F-35: L'ITALIA FORSE DIMEZZA LA SPESA MA IN EUROPA E' "GUERRA TRA POVERI"

Con 266 fra aerei e pezzi d’aereo da fabbricare in anticipo ordinati dal 2008 in poi, e a quattro anni dal primo sospirato contratto pluriennale di produzione “full rate”, Lockheed Martin può dirsi soddisfatta di come procede la produzione in serie del suo aereo da attacco stealth F-35 “Lightning II”. Dopo quasi un anno di tentennamenti, dovuti in parte ai guai politici e privati del premier Recep Tayyip Erdogan precedenti il successo elettorale del 30 marzo che l’ha rimesso in sella, il 6 maggio la Turchia ha fatto sapere che intende finalmente comperare i primi F-35 (due, per ora) dei 100 che si è impegnata ad acquistare. La decisione è giunta al termine di un’attenta valutazione del grado di maturità raggiunto dal programma, che Ankara sostiene dal 1999 come partner di 3° livello con l’obiettivo di dotare di caccia di quinta generazione le proprie forze aeree e offrire importanti opportunità all’industria.

Questa, è stato annunciato il 6 maggio, metterà in piedi una linea di assemblaggio finale del turbofan Pratt & Whitney F-135 che spinge il caccia americano, impianto che in un secondo tempo si trasformerà nel secondo hub europeo di manutenzione e aggiornamento del propulsore, dopo quello che sta sorgendo in Olanda. Da parte sua il 23 aprile anche l’Australia (nella foto qui sotto il premier Abbott a bordo di un F-35) è uscita dall’indecisione confermando l’acquisto di altri 58 F-35A dopo i 14 già ordinati, il primo dei quali le sarà consegnato nel 2018. L’ordine dei primi due F-35A turchi sarà firmato nel 2016, il “Buy Year” degli aerei del decimo lotto annuale di produzione a basso rateo (LRIP-10).

Secondo l’ultima revisione del programma (2012), questi aerei dovrebbero adottare la versione Block 3F del software di bordo, la prima capace di assicurare la piena capacità operativa del caccia e soprattutto la completa “fusione” dei dati rilevati dai suoi sensori; fusione che, condivisa in automatico in tempo reale con altri velivoli (ogni pilota vedrà in ogni momento sul suo schermo anche quello che vedono gli altri), dovrebbe far fare all’F-35 il rivoluzionario salto di qualità promesso dai suoi costruttori. Tuttavia, i ritardi accumulati negli ultimi anni dalle versioni precedenti di questo software (la Block 2B e la Block 3I) e confermati dai più recenti rapporti del Pentagono e del Government Accountability Office, potrebbero far slittare di qualche tempo l’effettiva disponibilità del Block 3F.

PD: dimezzare i 131 aerei, non 90

Alla questione delle future configurazioni e conseguenti capacità del Joint Strike Fighter è direttamente collegata anche la “rimodulazione” dell’impegno del nostro Paese nel programma decisa dal Governo a fine aprile, e approvata in parallelo il 7 maggio (con il sì del Partito Democratico, il no di Forza Italia e l’astensione degli altri gruppi) dalla Commissione Difesa della Camera come parte delle proposte avanzate dal PD al termine dell’Indagine conoscitiva sui sistemi d’arma. La versione definitiva del documento prescrive una “moratoria” sugli acquisti ma soprattutto un “dimezzamento della spesa”, anche se non chiarisce quali capitoli del budget globale saranno interessati dal dimezzamento.

Compito non facile, viste le molte voci in gioco e l’accavallarsi temporale di una molteplicità di impegni contrattuali. Una moratoria è già in atto, avendo il ministro della Difesa Roberta Pinotti bloccato l’acquisto dei primi Long-Lead Items per gli esemplari del LRIP-10 (una seconda serie di questi pezzi da acquistare prima di ordinare gli aerei sarebbe prevista l’anno venturo). Quanto al merito del “dimezzamento della spesa”, si dovrà capire di quale arco temporale si sta parlando (quello del mero acquisto degli aerei dura 13 anni, dal 2013 al 2025), tenendo conto del fatto che l’andamento dei costi di acquisizione non è determinabile se non nel brevissimo termine (uno-due anni).

