La presenza cecena in Siria preoccupa Mosca

La Siria sembra parlare russo, anzi ceceno, se si guarda all’importanza che la componente nord caucasica sta avendo all’interno del conflitto, fattore che ha allarmato direttamente il Cremlino il quale ha mostrato la propria preoccupazione circa il ritorno in patria, una volta finita la guerra civile, di militanti esperti nelle azioni di guerriglia urbana pronti a destabilizzare l’autorità centrale.
Proprio in questi giorni, infatti, gli investigatori federali russi hanno accusato Shakhid Temirbulatov, residente nella Repubblica di Cecenia, di aver partecipato al conflitto siriano e di essersi unito alla lotta jihadista ed ai gruppi armati che si oppongono alle forze di Bashar al-Assad; tale episodio non può essere considerato come un caso isolato visto che già lo scorso dicembre due cittadini russi del Dagestan erano stati arrestati e condannati sempre con l’accusa di aver preso parte al conflitto mediorientale e quindi ritenuti una minaccia per la sicurezza pubblica.Con le esplosioni di Volgograd avvenute il 29 e 30 dicembre l’attenzione dei media internazionali è stata quindi posta sulla minaccia terroristica in Russia proveniente dai militanti del Caucaso del Nord, nello specifico dai “fedeli” di Doku Umarov, leader dell’Emirato del Caucaso (Imarat Kavkaz) il quale persegue l’obiettivo di creare uno stato nella regione caucasica nel quale potesse vigere la Sharia (legge islamica).

Umarov in estate aveva minacciato il Cremlino e richiamato i propri militanti a minare lo svolgimento delle Olimpia di Sochi 2014, considerate il fiore all’occhiello del percorso politico di Putin, attraverso una serie di attentati. Da fenomeno terroristico localizzato soltanto nell’area caucasica ed in special modo nelle repubbliche di Cecenia, Dagestan, Inguscezia, Kabardino-Balkaria e Karachay-Circassia, gli insorgenti caucasici sono riusciti nell’ultimo anno a salire alla ribalta ed a guadagnarsi le prime pagine dei giornali internazionali; il caso dei fratelli Tsarnaev e delle bombe di Chicago ha permesso ai media di “riscoprire” il fenomeno terroristico caucasico, anche se un diretto collegamento con Imarat Kavkaz non è stato mai accertato, invece ora è il conflitto siriano il “terreno di gioco” dove i militanti caucasici riescono a far parlare di sé.

La prova di tale affermazione è data dalla crescita di potere e di importanza del gruppo Jaish al-Muhajireen wa Ansar (JWA), alleato di Islamic State of Iraq and the Sham  (ISIS) e collegato quindi con al-Qaeda, guidato dal leader Abu Omar al-Shishani (il Ceceno), combattente di etnia cecena ma originario della Georgia. Secondo le informazioni emerse sulla persona del leader di JMA, al-Shishani sarebbe originario della Gola del Pankisi (Georgia) dove avrebbe trascorso la sua adolescenza prima di entrare a far parte dell’esercito georgiano; grazie alle sue doti militari fu incluso in uno speciale reparto di Intelligence che operò durante il conflitto russo-georgiano del 2008 per poi essere congedato a causa della sua precarietà fisica. A questo punto, dopo un arresto per detenzione di armi da fuoco illegale, rilasciato per le sue condizioni mediche, è giunto in Siria attraverso la Turchia dove è scomparso in un video della scorsa primavera in cui promuoveva l’attività di JMA, gruppo jihadista messosi in luce per la presa della Base Aerea di Menagh nella Provincia di Aleppo.

