Grifone addio resta il tetto con i buchi

di Giancarlo Dillena da il Corriere del Ticino del 19 maggio 2014

La maggioranza degli svizzeri preferisce avere sopra la testa un tetto con dei buchi, piuttosto che pagare il prezzo di tegole che non le piacciono. Questo è il verdetto delle urne e come tale va rispettato.  Ciò non esclude una lettura critica di quanto è avvenuto, per capirne il senso fino in fondo e trarne le dovute indicazioni per il futuro. In questo contesto il primo elemento che balza all’occhio è che nella sua lunga «guerra d’usura» per l’indebolimento e quindi l’abolizione dell’esercito svizzero la sinistra ha vinto ieri una importante e significativa battaglia. Importante perché ha colpito l’arma di punta, cui spetta un compito primario, quello della protezione dello spazio aereo. Significativa poiché segue di pochi mesi la pur sonora sconfitta dell’ultimo confronto sulla milizia. Il che, per lo schieramento opposto, conferma il fondamento dell’ammonimento di Lord Kitchener: «L’unica virtù che bisogna temere veramente nell’avversario è la costanza».

E di indubbia costanza hanno dato prova i sostenitori del referendum. Insieme ad una altrettanto indubbia abilità tattica (si pensi solo al basso profilo tenuto, accortamente, dal GSSE durante la campagna), che ha permesso loro di raccogliere dietro il no anche fasce di elettori non contrari per principio alla difesa armata, ma che all’operazione Gripen hanno guardato con scetticismo crescente man mano che si avvicinava la scadenza del voto. Vuoi perché, a differenza del tema della milizia, quello degli aerei è stato avvertito come più lontano dal vissuto e dalla sensibilità individuali. Ma anche a causa, va detto, del modo incerto e a volte maldestro (vedi dichiarazioni sulla sorveglianza aerea «solo durante le ore d’ufficio») con cui il vertice del DDPS ha gestito la campagna, dando l’impressione di giocare in difesa, piuttosto che con la risoluta convinzione che la causa e il clima politico avrebbero richiesto.

Il resto lo hanno fatto coloro che hanno anteposto alla scelta fondamentale in favore della sicurezza del Paese altre considerazioni di più corto respiro. Ad esempio la delusione per la mancata scelta di un altro modello o la preoccupazione prioritaria per l’equipaggiamento di altre armi.

Ma anche la volontà di fare uno sgambetto al capo del DDPS e al suo partito, mettendoli in difficoltà in vista delle prossime schermaglie politiche. Il risultato di questa spuria convergenza è stato di mettere in minoranza i sostenitori dell’acquisto e più in generale di un sistema di sicurezza completo di tutti i suoi elementi e coerente con la variabilità degli scenari possibili in una situazione internazionale più che mai dominata da incertezza e volatilità.

Che cosa succederà ora? Ci saranno non poche difficoltà da superare, considerato che i Gripen costituivano un investimento tecnologico per i prossimi decenni, che non può essere rimpiazzato facilmente. Ma una soluzione dovrà essere trovata, magari al prezzo di una diminuzione di sovranità (leggi: maggiore dipendenza dalla collaborazione con i vicini europei). Il che potrebbe anche risultare non del tutto sgradito a quanti caldeggiano un più rapido allineamento elvetico alle scelte europee, anche se queste ultime presentano forse le maggiori lacune proprio nell’ambito della difesa.

E sul piano politico? È semplice: la guerra continuerà. Se infatti nessuna della battaglie fin qui perse dai riduzionisti-abolizionisti li ha spinti a desistere, non c’è ragione perché la stessa linea non debba valere per i sostenitori dell’esercito. Si tratta di far tesoro delle lezioni imparate da questa battaglia persa per meglio affinare tattiche e strumenti in vista delle prossime. Essenziale è che a livello di Governo e maggioranza parlamentare non prevalgano atteggiamenti rinunciatari o di compiacente arrendevolezza sui principi, nell’illusione di poter così attenuare la pressione sul bilancio e le strutture della sicurezza. Sarebbe un errore imperdonabile.

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