Mauro non va a Luanda: a rischio gli affari con l'Angola?

Il ministro della Difesa Mario Mauro non è andato in Angola dove il 17 febbraio era atteso per firmare un importante accordo di cooperazione militare con il Paese africano. In seguito alle dimissioni del premier Enrico Letta il ministro ha annullato la visita a Luanda dove lo aspettava il suo omologo Candido Pereira dos Santos van Dunem che era venuto a Roma nel novembre scorso per firmare un accordo di massima teso a sviluppare stretti rapporti militari e industriali con l’Italia di cui Analisi Difesa ha fornito nei giorni scorsi ampi dettagli. Non è la prima volta che la caduta di un governo vede i ministri italiani disertare impegni internazionali nonostante il loro incarico resti in vigore “per gli affari correnti” fino alla nomina del loro successore. Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni, non è andato a Sidney per il vertice dei ministri economici e dei direttori delle banche centrali del G-20 riducendo così a un più limitato livello tecnico la delegazione italiana. Comportamenti probabilmente legittimi sul piano formale ma che inducono il sospetto che gli interessi nazionali vengano subordinati a quelli personali o di partito, tanto più che, nonostante le aspettative di entrambi, né Mauro né Saccomanni sono stati riconfermati nel governo guidato da Matteo Renzi.

Il “bidone” tirato da Mauro ha provocato qualche malumore a van Dunem (nella foto in alto col ministro Mario Muro, a Roma, nel novembre scorso) che da quanto abbiamo appreso avrebbe scritto una lettera risentita a Roma, ma ha assunto le sembianze di un simbolico “siluro” alla portaerei Cavour che guida la missione del 30° Gruppo Navale di promozione del “made in Italy”. Tra tutte le tappe dei cinque mesi di campagna navale quella in Angola era infatti la più importante sotto il profilo istituzionale e degli affari ed era stata curata dettagliatamente dall’ambasciata italiana a Luanda e dala Marina, impegnata nella difficile missione di “far ripartire l’Italia” come recita lo slogan dell’operazione. La tappa in Angola era infatti l’unica a prevedere la visita del ministro della Difesa che avrebbe dovuto guidare un’ampia  delegazione industriale con diversi amministratori delegati di aziende del gruppo Finmeccanica. Comprensibile quindi che l’assenza del ministro, annunciata all’ultimo momento, abbia creato nervosismo e imbarazzo.

Militari, aziende e l’ambasciatore italiano Giuseppe Mistretta sembrano aver gestito comunque al meglio la situazione compensando il “vuoto” della politica nel tanto declamato intento di “fare sistema”.  La delegazione giunta a Luanda con ufficiali delle forze armate e rappresentanti di molte aziende non solo del settore Difesa era guidata dal Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti, generale Enzo Stefanini e dal Capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi. Molti ministri del governo angolano hanno visitato la portaerei Cavour  assistendo ad attività addestrative in mare, a seminari e presentazioni a bordo. Il generale Stefanini ha firmato il Protocollo tecnico per l’ esecuzione dell’ Accordo bilaterale siglato a novembre a Roma ma nessun contratto è stato definito. Da quanto appreso da Analisi Difesa van Dunem ha espresso il desiderio di incontrare al più presto il nuovo Ministro della Difesa (la senatrice Roberta Pinotti non era ancora stata designata) e ha subordinato l’acquisizione di equipaggiamenti “made in Italy” all’attivazione di una linea di credito ad hoc. Una misura che può essere definita solo da un accordo a livello di governi. Una visita a Luanda in tempi rapidi dovrebbe quindi rappresentare una priorità per il ministro Pinotti anche per non concedere ulteriori vantaggi alla concorrenza che, sul mercato angolano come altrove, è molto agguerrita e spregiudicata. I nostri concorrenti a Luanda sono soprattutto francesi e spagnoli, pronti ad approfittare di gaffes e incidenti diplomatici degli italiani.

Luanda pare interessata ad acquisire prioritariamente mezzi per la sorveglianza terrestre e marittima. Incluso, a quanto sembra, buona parte del surplus militare italiano, soprattutto mezzi terrestri e navi in radiazione nelle nostre forze armate perché obsoleti o in esubero rispetto ai tagli apportati allo strumento militare. Tra questi vi sarebbero i cingolati da combattimento VCC-1 (evoluzione degli M-113), blindati Puma, artiglierie e un buon numero di unità navali tra cui pattugliatori d’altura, fregate e persino la portaerei Garibaldi (nella foto  sinistra). Unità ormai con 30 anni di attività sulle spalle ma in grado di operare ancora a lungo nella Marina angolana che ha la necessità di dotarsi di un ampio strumento d’altura  per contrastare la pirateria e controllare la Zona economica esclusiva che si estende fino a 200 miglia dalla costa e ricca di giacimenti di petrolio off-shore. L’obiettivo di acquisire navi di queste dimensioni e complessità, inclusa la prima portaerei di un Paese africano (Luanda si era interessata anche alla spagnola Principe de Asturias ma sembrerebbe preferire l’unità italiana), la dice lunga circa le ambizioni di Luanda e l’ampio lavoro di ampliamento e addestramento necessario a trasformare un forza navale costiera con appena un migliaio di marinai in un forza con capacità oceaniche.

Un programma che potrebbe aprire grandi opportunità all’Italia nel settore della formazione (Roma ha offerto l’accesso gratuito di ufficiali angolani nelle nostre accademie),  dell’ammodernamento dei mezzi di seconda mano che Luanda potrebbe acquisire in Italia (si parla di contratti potenziali per oltre un miliardo di euro) e dello sviluppo di joint venture per dar vita a un’industria della Difesa locale in grado di gestire manutenzioni e realizzazioni di prodotti quali uniformi ed equipaggiamenti individuali.  Opportunità con elevati margini di sviluppo anche per la fornitura di mezzi di nuova produzione nel settore aereo (cargo tattici C-27J, addestratori ed elicotteri) e del controllo delle frontiere dove i sensori e i radar di Selex ES potrebbero venire scelti per controllare elettronicamente i 2.500 chilometri di confine tra Angola e Congo attraversati da migliaia di immigrati illegali in cerca di fortuna in un Paese che sta rapidamente arricchendosi grazie all’export petrolifero. Per dare l’idea dell’ampio ventaglio di possibilità per le aziende italiane in Angola basti ricordare che nel luglio scorso una delegazione militare del Paese africano aveva visitato gli stabilimenti di molte aziende di Finmeccanica e di Fincantieri, Rheinmetall e Iveco Defence Vehicles come ha riferito nei giorni scorsi un lancio dell’agenzia AGI.

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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