CRISI IN UCRAINA: MOSCA NON PUO' PERDERE LA CRIMEA
(Aggiornato il 3 marzo alle 17,15)
Sfidare Putin bluffando sarebbe pericoloso anche per i più abili statisti, figuriamoci per il neo presidente ad interim ucraino Oleksander Turchinov che ha rimediato una figuraccia di prima grandezza portando il confronto con Mosca sul piano militare. Kiev aveva infatti diffidato la Russia dal dispiegare le sue forze militari schierate in Crimea al di fuori dell’area della base navale di Sebastopoli ammonendo che un’azione del genere sarebbe stata considerata “un atto di aggressione” come disse il 26 febbraio Turchinov. “Mi appello alla leadership militare della flotta russa sul Mar Nero – aveva detto in qualità di comandante supremo delle forze armate ucraine – qualsiasi movimento militare, ancor più se in armi, al di fuori del territorio della base sarà visto come un’aggressione militare”. Ai russi sono bastate poche ore per “vedere” il bluff di Turchinov. Mentre miliziani filo russi della repubblica autonoma di Crimea hanno preso posizione intorno agli aeroporti e hanno occupato le sedi del Parlamento e del governo autonomo della Crimea a Simferopoli i reparti di fanteria di Marina (a Sebastopoli è basata la Brigata 810 con il 382° battaglione) hanno cominciato a farsi vedere in città giusto per mettere con le spalle al muro la nuova dirigenza anti-russa di Kiev.
L’arrivo di una brigata di paracadutisti della divisione aerotrasportabile 106, dell’unità Spetsnaz 45 (forze speciali) con una decina di elicotteri (dapprima rischierati nella vicina base russa di Anapa) così come i sorvoli di jet da combattimento russi nello spazio aereo meridionale ucraino hanno da un lato rincuorato la popolazione russa e filo-russa di Crimea e delle province orientali ucraine e dall’altro messo a nudo l’incapacità di Kiev di controllare il territorio nazionale. L’Ucraina ha denunciato “l’invasione” ma il ministero degli Esteri russo ha assicurato il “rispetto rigoroso” degli accordi internazionali sulla propria flotta nel Mar Nero, precisando che “i movimenti militari sono stati fatti nel pieno rispetto degli accordi e non richiedono alcun chiarimento”. Umiliato il presidente Turchinov è toccato al premier ucraino Arseny Yatseniuk dichiarare questa mattina che l’Ucraina si rifiuta di rispondere “con la forza” alla “provocazione” russa rappresentata dal dispiegamento di forze in Crimea. “L’inadeguata presenza dei militari russi in Crimea è una provocazione” – ha detto Yatseniuk – ma “i tentativi di far reagire l’Ucraina con la forza sono falliti”.
Non paga del successo Mosca ha infierito denunciando (ma non vi sono riscontri da altre fonti) che “uomini armati non identificati mandati da Kiev hanno tentato di occupare l’edificio del ministero dell’interno della Repubblica autonoma di Crimea nelle prime ore di oggi” azione sventata dalla “risoluta azione delle unità di autodifesa” filorusse. “La pericolosa provocazione ha causato feriti”, si legge in un comunicato del ministero degli Esteri russo che tira le orecchie agli ucraini, secondo cui tali eventi “confermano il desiderio dei ben noti circoli politici di Kiev di destabilizzare la situazione nella penisola. Invitiamo coloro che emanano ordini del genere da Kiev ad esercitare la prudenza. Vediamo il tentativo di aggravare la già tesa situazione in Crimea come estremamente irresponsabile”.
Nonostante da più parti si gridi alla minaccia di un intervento militare russo in grande stile nella crisi Ucraina gli obiettivi delle forze di Mosca sembrano essere di portata limitata e soprattutto difensiva e a tutela dei 10 milioni di cittadini ucraini che detengono anche il passaporto russo. In questo contesto desta preoccupazioni il via libera del parlamento di Mosca al presidente Putin all’impiego della forza militare “sul territorio ucraino fino a qundo la situazione nnon si sarà stabilizzata”. Kiev ha risposto annunciando la mobilitazione di tutti i riservisti anche se un’invasione simile a quelle del 1956 in Ungheria o del 1968 in Cecoslovacchia appare oggi anacronistica e soprattutto insostenibile sul piano militare, politico e finanziario. Lo stesso Putin, parlando al telefono con il segretario generale dell’ONU, Ban ki moon, ha detto che la Russia “farà ricorso a qualsiasi misura necessaria, nel rispetto del diritto internazionale, qualora ci fosse una qualsiasi forma di escalation di violenze contro la popolazione russofona delle regioni orientali dell’Ucraina e della Crimea”. Le forze russe non sono del resto in grado di alimentare a lungo offensuve di vasta portata e le grandi manovre militari in atto nei Distretti occidentali russi, a ridosso del confine ucraino, sono state pianificate da un anno anche se oggi assumono un ruolo di deterrenza contro iniziative di Kiev nei confronti delle popolazioni russe e russofone delle province orientali ucraine che rifiutano il nuovo corso. Le manovre coinvolgono 150 mila militari con 200 aerei, altrettanti elicotteri e un migliaio di carri armati e blindati, più di quanto possano mettere in campo tutte le forze armate ucraine.