Va poi da sé che meno aerei si comprano più si pagano, ma soprattutto minori economie di scala sono realizzabili, dato che tendenzialmente l’onere finanziario del sostegno tecnico-logistico risulterà inversamente proporzionale a quello del semplice acquisto. Anche i costi dei sistemi per il previsto interfacciamento netcentrico del JSF con gli altri assetti della nostra Difesa, che venerdì 16 maggio  – secondo quanto riporta Defense News – Alenia Aermacchi e Lockheed Martin hanno deciso di sviluppare insieme (costi a totale carico del nostro Paese), risentirebbero negativamente di una flotta di F-35 più ridotta.

A fornire ad “Analisi Difesa” qualche precisazione sugli orientamenti parlamentari e governativi riguardo il programma F-35 è l’onorevole Carlo Galli del Partito Democratico, che ha collaborato con il collega e capogruppo Gian Piero Scanu all’elaborazione del documento votato in Commissione. Galli conferma che il testo approvato “non parla di ridurre gli aerei da 90 a 45 – un dimezzamento sarebbe partito comunque dai 131 esemplari iniziali, non da 90 – ma piuttosto di dimezzare il budget di spesa”.

Come? “Attraverso il conseguimento di due risparmi, il primo ottenuto riducendo la flotta di un certo numero di aerei, e il secondo rimodulando il piano di acquisiti e conseguentemente dei pagamenti. Messi a fattor comune, ”prosegue l’onorevole Galli, “i due risparmi costituirebbero un sostanziale avvicinamento a quel dimezzamento del budget chiesto dal PD”. E il Governo, che cosa deciderà?

“Nel fare i suoi passi dovrà tener conto di due elementi: di questo pronunciamento del Parlamento, e dei risultati del Libro Bianco che ha deciso di preparare, che in ogni caso dovrà ottenere un’approvazione parlamentare per diventare decreto.Quanto al documento conclusivo dell’Indagine Conoscitiva,” sottolinea Galli, “il PD si sta impegnando affinché il Governo ne faccia una sua risoluzione”. (L’esponente politico ha poi fatto cenno alla proposta di legge depositata a Montecitorio il 14 maggio per la vigilanza sull’acquisto dei sistemi d’arma. Punto centrale, l’istituzione di un’Autorità di controllo dei costi e della correttezza ed economicità delle procedure di procurement. A presiederla sarà un magistrato della Corte dei Conti. La proposta – primo firmatario un altro membro PD della Commissione Difesa della Camera, Paolo Bolognesi – è stata sottoscritta da 44 deputati del Partito Democratico e sostenuta da quasi 30.000 cittadini che hanno aderito alla petizione lanciata da change.org e indirizzata al premier Matteo Renzi, al ministro della Difesa Roberta Pinotti e alla presidente della Camera Laura Boldrini.

Lo “stallo” del programma

Al momento la politica non è in grado di dare allo Stato Maggiore della Difesa indicazioni chiare e univoche sul prosieguo del programma, visto che per “rimodularlo” bisognerà aspettare il Libro Bianco (ad autunno inoltrato, ma qualcun azzarda luglio o agosto). Rumors dal ministero riportano d’attualità un’opzione allo studio già da tempo, secondo la quale basterebbe rinunciare ai 15 F-35B a decollo corto e atterraggio verticale chiesti dall’Aeronautica Militare, versione che costando dal 20 al 25 % in più di quella convenzionale permetterebbe un risparmio “rinforzato”. Dagli iniziali 131, già ridotti di 41, si passerebbe così a 75 aeroplani, 60 F-35A convenzionali per l’AM e 15 F-35B per la Marina. Non è detto però che il nuovo taglio si fermi qui.