Se fino ad ottobre la componente caucasica in Siria vedeva emergere soltanto la figura di Abu Omar al-Shishani (il Ceceno), a partire dalla fine del mese altre tre prominenti figure sono apparse nel paese mediorientale inducendo gli analisti ad orientare maggiormente il proprio sguardo sui combattenti nord caucasici e sul loro potere in Siria. Muslim Margoshvili (emiro Muslim) , Ruslan Machaliashvili (emiro Seifullah) e Musa (emiro Abu-Musaaba) hanno dato vita ad una fazione guidata da Margoshvili che, secondo quanto dichiarato dal proprio leader, potrebbe contare su diverse migliaia di sostenitori e minerebbe l’autorità di al-Shishani. Sul numero fornito dall’Emiro Muslim gli esperti hanno posto notevoli dubbi, ciò che appare invece importante sottolineare è sia la nascita di un nuovo gruppo jihadista legato al Caucaso del Nord e sia la perdita di uomini da parte di al-Shishani il quale sembrerebbe essere rimasto con soltanto 600 combattenti a differenza dei 1500 sotto l’autorità di Margoshvili (secondo i dati forniti da Kavkaz Center, portale di informazione collegato alla militanza nord caucasica).

I due leader hanno un atteggiamento differente per quel che riguarda il riconoscimento dell’autorità di Doku Umarov e della loro alleanza con l’Emirato del Caucaso; mentre al-Shishani osserverebbe un apparente rispetto nei confronti di Umarov a tal punto da aspettare la sua decisione per confermare l’alleanza con ISIS, Margoshvili invece sentirebbe di non avere nessun obbligo nei confronti del leader ceceno nel Caucaso del Nord ed inoltre rifiuterebbe l’autorità di Abu Bakr al-Baghdadi, leader di ISIS. Il rafforzamento dei ceceni in Siria ed il loro ruolo di alto rango e guida all’interno dei gruppi jihadisti rappresenta motivo di preoccupazione e di paura per la Federazione Russa; occorre notare però che il numero di ceceni che partono dalla madrepatria per combattere in Siria è notevolmente inferiore rispetto al numero di ceceni che da tutta l’Europa vanno in Medio Oriente, dato supportato dal fatto che lo stesso al-Shishani sia originario della Georgia. Il presidente della Repubblica di Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha sottolineato la minaccia rappresentata dal ritorno in patria da parte dei combattenti i quali possono essere considerati tra i jihadisti più influenti attualmente sul territorio siriano alla pari di al-Nusrah o Jaish Islam.

Agli inizi di dicembre il governo siriano ha dichiarato che circa 1.700 persone di origine cecena stavano combattendo in Siria assicurando la Federazione Russa che una volta catturati sarebbero stati puniti secondo la legge siriana; l’annuncio era stato fatto dall’ambasciatore siriano a Mosca, Riad Haddad, il quale ha sottolineato come le forze insorgenti sarebbero dominate attualmente da combattenti stranieri, fattore che dimostrerebbe come la guerra civile non rappresenti più una volontà popolare ma un gioco di poteri e di interessi esteri. Sebbene non sia possibile stabilire l’esatto numero di combattenti nord caucasici sul territorio siriano, le Forze di Sicurezza russe hanno contestato i dati presentati da Damasco ribadendo invece quelli espressi in settembre da Sergei Smirnov, vice direttore del Servizio di Sicurezza Federale Russo (FSB), i quali presentavano un numero complessivo di 300-400 militanti. Precedentemente, in giugno, il direttore dell’FSB Aleksander Bortnikov aveva parlato di circa 200 militanti provenienti dalla Federazione Russa presenti in Siria ed in Nord Africa supportati dall’Emirato del Caucaso e collegati alla rete di al-Qaeda o delle sue strutture affiliate. Anche il portale di informazione specializzato nella regione caucasica Kavkaz Uzel, per mezzo del giornalista Orhan Jemal, ha confermato un numero di militanti originari della Georgia, Bashkiria, Cecenia e Dagestan compreso tra le 200 e le 400 unità.

Giuliano BifolchiVedi tutti gli articoli

Romano, è laureato in Scienze della Storia e del Documento all’Università Tor Vergata, e ha frequentato il Master II Livello in Peace Building Management presso la Pontificia Università San Bonaventura. Si occupa di Open Sources Intelligence e analisi della situazione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza rivolta soprattutto ai Paesi del Caucaso, Asia Centrale e Medio Oriente.

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