Rand Corporation: “i caccia Joint costano di più”

Due anni fa l’Air Force americana ha chiesto alla RAND Corporation di analizzare e valutare l’efficacia economico-operativa dei programmi “Joint”, per capire quale strategia di acquisizione dovrà adottare nella scelta del futuro aeroplano da combattimento. I programmi congiunti hanno lo scopo di fornire a forze armate differenti per missione, vocazione e “cultura” operativa un unico sistema d’arma capace di soddisfare una varietà di requisiti, garantendo ampi margini di interoperabilità e sostanziali economia di scala nel supporto logistico. Un approccio seguito negli ultimi 60 anni con alterne fortune ma al quale in linea di principio il Dipartimento della Difesa non intende rinunciare in futuro. A metà dicembre l’istituto di ricerca ha pubblicato i risultati del suo studio, dai quali risulta che la strada seguita dal programma del Joint Strike Figther, “padre” indiscusso di tutti i caccia Joint, spendibile nel semplice appoggio tattico ravvicinato come nel più cruciale strike nucleare in profondità, “non permette di conseguire le promesse iniziali di risparmio dei costi”. E questo perché, proprio in quanto programma “multi Service”, il JSF avrà un costo a vita intera – Life Cycle Cost (LCC) – superiore a quello dei programmi mono-forza armata, come è stato per esempio quello del caccia F-15 Eagle, punta di diamante delle forze aeree americane insieme con altri due “single Service”, l’F-14 Tomcat e l’F-16 Fighting Falcon, prima dell’avvento dello stealth da “Air Dominance” (e anch’esso mono-forza aerea) Lockheed Martin F-22 Raptor.

Lo studio viene reso noto proprio mentre il programma F-35 taglia il significativo traguardo del 100° esemplare prodotto, il portafoglio ordini si fa più consistente, grazie a un battage commerciale perfettamente coincidente con le nuove mire geo-strategiche del Pentagono (dopo la scelta pro-JSF di Seul si registra un maggiore fabbisogno di esemplari del Giappone, e Oslo porta a 16 gli esemplari commissionati), e Lockheed Martin annuncia che nel 2019 i costi di acquisto e dell’ora di volo del suo stealth saranno inferiori a quelli odierni dei caccia di 4a generazione (l’USAF però chiarisce che oggi il fly away cost  – col motore – dell’F-35 a decollo convenzionale non si scolla dai 150 milioni di dollari). Tuttavia sul Life Cycle Cost, vero “termometro economico” di ogni sistema d’arma ma paradossalmente anche il parametro più aleatorio, dato che l’ampio arco di tempo su cui si proietta può stravolgere calcoli e stime, le conclusioni della RAND non lasciano dubbi: “L’F-35”, si legge nel rapporto, “non consente i risparmi promessi in alcuno degli scenari nei quali è stato analizzato”.

Commonality: da vantaggio a fonte di problemi
Lockheed Martin si è affrettata a smentire la Rand, dichiarando che il suo studio si basa su dati superati, validi fino al novembre 2011. D’altro canto l’istituto di ricerca – già autore nel 2009 di un report dal quale il JSF usciva perdente da un ipotetico scontro con i caccia russi Sukhoi Su-30MK – non ha neppure tenuto conto del Selected Acquisition Report del Pentagono reso noto nel marzo 2012, che denunciava altri 3 anni di ritardo nello sviluppo e un aumento dei costi del programma.
I programmi aeronautici “multi-service” dovrebbero trarre vantaggi economici anche dalla condivisione delle risorse per ricerca, sviluppo e valutazione operativa, oltre come s’è detto dalla realizzazione di economie di scala tanto nelle operazioni quanto nell’appalto del sostegno logistico. “Tuttavia”, osservano gli analisti della RAND, “anche le maggiori percentuali di risparmio rispetto ai programmi single-Service conseguibili con la condivisione dei vari oneri, sono troppo esigue per compensare la crescita dei costi tipica dei programmi Joint”.

Nel caso dell’F-35, a determinare fattori di crescita del LCC molto più elevati di quanto si stimasse all’inizio, quando si pensava di poter risparmiare il 16% rispetto ai caccia classici (su 9,7 anni RAND stima trend di aumento dei costi di Operations e Sustainment più alti – circa il 65% –  di quelli registrati dal single Service F-22), sarebbe anche il tradimento della più importante fra le attese del programma, cioè l’ottenimento di risparmi di costo attraverso una sostanziale comunanza strutturale, sistemistica e componentistica fra le tre versioni dell’aereo: da una “commonality” teorica iniziale dell’80 %, nel 2008 – a sette anni dall’avvio del programma ma solo all’inizio della fase di sviluppo e dimostrazione del sistema, che si concluderà nel 2019 – si era già scesi a valori compresi fra il 27 e il 43 %. Le cause, secondo la RAND, andrebbero individuate proprio in ciò che doveva essere il collante del progetto, cioè nella diversità e nella corrispondente difficile compatibilità di requisiti e peculiarità operative di Air Force, Navy e Marines come di alcuni partner internazionali (come ad esempio i ruoli marittimi che la Norvegia assegnerà ai suoi F-35 a decollo convenzionale). Tutto questo avrebbe moltiplicato le differenze, elevando la già considerevole complessità tecnica dell’aereo e dei suoi sistemi, e determinando un corrispondente aumento dei fattori di rischio in fase di sviluppo. A produrre il danno in definitiva sarebbero proprio le “criticità connaturate con la complessità del programma” richiamate dal Generale Mario Arpino in un’intervista del gennaio 2013, criticità cui non è certo estraneo il fatto che il Joint Strike Fighter nasce dalla fusione di tre progetti assolutamente diversi: l’MRF (Multi-Role Fighter) dell’Air Force, l’A/F-X della Navy e l’ASTOVL (Adavanced Short Take Off and Vertical Landing) dei Marines.

Effetti collaterali
Il risultato è evidente: secondo la RAND Corporation, ogni forza aerea, comprese verosimilmente l’Aeronautica Militare e la Marina Militare italiane, spenderà per il suo caccia Joint più di quanto pagherebbe per un aereo “Single Service”. Ma c’è un altro aspetto importante. La decisione di dar vita al JSF ha prodotto l’effetto incontrovertibile di conferire al suo costruttore il monopolio pressoché assoluto della realizzazione di velivoli da combattimento, garantendogli posizioni di forza che crescono col progredire delle forniture del suo prodotto. E questo, è la conclusione dello studio, riduce le prospettive di competizione fra i produttori di caccia, il che porta a sua volta a deprimere la ricerca e sviluppo e la crescita tecnologica in una platea di concorrenti destinata in questo modo a ridursi praticamente a zero.

Una particolarità del report americano è che non accenna a cifre precise riguardo il Life Cycle Cost dell’F-35. Fornisce solo un valore di massima – 800 miliardi di dollari -, calcolato proiettando i fattori di aumento dei costi della flotta americana di JSF (2.443 aerei) su un arco di tempo limitato a dieci anni. A una cifra simile – 857 miliardi di dollari – era approdato mesi fa anche il Pentagono, ma considerando un arco di tempo ben più ampio, 55 anni, e basandosi unicamente sulle 5.000 missioni di prova e le 7.000 ore di volo compiute dal 2006 al 2012 nell’ambito del programma di sviluppo e dimostrazione. Il trilione di dollari abbondante stimato in precedenza, da spalmare su 50 anni di servizio, non farebbe più testo. Forse.

 

 

Foto: Lockheed Martin

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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