Se lo Stato Maggiore non riceve input, non ne può trasmettere a sua volta al Segretariato Generale della Difesa, che gestisce gli acquisti. Qui per il momento non sono arrivate altre indicazioni oltre a quelle che si riferiscono alla moratoria dei pagamenti annunciata a marzo dal Ministro Pinotti per gli aerei (2 del LRIP-8 e 2 del LRI-9) successivi ai primi 6 ordinati l’anno scorso (3 del LRIP-6 e 3 del LRIP-7), i cui ulteriori contratti per logistica, addestramento ecc. quest’anno verranno invece onorati regolarmente. Risultano bloccati gli acquisti della seconda serie dei Long-Lead Items degli aerei (2?) del LIRP-9 e come s’è già detto della prima serie per i successivi esemplari del LRIP-10, tutti acquisiti che erano in programma nel 2014. Incerta invece la firma dell’ordine definitivo dei 2 aerei del LRIP-8, anche questo previsto quest’anno. I possibili effetti del blocco dei pagamenti sono oggetto intanto di continue discussioni fra Segredifesa e la controparte governativa statunitense.

Tornando alle configurazioni dei nostri primi F-35, secondo la più recente calendarizzazione degli ordini con il Block 3F potrebbero verosimilmente essere equipaggiati solo i velivoli dal 10°-12° esemplare in poi, con immediati evidenti oneri di retrofit su una parte già sostanziale della flotta. Ma la “rimodulazione” del programma imporrà nuove e da questo punto di vista forse più vantaggiose pianificazioni delle configurazioni, così come il ricalcolo del numero di aerei richiesti sulle basi americane (attualmente 4-5) per l’avvio dell’addestramento dei nostri piloti e specialisti.

Lo “sgambetto” britannico

Il premier Renzi ha affermato che il Governo troverà il modo di non perdere le contropartite industriali prospettateci da Washington con la prima sforbiciata. Non si capisce però quale potere contrattuale potrà avere dopo una nuova riduzione della flotta per convincere gli Americani a non dirottare su altri partner o semplici acquirenti del JSF i prossimi contratti di fornitura, a cominciare da quelli per le ali (Israele consegnerà a settembre la prima delle 811 ali commissionatele l’anno scorso con un contratto di 2,5 miliardi di dollari). Un primo cattivo segnale di queste difficoltà è arrivato dal ministero della Difesa britannico.

La settimana scorsa il titolare Philip Hammond ha dichiarato che la Gran Bretagna intende fare della prima base che schiererà gli F-35B destinati a Royal Air Force e Royal Navy (Marham, nel Norfolk) un hub europeo per la manutenzione, la riparazione, i controlli generali e l’upgrade (MRO&U) degli F-35, cancellando in questo modo quella sorta di “diritto di prelazione” per queste importanti attività di cui sin qua l’Italia ha creduto di poter godere avendo investito centinaia di milioni di euro a Cameri. Colloqui per un possibile sharing nel campo MRO&U con altri partner del programma dal quale la Gran Bretagna potrebbe ottenere risparmi di costo, sono già in corso a Londra con la Norvegia, già dissociatasi da un pre-accordo con Italia e Olanda, con quest’ultima, e con “altri imprecisati” partner europei (restano Turchia e Italia, con la Danimarca che non sa ancora se acquisterà l’F-35).

Non sarebbe tuttavia soltanto l’annunciato nuovo taglio della flotta italiana di F-35 a indurre quella che una volta chiamavamo “Perfida Albione” a sottrarci – con accordi trans-atlantici un po’ sottobanco – questo mega-business e le relative ricadute tecnologiche e occupazionali. Onestà (anche intellettuale) vuole che si riconoscano i veri motivi che potrebbero toglierci quanto peraltro finora ci era stato solo promesso dagli Stati Uniti dopo averci concesso la linea di assemblaggio: una imprudente sottovalutazione o, per essere meno malevoli, una non completa comprensione delle dinamiche e degli enormi rischi di un programma militare internazionale a guida statunitense giocato contemporaneamente su più tavoli. Un gioco che, con Londra impegnata a levarci “il pane di bocca”, Ankara che strappa il business sui motori e Oslo (e forse l’Aja) che voltano le spalle a Cameri, visto dall’altra sponda dell’Atlantico sembrerà una penosa e fratricida guerra fra poveri.

Foto: Lockheed Martin

Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli

Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.

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