ATTACCO ALLA RUSSIA
C’è molto di cui preoccuparsi nella crisi che contrappone Mosca a Kiev a cominciare da una “rivoluzione” che con maggiore equilibrio dovremmo analizzare come il riuscito tentativo occidentale di strappare Kiev dalla tradizionale influenza russa e portarla (o riportarla) verso l’Unione Europea e la Nato. Nonostante la campagna mediatica che vede ancora una volta allineati i grandi media occidentali e arabi (guarda caso come accadde per le “rivoluzioni” in Egitto, Libia e Siria) sarebbe da ingenui credere alla sollevazione di massa degli ucraini contro il governo filo russo di Viktor Yanukovic. Anche perché di masse non se ne sono proprio viste e molti reporter hanno riferito che a due isolati dal Maidan non c’erano disordini e il resto del Paese era sostanzialmente tranquillo.
Il nuovo governo ad interim rappresenta vari movimenti, dai filo europeisti a filo-americani agli ultra-nazionalisti che hanno in comune un solo aspetto: sono accreditati di qualche rappresentanza solo nell’ovest del Paese non certo nelle aree abitate in maggioranza da russi, russofoni e filo-russi. Anche la legittimazione parlamentare del governo ad interim (ma non di tutti i parlamentari perché a decine gli eletti nell’est filo russo hanno lasciato Kiev) è stata in molti casi ottenuta con pressioni e violenze documentate dal ministro degli Esteri estone. Il 28 febbraio Urmas Paet ha detto in una telefonata all’alto commissario della UE per la politica estera, Catherine Ashton (nella foto qui accanto), che a sparare sulla folla in piazza Maidan non sono stati cecchini governativi ma dei ribelli, che tiravano su manifestanti e poliziotti.
Una testimonianza importante per capire cosa stava accadendo a Kiev in quei giorni, un “golpe” teso a cacciare Yanukovic accusandolo di aver ordinato di far fuoco sulla folla. “È brutto sapere che la nuova coalizione non voglia chiarire cosa sia successo esattamente. Esiste il forte sospetto che dietro ai cecchini non ci fosse Yanukovich ma qualcuno della nuova coalizione” si sente dire al ministro estone nell’audio rivelato da USA Today anche se poi Paet, non senza imbarazzo, ha cercato di minimizzare il significato delle sue stesse pariole. L’aspetto imbarazzante è invece che nessuno Stato membro della Ue e nessun organo di stampa abbia mosso critiche alla baronessa Ashton e alla nomenklatura dell’Unione, per la censura posta su questa testimonianza e su chissà quante altre informazioni circa la “rivoluzione” di Maidan. Molti elementi confermano del resto come dietro il rovesciamento del governo ucraino vi sia la stessa Ue e almeno alcuni suoi importanti membri (Gran Bretgna, Germania e Polonia) oltre agli Stati Uniti.
Paesi mossi probabilmente da interessi diversi ma convergenti, sia strategici che economici. Il primo obiettivo conseguito è l’aver menomato o forse compromesso il progetto di Vladimir Putin di costituire con le repubbliche dell’ex Urss quell’Unione Euroasiatica considerata un grande competitor dell’Occidente e del mondo arabo. Un grande blocco di libero scambio economico e finanziario con oltre 230 milioni di abitanti, ricchissimo di materie prime che dovrebbe venire varato nel gennaio prossimo e di cui è certo non farà parte l’Ucraina con il suo peso demografico ed economico. Sempre sul piano economico la determinazione dei nuovi “padroni” di Kiev ad associarsi alla Ue consentirà a chi ha capitali da investire (guarda un po’, soprattutto i tedeschi) di mettere le mani sull’economia ucraina e soprattutto sui distretti industriai acquistabili con poca spesa viste le condizioni economiche del Paese. Certo gli apparati sono per lo più obsoleti ma gli investimenti per il loro aggiornamento verrebbe compensato da manodopera qualificata a basso costo e da un mercato di quasi 50 milioni di persone che offrirebbe nuovo “spazio vitale” all’espansione dell’economia tedesca sottraendolo alla Russia.
Come spiegare diversamente la generosità della Ue nei confronti di Kiev? Possibile che in Europa nessuno si arrabbi per gli 11 miliardi di euro promessi all’Ucraina (su 35 miliardi di dollari dichiarati necessari da Kiev per il biennio 2014-15 per salvare la sua economia)? Una cifra che in questi anni di austerity avrebbe aiutato le finanze pubbliche di molti partner meridionali dell’Unione costretti a tasse e spending review massacranti . “Bruxelles ha offerto 11 miliardi di euro, faccio notare che sino a qualche settimana fa aveva offerto 175 milioni, ma se l’Europa avesse offerto il 20% di quella cifra per il risanamento e lo sviluppo dell’area mediterranea, penso a Egitto, Libia, Tunisia, avremmo avuto sicuramente meno turbolenze. Quindi voglio vederci chiaro su questa proposta di Barroso” ha detto in un’intervista il vice ministro degli Esteri italiano, Lapo Pistelli. E speriamo ci faccia sapere quali chiarimenti otterrà da Bruxelles.
