In Serbia una legge per le società di sicurezza

Finalmente anche la Serbia si adegua agli standard internazionali. Questo sarebbe stato forse un buon titolo per i molti giornali belgradesi che venerdì hanno riportato la notizia secondo cui anche il loro Paese è prossimo ad uniformarsi alla prassi europea in materia di società di sicurezza privata. L’annuncio è stato dato direttamente dal Premier e ministro dell’Interno Ivica Dačiċ (nella foto) , al termine di un’accesa discussione parlamentare sul tema delle attività investigative e di private security. Il politico serbo ha sottolineato che l’obiettivo fondamentale del progetto di legge è aumentare la professionalità di queste società e renderle responsabili davanti al sistema di sicurezza nazionale. L’approvazione di questo documento, comunque, dipenderà anche dal dibattito che si svilupperà in merito agli emendamenti che verranno presentati in sede parlamentare, come quelli relativi al calibro delle pistole utilizzabili dai privati operanti nel settore. Sempre secondo le dichiarazioni riportate dall’agenzia di stampa Tanjug, il Premier ha anche affermato che è al vaglio una proposta per risolvere un’altra questione spinosa, ossia la possibilità per i membri della Polizia serba di avere un altro lavoro. Chiaro è il riferimento al fatto che, al momento attuale, i membri delle forze dell’ordine possono essere anche impiegati da società di sicurezza privata senza nessuna particolare autorizzazione. Il Primo ministro ha ricordato che ciò non è gradito al MUP (Ministero degli Interni), ma che comunque queste persone hanno il diritto di farne richiesta, “come i dottori che possono fare anche un altro tipo di lavoro”.
In Serbia, come ha aggiunto Dačiċ il giro d’affari della sicurezza privata è di circa 150 milioni di euro all’anno con oltre 3 mila società di sicurezza esistenti e un numero imprecisato di addetti. Lo Stato non sa né quante di queste aziende operino realmente né chi sia da loro impiegato. Stime proposte da B92 e dal sito Pravda.rs parlano di 25-60 mila uomini operativi nell’ambito della sicurezza, la maggior parte dei quali armati. Si tratta di un numero altissimo e per rendersene conto basta considerare che gli effettivi di tutte le forze armate serbe non raggiungono le 40 mila unità. Per limitarne il numero e innalzare lo standard qualitativo degli addetti verrà proposto di imporre a tutti l’ottenimento di una licenza (come già succede altrove) valida per la specifica attività e senza la quale sarà impossibile lavorare. I vertici serbi sperano così anche di poter avere maggiori certezze sul numero e sulle identità di chi svolge questa particolare mansione.

Quanto detto da  Dačiċ non è bastato a convincere l’opposizione che, guidata da Borislav Stefanoviċ, ha accusato il governo di favorire la creazione di una struttura parapoliziesca parallela che potrebbe diventare il “rifugio” di molti pregiudicati. Per evitarlo i Democratici hanno proposto di vietare a qualunque condannato, anche dopo che questi ha scontato la pena, di intraprendere tale attività, punto che non sembra invece trovare d’accordo il premier. Vi sono però svariati elementi che aggravano la situazione, ma che non sono stati menzionati da nessuno dei due schieramenti, come ad esempio quello relativo all’incredibile numero di armi illegalmente detenute nel paese, che nel 2012 il giornale online Pravda stimava in circa 944.000 pezzi. Secondo un articolo del 2009 del sito Srpska Dijaspora, in quell’anno le società di sicurezza serbe detenevano almeno 30.000 fucili automatici di produzione locale, 10.000 armi automatiche Hekler & Koch e 40.000 pistole di varie marche anche se molte di queste erano obsolete o non funzionanti.

L’articolo non si limitava a mettere l’accento su questo aspetto ma evidenziava anche altri due elementi critici:
•    alcuni di questi operatori, pur avendone espresso divieto, utilizzavano spesso gas lacrimogeni, shock bombs e bastoni elettrici;
•    secondo le stime di Radomir Misaljeviċ, ex poliziotto ora a capo di un’agenzia di investigazione, solo il 25% degli operatori ha un contratto in regola. Gli altri lavorano tutti “in nero”.
Da altre analisi sono emersi ulteriori aspetti rilevanti, come i consistenti investimenti esteri nel settore facilitati dal bassissimo costo orario dei lavoratori (il Večernje Novosti lo quantifica in 1,7 euro!) e la percezione di grande insicurezza che i corpi di sicurezza privati generano nei cittadini. Secondo un sondaggio di Biznis i Finansije, realizzato nel luglio di quest’anno, il 44% degli intervistati ritiene che queste società non facciano altro che portare insicurezza nel paese. Non esattamente lo scopo per cui sono state fondate.

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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