Armi chimiche a Gioia Tauro: errori di comunicazione
da: La Nuova Bussola Quotidiana
La vicenda delle armi chimiche a siriane attese per inizio febbraio nel porto calabrese di Goia Tauro per essere poi trasferite a bordo della nave militare statunitense Cape Ray assomiglia a un compendio di cosa non si dovrebbe fare per gestire un’emergenza. Dopo 20 giorni di voci, indiscrezioni e smentite circa il porto italiano destinato a ospitare sulle sue banchine il trasferimento di 560 tonnellate di armi chimiche dal cargo danese Ark Futura alle stive della Cape Ray, è finalmente uscito, come da un sorteggio, il nome di Gioia Tauro. Molti si aspettavano un porto sardo e infatti mezza isola si era già mobilitata per contestare la decisione e impedire l’attracco delle navi. Altri si attendevano un porto siciliano ma c’era chi era pronto a scommettere sui pugliesi Taranto o Brindisi. La decisione ultime pare sia stata presa dai tecnici dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) che devono aver valutato la qualità delle infrastrutture del porto calabrese ma è certo che il governo sapesse già da alcuni giorni in quale scalo si sarebbero effettuati i lavori di trasferimento dei container chimici.
Sul piano politico si può discutere se l’Italia abbia fatto o meno bene ad accettare la richiesta di Washington di mettere a disposizione un porto per questa operazione che contribuisce al disarmo chimico del regime di Bashar Assad, un disarmo che anche Roma ha sostenuto in termini politici e finanziari con tre milioni di dollari versati all’Opac. Forza Italia, dall’opposizione, ha contestato il fatto che al contrario dell’Italia perfino Albania e Croazia avevano rifiutato la richiesta statunitense ma ai due Paesi balcanici era stato chiesto di ospitare sul loro territorio l’intero processo di smantellamento e smaltimento degli arsenali siriani non di mettere a disposizione un porto per un’operazione che, se le tabelle di marcia verranno rispettate a Latakya (porto siriano dove vengono caricati i gas), richiederà non più di 48 ore. Il punto sul quale il governo è scivolato in modo dilettantesco è invece quello della comunicazione. E’ vergognoso che il sindaco di Gioia Tauro, le autorità locali calabresi e tutti gli italiani siano stati informati della scelta del porto da indiscrezioni anonime raccolte da agenzie di stampa e che solo dopo molte ore, il 16 gennaio, il governo le abbia confermate. E’ inaudito che notizie di livello strategico non siano state gestite nel massimo riserbo pur informando per tempo e con trasparenza le autorità locali per garantire la necessaria sicurezza e trasparenza.
I rischi di contaminazione chimica non sono in realtà superiori a quelli che si registrano normalmente anche in quel porto movimentando carichi industriali di prodotti tossici e le armi chimiche e i loro componenti non sono bombe pronte ad esplodere perché i tecnici dell’Opac le hanno disattivate prima di stoccarle e imbarcarle. Tuttavia è comprensibile che la presenza di questi aggressivi chimici in un porto italiano crei apprensione e costituisca motivo di speculazioni. Un incidente sul lavoro può sempre verificarsi ma il carico in oggetto si presta soprattutto a riscuotere molta attenzione da parte di gruppi terroristici. Le autorità di Damasco hanno già registrato due attacchi di miliziani jihadisti ai depositi di armi chimiche in Siria e non si può escludere che l’occasione dello scalo di oltre 500 tonnellate di gas in un porto italiano non attiri qualche cellula qaedista suicida. Peccato che si sia persa l’opportunità per informare gli amministratori locali attraverso vie riservate imponendo il silenzio a tutti fino a pochi giorni prima dell’arrivo delle due navi. Una procedura che avrebbe offerto moltissimi vantaggi. Innanzitutto eventuali malintenzionati non avrebbero avuto il tempo per preparare i piani per un attacco o azioni di disturbo. Questa vale per gruppi terroristici suicidi ma anche per gli antagonisti violenti simili a quelli attivi in Val di Susa per il “no TAV”.
Inoltre ci sarebbe stato tutto il tempo per discutere con le autorità locali dell’apparato e delle misure di sicurezza da dispiegare e di eventuali compensazioni da parte dello Stato ai comuni coinvolti nell’operazione. Un confronto tra governo ed enti locali che avrebbe potuto svilupparsi nella massima tranquillità senza l’enorme pressione esercitata ora dall’opinione pubblica e dalle opposizione politiche. L’errore del governo è stato quindi essenzialmente di tipo mediatico, a conferma di quanto questo aspetto rivesta sempre più frequentemente un carattere strategico, specie in situazioni di crisi, ma è stato gestito con superficialità fornendo a chi potrebbe minacciare l’ordine pubblico e le delicate attività di carico /scarico ben due settimane di tempo per pianificare provocazioni , azioni dimostrative o terroristiche.
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.