La posta in gioco
Non c’è dubbio che in termini geostrategici il passaggio di Kiev nell’orbita occidentale rappresenti un incubo per Vladimir Putin che vede in prospettiva un ulteriore spostamento a est dei confini con la Nato e la Ue e teme la prossima destabilizzazione della Bielorussia, ultimo alleato di ferro del Cremlino in Europa. Se a queste valutazioni sugli sviluppi a medio termine si aggiunge il rischio di perdere il controllo delle ampie infrastrutture militari di Sebastopoli e più in generale della Crimea diventa ben comprensibile la determinazione di Mosca a difendere i propri interessi nel suo “giardino di casa”.
Germania, Stati Uniti e Polonia sembrano avere interesse a sostenere il nuovo corso di Kiev per ragioni in parte diverse ma non è detto che abbiano la volontà e la capacità di tenere sotto controllo la situazione in Ucraina. Berlino punta a penetrare nuovi mercati (l’Ucraina ha un apparato industriale sviluppato ma obsoleto e un basso costo del lavoro) per la sua economia in espansione, Washington vuole colpire la Russia ai suoi confini per rintuzzarne il ruolo globale sempre più ampio e Varsavia soffia sul fuoco dei nazionalismi per insidiare le tradizionali aree di interesse russo. Imbarazzante, ancora una volta, il ruolo dell’Unione europea, organismo incapace persino di prendersi su serio come dimostra la decisione assunta sabato da Bruxelles di convocare una riunione d’emergenza, ma non il giorno successivo (è domemica!) bensì lunedì. Mosca non può permettersi di perdere la base di Sebastopoli, indispensabile per contenere la presenza della Nato in Mediterraneo e Mar Nero, ad alimentare la proiezione di forza verso il Mediterraneo e l’Oceano Indiano dove la Marina russa ha ottenuto un punto d’appoggio alle isole Seychelles e a sostenere il regime siriano. La gran parte dei rifornimenti diretti alla base navale di Tartus, sulle coste siriane, e alle forze di Damasco partono da Sebastopoli, base che ricopre un ruolo strategico che va ben oltre la crisi in Ucraina. La sua difesa è quindi vitale per le ambizioni da grande potenza di Mosca ma è al tempo stesso evidente che un’eventuale cacciata dei militari russi dalla Crimea aiuterebbe il rinnovato asse Washington-Riad impegnato a sostenere con addestramento, fondi e armi i ribelli siriani e coglierebbe in contropiede le aspirazioni globali della Marina russa impegnata oggi ad aprire nuove (vecchie) basi a Cuba e Vietnam.
Le forze in Crimea
Per dimensioni e infrastrutture, Sebastopoli non sarebbe rimpiazzabile in breve tempo da altri porti russi sul Mar Nero (Sochi o Novorossysk) che richiederebbero lunghi e costosi lavori per poter essere attrezzati come la base in Crimea.
Sui moli di Sebastopoli sono ormeggiate le unità della Flotta del Mar Nero guidata dall’ammiraglio Aleksandr Vitko: un incrociatore, 4 cacciatorpediniere e 2 fregate della 30a Divisione, una decina di corvette, due sottomarini, 7 navi d sbarco tipo Ropucha e Alligator, altrettante motovedette lanciamissili e una decina di dragamine. Oltre alla base della Flotta del Mar Mero, i russi utilizzano caserme e strutture logistiche e manutentive che ospitano 26 mila marinai rafforzati negli ultimi giorni da unità di forze speciali e paracadutisti per un totale forse di poco inferiore alle 30 mila unità. Nei due aeroporti militari (Gvardeyskoye e Kacha) che possono ospitare fino a 160 velivoli sono attualmente basati due dozzine di bombardieri Sukhoi 24, una ventina di elicotteri antisommergibile Kamov KA-27 e Mil-14 affiancati in questi giorni da una dozzina di Mi-17 armati forze speciali (alcune fonti riferiscono anche di elicotteri da combattimento Mi-24 o Mi-35) mentre il reparto cargo dispone di Antonov 12, Antonov 26, aerei anfibi Beriev Be-12 e una decina di elicotteri Mi-8. Con queste forze e i rinforzi appena arrivati Mosca può controllare interamente la Crimea e le acque circostanti (la flotta ucraina è irrilevante e in Crimea e milizie filo russe hanno circondato le caserme della Guardia Costiera di Kiev), occupare gli aeroporti e bloccare le due strade che collegano la Crimea al territorio ucraino attraverso sottili strisce di terra. Operazioni che per opportunità politica sono affidate in queste ore alle milizie filo-russe o a militari che indossano uniformi senza mostrine. Nel primo caso si tratterebbe a di forze già da tempo organizzate a livello paramilitare a giudicare dallaa disponibilità di uniformi e dalla dimestichezza con cui maneggiano i fucili d’assalto che potrebbero provenire direttamente dagli arsenali di Sebastopoli. A sostegno dell’ipotesi che non si tratti di miliziani locali (le cosiddette “forze di autodifesa della Crimea”) ma bensì di militari russi privi delle uniformi d’ordinanza giocano invece le testimonianze che riferiscono di come questi militari abbiano accenti diversi ma non della Crimea.
