La misteriosa intesa italo-libica per il controllo delle frontiere
Ieri il premier libico Ali Zeidan ha messo in guardia i libici dal rischio di un eventuale intervento di forze di occupazione straniere se l’anarchia dovesse continuare nel Paese. “La comunità internazionale non può più tollerare uno Stato del Mediterraneo che è fonte di violenze e terrorismo”, ha detto Zeidan. Gli scontri di giovedì scorso a Tripoli fra miliziani – che hanno causato due morti e una trentina di feriti – hanno dato “una cattiva immagine del Paese” all’estero, ha proseguito Zeidan, lanciando infine un appello ai libici a ribellarsi alle milizie armate che stanno “tenendo in ostaggio il Paese”, a “scendere per strada e sostenere la costruzione di un esercito e della polizia”. Quali Paesi si appresterebbhero a occupare la Libia non è dato saperlo ma a fine ottobre Zeidan aveva annunciato il rinnovo della collaborazione con Roma per istituire un sistema di monitoraggio elettronico delle frontiere terrestri che si svilupperà a partire da quelle con Tunisia e Algeria fino alla frontiera con Egitto e Sudan. Un programma varato nel 2008 all’epoca del regime di Muammar Gheddafi, nell’ambito degli accordi bilaterali che portarono alla firma del Trattato di amicizia italo-libica e poi interrotto dalla guerra del 2011.
”Il controllo dei confini permetterà di ridurre il traffico illegale di essere umani”, ha detto Zeidan che deve fare i conti con la destabilizzazione interna e con le pressioni italiane per i crescenti flussi migratori illegali dai porti libici verso Lampedusa. Già nell’incontro del luglio scorso Enrico Letta aveva sottolineato a Zeidan come l’Italia considerasse prioritario il controllo dei confini libici confermato dall’impegno di Roma ad addestrare le guardie di frontiera e la guardia costiera libiche. Il sistema di monitoraggio delle frontiere terrestri libiche è un ambizioso progetto ad alta tecnologia interamente “made in Italy” messo a punto da Selex ES (gruppo Finmeccanica) e GEM Elettronica grazie a un contratto da 300 milioni di euro che prevedeva l’installazione di una rete di radar Land Scout sviluppati appositamente per il controllo delle frontiere e in grado di individua anche i movimenti di gruppi di persone appiedate.
Il programma, finanziato per metà dall’Italia, prese il via nel 2010 con l’installazione di alcuni impianti e postazioni ma venne interrotto in seguito al conflitto libico per lo sfaldamento delle forze di sicurezza del Paese e l’impossibilità di mantenere in efficienza le postazioni e gli strumenti elettronici. Subito dopo la guerra la pretesa francese di ottenere commesse proporzionate all’impegno militare profuso da Parigi per rovesciare il regime di Gheddafi determinò forti pressioni su Tripoli affinché rinunciasse a completare il contratto con le aziende italiane per acquistare un sistema elettronico per il monitoraggio dei confini dal colosso transalpino EADS. La Libia decise però di mantenere i contratti stipulati prima del conflitto completando il programma. Zeidan ha parlato pure di un non meglio precisato “monitoraggio aereo delle frontiere” che potrebbe indicare un rinnovato interesse per i droni italiani da sorveglianza Falco, prodotti sempre da Selex, acquisiti da Pakistan e Nazioni Unite (che li impiegherà nella missione in Congo) e già nella “lista della spesa” di Gheddafi. Al di là dell’urgente necessità che Roma chiarisca meglio le iniziative previste con Tripoli, le volontà di Zeidan rischiano di cozzare con l’anarchia dilagante nel Paese. Le forze governative infatti non solo non riescono a controllare Tripoli e i porti di Zuara e Misurata gestiti da milizie in combutta con i trafficanti di esseri umani, ma neppure i confini terrestri. A est le frontiere con Egitto e Sudan vengono attraversate da miliziani islamisti e trafficanti di armi che approfittano anche del caos istituzionale determinato dalla proclamazione dell’autonomia della Cirenaica da parte dei leader tribali protagonisti anche del blocco di pozzi e terminal petroliferi che sta penalizzando le esportazioni.
Il governo libico ha perso il controllo anche della grande regione meridionale del Fezzan, infestata dalle milizie qaediste fuggite dal Malì dopo l’intervento militare francese e interessata da traffici di armi diretti ad alimentare i qaediste in Algeria e nella regione del Sahel. Il Fezzan confina a sud con il Ciad e il Niger, dove le organizzazioni criminali fanno convergere i migranti diretti in Europa. Sarebbe quindi questa l’area più importante dove installare i sistemi di sorveglianza delle frontiere ma anche nel Fezzan le tribù hanno proclamato l’autonomia nominando presidente Nouri Mohammad al-Qouizi e annunciando la gestione diretta delle risorse petrolifere e la nomina di vertici militari indipendenti da Tripoli.
La mappa delle tribù libiche (Fonte: La Stampa)
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.