In termini strategici l’ipotesi che l’Ucraina entri nella NATO rappresenta un incubo per Mosca. A chi ritiene che questa possibilità non sia credibile vale la pena ricordare che, per non lasciare dubbi circa gli obiettivi del nuovo governo ucraino, il partito Patria (filo anglo-americano) guidato da Iulia Timoshenko ha depositato in Parlamento un disegno di legge per l’adesione alla Nato la cui approvazione sarebbe dirompente quanto l’annessione della Crimea alla Russia. L’Alleanza Atlantica del resto non si è certo fatta pregare per esprimere il pieno sostegno a Kiev e il rafforzamento della cooperazione militare, assumendo così una posizione di netta contrapposizione nei confronti di Mosca rafforzata dallo schieramento di forze aeree (F-16, F-15 e Awacs) in Polonia e Repubblica Baltiche. Impossibile poi non notare che l’adesione dell’Ucraina alla Nato consentirebbe agli statunitensi di portare “scudi antimissile”, radar e sensori alle porte di Mosca e se venisse rispettata l’integrità territoriale del Paese, includendovi quindi la Crimea, i russi perderebbero le basi aeree e navali di Sebastopoli, candidate in futuro ad essere utilizzate dalla sesta Flotta statunitense che da tempo incrocia con regolarità nel Mar Nero utilizzando i porti bulgari, turchi e rumeni. Un contesto che priverebbe la Russia della profondità territoriale strategica e la esporrebbe ulteriormente sul fronte meridionale già minacciato dai movimenti jihadisti del Caucaso. Le basi in Crimea costituiscono inoltre il trampolino per la proiezione strategica nel Mediterraneo, in Medio Oriente e nell’Oceano Indiano e soprattutto garantiscono il sostegno al regime siriano di Bashar Assad.
Quanto sta accadendo in Ucraina rappresenta un attacco diretto alla Russia e non si tratta di fare il tifo per Kiev o Mosca o di decidere se ci è più simpatica la treccia bionda della Timoshenko o il machismo dello “zar” Putin. Meglio valutare attentamente qual è la posta in gioco e come stiamo compromettendo la stabilità in Europa attaccando la Russia e creando i presupposti per la destabilizzazione della Bielorussia, il cui regime rappresenta l’ultimo alleato di Mosca in Europa.
Difficile pensare che Putin accetti di perdere l’influenza sull’Ucraina senza cercare quanto meno di contenere i danni garantendosi il controllo della Crimea, forse delle province orientali ucraine in gran parte filo-russe e con esse la possibilità di continuare a destabilizzare Kiev. Certo con “l’operazione Maidan” gli Stati Uniti si sono presi la rivincita dopo aver subito il protagonismo russo rivelatosi vincente nelle crisi siriana e iraniana e Barack Obama può oggi accusare Putin di “essere dalla parte sbagliata della storia” mostrando così una sorpresa per la reazione militare russa in Crimea che sembra essere comune a tutto l’Occidente.
Putin stupisce perché è fuori moda e nell’era della globalizzazione utilizza un linguaggio arcaico, degno di un leader del secolo scorso. Parla di “nazione” invece che di “mercato”, addirittura di “popolo”, termine che nell’Occidente schierato dalla parte giusta della storia è stato rimpiazzato da “società” grazie a dogmi politically correct quali multiculturalismo e relativismo culturale che stanno cancellando le identità. Putin osa persino difendere gli “interessi nazionali”, concetto sostituito dalle nostre parti con il rapporto deficit/Pil. Figuratevi se possiamo comprenderlo in un’Italia che da oltre due anni lascia suoi militari prigionieri in India e accetta che i suoi governi vengano nominati o legittimati da Bruxelles e da Berlino invece che dagli elettori. Putin è talmente un “dinosauro“ che si ostina persino a combattere l’islamismo al punto da essere oggi l’ultimo paladino della cristianità. Incomprensibile a un’Occidente prono a imam e petrodollari che supplica l’ultimo degli emiri a comprare in Europa aziende, squadre di calcio ed intere città e in cambio di questi investimenti usa le sue armi per portare i jihadisti a dominare Libia e Siria.
Sia chiaro, Putin non è certo un campione di democrazia ed è probabile che tra le ragioni della reazione muscolare ai fatti di Kiev vi sia anche il timore che sommosse di piazza di grandi dimensioni raggiungano Mosca. Ma gli Stati Uniti, l’Europa e la Nato non hanno però le carte in regola per fare i moralisti o accusare la Russia di violare il diritto internazionale. L’Occidente invia contingenti militari a combattere in Afghanistan, Malì, Iraq, Somalia e gli USA impiegano droni e forze speciali per rapire e uccidere terroristi (e qualche civile) in ogni parte del mondo ma i russi non hanno diritto di intervenire nel loro giardino di casa per salvaguardare i suoi interessi e più di 10 milioni e più di connazionali che vivono in Ucraina? Con quale faccia contestiamo il diritto della Crimea di staccarsi dall’Ucraina quando la Nato ha bombardato la Serbia (all’epoca filo-russa) per occupare il Kosovo, darlo agli albanesi e poi riconoscerlo come stato indipendente benché per il diritto internazionale si trattasse di una provincia di Belgrado?
Un’ipocrisia sottolineata anche negli Stati Uniti da Eugene Robertson che sul Washington Post accusa la Casa Bianca di “retorica” e di soffrire d’amnesia .“Prima dell’Iraq c’è stato l’Afghanistan, il Golfo Persico, Panama e Grenada. E anche se condanniamo Mosca per la sua oltraggiosa aggressione ci riserviamo il diritto di usare missili mortali in Pakistan, in Yemen, in Somalia e chissà in quale altri luoghi” scrive Robertson che pur non nasconde il suo sostegno a Kiev. Anche se si eviterà una guerra questa crisi genererà una lunga instabilità e la probabile frantumazione dell’Ucraina. Elementi che si rifletteranno negativamente sull’Europa in termini di incertezza negli approvvigionamenti energetici, costi finanziari e probabilmente anche in termini di immigrati e profughi ucraini diretti all’ovest. Così gli unici a trarre vantaggi dalla crisi saranno gli anglo-americani che vedranno indebolirsi russi ed europei, loro rivali strategici ed economici.
Foto: CNN, Getty Images,AP, Reuters
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.