Il "marò" di Delhi: comandante indiano detenuto in Togo
Anche Nuova Delhi ha il “suo marò”. Il governo indiano ha infatti deciso di rivolgersi a un tribunale del Togo per chiedere la scarcerazione “per ragioni umanitarie” del comandante di una nave mercantile che lo scorso luglio era stata attaccata dai pirati davanti alla costa africana. Il caso, che ricorda quello dei due marò del team anti pirateria della nave Enrica Lexie arrestati nel febbraio 2012, riguarda il capitano Sunil James (nella foto con la moglie) e due uomini dell’equipaggio detenuti dalle autorità di Lomè dopo che la loro nave, la petroliera Ocean Centurion (nella foto in basso), era stata assaltata da un commando di pirati armati che hanno portato via soldi e averi a bordo. L’ufficiale, che è di Mumbai, si era poi diretto nel porto più vicino per segnalare la rapina alle autorità locali, ma è stato fermato insieme al suo equipaggio con l’accusa di ”complicità con i pirati”. A settembre la petroliera era stata dissequestrata con a bordo circa 20 marinai indiani, ma la polizia di Lomé aveva trattenuto il capitano e due ingegneri ”per accertamenti”.
In questi mesi, la famiglia di Sunil James aveva rivolto pressanti appelli sulla stampa perché il governo si occupasse del caso. La moglie Aditi aveva anche organizzato una raccolta di firme denunciando le patetiche condizioni in cui si trovava il marito costretto a vivere in una cella con decine di altri carcerati e senza alcuna assistenza da parte del consolato indiano. Qualche giorno fa, inoltre, il figlio di 11 mesi è morto e la madre ha lanciato un nuovo disperato appello al governo perché si attivi in modo da ottenere la scarcerazione del capitano per permettergli di assistere al funerale del neonato. In seguito alla drammatica vicenda personale, le autorità indiane hanno deciso ora di intervenire rivolgendosi a un tribunale di Lomé. Parlando ai giornalisti ieri, il portavoce del ministero degli Esteri Syed Akbaruddin ha assicurato che il personale diplomatico sul posto ”si rivolgerà a un giudice” per presentare un ricorso in cui si chiede la liberazione sulla base di ragioni umanitarie.
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