 19 aprile scorso letto su West, un quotidiano di informazione online. L’articolo spiegava che centinaia di profughi avevano bloccato la struttura e che le autorità promettevano un incontro con le rappresentanze dei rifugiati. Scelto a caso, questo non è che uno degli innumerevoli esempi di confusione tra due termini – rifugiato e profugo – che indicano invece soggetti diversi. Da quando in Italia l’emergenza emigrazione occupa le prime pagine dei mass media, succede poi che entrambi i termini vengano usati a proposito degli emigranti clandestini che sbarcano sulle nostre coste: e non solo dai giornalisti, ma anche da non pochi tra coloro, politici e non, dai quali dipende, dal livello locale a quello europeo, la gestione del fenomeno stesso dell’immigrazione clandestina. “Circa 200 rifugiati sono arrivati oggi a Lampedusa, a bordo di un vecchio barcone” – spiegava ad esempio Roberto Malini, cofondatore dell’Ong Gruppo EveryOne, nel corso di un’intervista rilasciata a BBC Afrique il 21 luglio 2013, intitolata “Migranti a Lampedusa”; e, poco dopo, continuava: “l’accoglienza riservata a questi profughi…”.

Fare chiarezza dunque può essere di aiuto. Per “profugo” si intende genericamente chiunque sia stato costretto ad abbandonare la propria terra a causa di conflitti, persecuzioni o cataclismi. I profughi che trovano scampo entro i confini del loro paese si chiamano “profughi interni” oppure “sfollati”. “Rifugiato” invece è un termine giuridico indicante uno status speciale che i governi possono riconoscere a chi si trova fuori dal proprio paese e non vi può tornare a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni: o perché le istituzioni del suo paese non sono in grado o rifiutano di tutelarlo (potrebbe essere il caso della Repubblica Democratica del Congo, ad esempio) oppure perché sono quelle stesse istituzioni a minacciarlo (come accade in Sudan, Eritrea, Corea del Nord).
La prima definizione del concetto giuridico di rifugiato è contenuta nella Convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio del 1951, integrata nel 1967 da un Protocollo che ne ha esteso il raggio d’azione. Gli stati che hanno ratificato la Convenzione è in base a tale definizione che decidono in merito alle richieste di asilo presentate dai profughi.

Il diritto di asilo è anche riconosciuto dall’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, redatta nel 1948: “Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. Questo diritto non potrà essere invocato qualora sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite”.
Pochi mesi prima dell’entrata in vigore della Convenzione di Ginevra, le Nazioni Unite avevano inoltre istituito l’Alto Commissariato per i Rifugiati, ACNUR. L’agenzia, attiva dal 1° gennaio del 1951, ha il compito di assistere tutti i profughi. Attualmente rientrano nella sua competenza quasi 36 milioni di persone: circa 15,5 milioni di profughi (per metà asiatici e per circa il 28% africani) e 17,6 milioni di sfollati, a cui si aggiungono circa due milioni di profughi e sfollati rientrati in patria e tuttora assistiti, quasi un milione di richiedenti asilo, 3,3 milioni di persone prive di nazionalità e 1,3 milioni di persone ad altro titolo assistite.

È superfluo precisare che gli emigranti, vale a dire coloro che lasciano i paesi di origine in cerca di lavoro, in genere non sono profughi né ovviamente possono in quanto emigranti aspirare allo status di rifugiati. Peraltro oggi non pochi ritengono trattarsi di una discriminazione, da sanare istituendo lo status di “rifugiato economico” che presumibilmente dovrebbe applicarsi a chiunque nel proprio paese manchi di adeguati mezzi di sussistenza: o perché disoccupato o perché dotato di un reddito che lo colloca sotto la soglia di povertà.
Di recente si parla anche di un eventuale status di “rifugiato ambientale” da riconoscere a chi vede la sua vita minacciata da cambiamenti climatici, in particolare dal global warming. Ioane Teitiota, nato a Kiribati, un arcipelago del Pacifico meridionale, ed emigrato in Nuova Zelanda con la famiglia nel 2007, ci sta provando. Sostiene che le isole coralline di Kiribati, alte solo due metri sul livello del mare, sono destinate a essere presto sommerse a causa appunto del riscaldamento globale. Chiede quindi lo status di rifugiato in ragione dei pericoli a cui andrebbe incontro se fosse costretto a rientrare in patria. Già due volte il governo neozelandese ha respinto la sua richiesta di asilo… manca prima di tutto la prova scientifica del fatto che la temperatura sulla Terra stia davvero inesorabilmente aumentando.

Ilo blog di Anna Bono

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