Le forze ucraine
In fase di ridimensionamento e professionalizzazione le forze armate ucraine schierano circa 130 mila effettivi ma la decisione del governo a interim di mobilitare tutti i riservisti potrebbe portare alle armi un miione di soldati non tutti fedeli al nuovo governo poiché molti militari sono di origine russa. L’esercito conta 78 mila unità (2 brigate corazzate, 8 meccanizzate, 3 d’artiglieria, una di missili terra-terra, una di paracadutisti e 2 aeromobili) equipaggiati con 800 carri armati per lo più del tipo T-64 ammodernato, 2 mila cingolati BMP1/2, 750 pezzi d’artiglieria campale, missili anticarro Konkurs, Fagot e Kornet e una settantina di elicotteri per metà Mi-24 da combattimento.
Migliaia tra carri armati, ruotati e pezzi d’artiglieria di modelli più vecchi e risalenti all’epoca sovietica sono stoccati nei magazzini in riserva o in attesa di essere venduti a Paesi in via di sviluppo. Mezzi che insieme ai milioni di armi leggere disponibili risultano idonei ad armare di tutto punto milizie irregolari facilmente costituibili in un Paese dove il servizio di leva ha insegnato a tutti come si imbraccia un fucile. La difesa aerea dispone di sistemi S-300, Buk, Tor fino ai portatili SA-18. Le forze aeree schierano 35 mila militari con 80 Mig 29, 36 Sukhoi 27 (inviati in volo per contrastare le violazioni attuate dai veivoli russi dello spaziuo aereo ucraino), altrettanti aerei d attacco al suolo Sukhoi 25 e una cinquantina di bombardieri e ricognitori Sukhoi 24 oltre a una quarantina di addestratori L-39. La Marina schiera 15 mila uomini con una fregata, 7 corvette, 2 navi da sbarco, qualche motovedetta e una decina di navi ausiliarie e dragamine. Militari ucraini sono presenti in piccoli numeri in numerose missioni internazionali: Afghanistan (130), Congo (12) , Kosovo (128), Liberia (230) e Sudan (9).
Sviluppi possibili
L’anticipazione a marzo del referendum sullo status della Crimea potrebbe accelerare il processo di indipendenza della Penisola, probabile anticamera di una successiva adesione alla Federazione Russa e di un’ analoga iniziativa nelle province orientali ucraine abitate per lo più da russi e russofoni.
Uno sviluppo che potrebbe esacerbare le tensioni anche sul fronte militare.Il segretario generale Anders Fogh Rasmussen ha denunciato la violazione dei principi della Carta Onu e ha definito l’iniziatuva russa una minaccia per la pace e la sicurezza in Europa esprimendo il sostegno della NATO “all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina” così come al “diritto dei suoi cittadini di decidere il loro futuro senza ingerenze esterne”. Difficile prevedere quali sviluppi avrà invece la caotica situazione a Kiev dove le pressioni dei gruppi estremisti potrebbero determinare lo sfaldamento delle forze armate e di polizia (33 mila agenti del Ministero degli Interni e 50 mila guardie di confine) e in parte composte da filo-russi come ha ben dimostrato la defezione della Marina ucraina il cui comandante, l’ammiraglio Denys Berezovsky, appena noiminato dal governo provvisorio di Kiev ha assicurato fedeltà alla causa della “gente di Crimea”. Berezovsky è stto quinbdi rimosso per alto tradimento da Kiev che lo ha sostituito con l’ammiraglio Serghii Haiduk. Mosca ha già offerto asilo e cittadinabza ai poliziotti dei reparti antisommossa che a Kiev si opposero ai dimostranti e fonti russe rivelano che alcune guarnigioni ucraine in Crimea sono passate dalla parte delle forze vicine a Mosca mentre altre due ( il centro di intelligence della Marina militare ucraina a capo Fiolent, a Sebastopoli, e il centro approvvigionamenti militari di Bakhcisarai) sono accerchiate da truppe russe prive di mostrine sulle uniformi. Probabilmente la Russia potrebbe assumere un più ampio ruolo militare solo qualora la crisi ucraina degenerasse in una guerra civile che mettesse a repentaglio la vita della popolazione russa in Crimea e nelle regioni orientali del Paese a rischio di secessione e dove sono in atto manifestazioni e occupazioni di edifici governativi da parte dei filo-russi. Mosca assumerebbe quindi un ruolo di garante delle comunità russe giustificato dalla necessità di proteggere i civili come accadde, su scala più ridotta, nel conflitto georgiano del 2008 in cui i russi sostennero con le armi il diritto delle province secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud di staccarsi da Tbilisi. Le truppe russe intervennero del resto anche in Bosnia nel 1995 e in Kosovo nel 1999 affiancando quelle della Nato per garantire la sicurezza delle comunità serbe.
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Foto: Marina Russa, AP, Ukroboronservice
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.