Le armi chimiche siriane distrutte in mare o da privati
da La Nuova Bussola Quotidiana
Avevano tutti così fretta di togliere a Bashar Assad le armi chimiche e oggi nessuno sa dove smaltirle. Le 1.300 tonnellate di gas e componenti chimici stoccate in 41 siti ispezionati dagli ispettori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) in territorio siriano per ora restano dove sono poiché nessun Paese ha accettato di distruggerle sul propri territorio come chiedevano Washington e Mosca. Gli ultimi a dire no sono stati Belgio, Norvegia e Albania. A Bruxelles il premier Pieter De Crem si é detto “non favorevole” alla richiesta avanzata dagli Stati Uniti. “Possiamo offrire il nostro aiuto per neutralizzarle” ha detto il ministro, convinto che la distruzione delle armi chimiche “dovrebbe essere fatta vicino alla Siria” dal momento che “solo il trasporto di queste armi é già una missione difficile”.
Oslo ha fatto sapere di non disporre della tecnologia e del know-how necessari allo smaltimento mentre il governo albanese, dopo un primo via libera, è stato costretta alla marcia indietro dalla grande manifestazione di protesta che si è svolta venerdì scorso. Anche Norvegia, Danimarca e Germania hanno risposto picche pur offrendo sostegno finanziario e tecnologico per trasportare le armi chimiche fuori dalla Siria. Ma dove ? Le leggi statunitensi vietano a Washington di importare sul loro territorio armi chimiche e del resto Bashar Assad ha assunto l’impegno al disarmo a patto che i suoi arsenali non venissero consegnati agli USA. Del resto gli arsenali chimici non possono essere distrutti in Siria a causa della guerra in atto mentre il perdurare del conflitto rende ancora più pericoloso lasciare i gas nei bunker dell’esercito, specie ora che i qaedisti hanno dichiarato l’interesse a entrarne in possesso.
“Questo é un vero problema – ha detto sotto anonimato al New York Times una fonte del governo americano – nessuno finora ha mai provato a fare un’operazione del genere durante una guerra civile”. I rischi ai quali il carico sarebbe esposto sono emersi chiaramente nei giorni scorsi quando le aree tra Damasco e la costa sono diventate teatro di violente offensive dei ribelli. In pratica lasciare i gas dove sono è pericoloso, spostarli verso il mare per imbarcarli è rischioso e infine nessuno sa come disfarsene. L’OPCW potrebbe quindi rispettare il termine entro il quale portare via dal paese il materiale chimico (il 31 dicembre per i gas già pronti all’uso e il 5 febbraio per i precursori, cioè gli elementi chimici che miscelati costituiscono le armi) ma non quello per la distruzione delle armi entro metà 2014.
Lasciare le armi chimiche a bordo di una nave in attesa di trovare qualche Paese disposto ad accollarsi l’onere di distruggerle potrebbe comportare rischi ambientali senza precedenti. Anche per questo Washington sta valutando l’ipotesi di distruggere le armi chimiche siriane in mare, a bordo di una nave attrezzata dove verrebbero dissolte o incenerite. Sempre secondo il New York Times, che cita un rappresentante dell’Amministrazione Obama, le ipotesi allo studio sarebbero al momento due. Una prevede cinque inceneritori imbarcati che possono operare a 2.700 gradi e distruggere tutti i “precursori” necessari alla realizzazione di armi chimiche. Un’operazione dalla durata prevista in 60 giorni che non coinvolgerebbe aziende, imbarcazioni o personale americani, anche se le forze militari di Washington potrebbero garantire la sicurezza nelle acque intorno alla nave.
La seconda ipotesi prevede l’imbarco su una nave del sofisticato sistema mobile Field Deployable Hydrolysis System basato sulla dissoluzione delle sostanze. “Queste sono alcune delle opzioni che stiamo considerando, abbiamo capacità uniche che possono essere attuate per la distruzione delle armi chimiche” ha detto Caitlin Hayden, portavoce del consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca. Allestire un apparato galleggiante per lo smaltimento dei gas nervini comporterà in ogni caso costi elevati e non ridurrà il rischio di elevati danni ambientali in caso di incidenti o calamità. L’OPCW l’ha definita una soluzione “tecnicamente possibile”, aggiungendo che può “essere sicura” se fatta “in maniera appropriata” anche se “nulla è stato ancora deciso”. L’organizzazione internazionale, in cerca di soluzioni, si sta rivolgendo per lo smaltimento delle armi di Assad anche a società private, opzione che non eliminerebbe il via libera di uno Stato all’afflusso sul suo territorio dei gas .
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.