Reportage: Guerra nell'Ucraina sud orientale

Nell’Ucraina Sud-orientale la situazione si sta sempre di più infuocando, siamo ormai alla “guerra civile”, inutile e fuorviante, quindi, utilizzare altri modi per definire tale situazione! Parliamo di un fronte di centinaia di km che va da Charkov fino a Odessa e che vede il suo fulcro, per ora, nelle città di Slavjansk e Kramatorsk. La popolazione (almeno la maggior parte), russa e russofona di queste regioni non ha nessuna intenzione d’accettare il nuovo potere instauratosi a Kiev lo scorso febbraio, di fatto, sta reclamando con determinazione almeno la propria autonomia dal resto del Paese, se non addirittura un’adesione alla “Madre Russia” che continua a percepire come la propria “Rodina Mat” (Madre Patria).  Sulle barricate innalzate davanti ai vari palazzi dell’amministrazione regionale, oltre alle bandiere della neo Repubblica autonoma del Donbass dalle tre strisce: rossa, blu e nera (le prime due come la bandiera russa, l’ultima, nera, che richiama invece il colore del carbone, la risorsa principale del Donbass), sventolano anche tante bandiere russe.
La protesta che si sta allargando a macchia d’olio sta inoltre assumendo precise connotazioni ideologiche. Il governo di Kiev chiama questi manifestanti “terroristi”. Non a caso, per reprimerli, da settimane parla di operazione anti-terrorismo. Gli insorti però si definiscono semplicemente “difensori” della propria regione e della propria identità.  Le truppe ucraine mandate da Kiev a soffocare la rivolta vengono chiamate dai filo-russi “fascisti”. Dicono infatti: “Il fascismo non passerà! come non è passato durante la guerra, non passerà nemmeno ora!”. Quando parlano di fascismo attuale fanno riferimento alle varie formazioni politiche di estrema destra che hanno preso il potere a Kiev: dal partito Svoboda al famigerato movimento Pravdi Sektor. Per questa ragione è stata mobilitata tutta la simbologia  sovietica: dalla bandiera dell’Urss fino ai simboli legati alla vittoria nella “Grande Guerra Patriottica”.  Nei loro slogan urlano: “No alla UE, no alla sottomissione agli Stai Uniti, no alla Nato” sottolineando quanto il nuovo governo di Kiev sia considerato ampiamente succube e legato ai “consigli” di Bruxelles e di Washington.

Nelle città di Slavjansk e Kramatorsk, il fulcro di questa vasta sollevazione popolare, iI municipi sono ancora saldamente nelle mani dei miliziani filo-russi. L’entrata di questi edifici è circondata da sacchi di sabbia e filo spinato oltre che da barricate di pneumatici d’auto. A Slavjansk i miliziani filo-russi hanno anche bloccato con le barricate un tratto della via centrale del paese. I due varchi del perimetro sono presidiati, oltre che dai miliziani armati con Kalashnikov AKM di diverse versioni, anche da due tank del tipo BMP. Scorgo anche un’arma dal valore storico: una mitragliatrice Maxim della Seconda  Guerra mondiale che, mi assicurano, è ancora perfettamente funzionante. Le due città sono costantemente sotto pressione, quasi ogni notte si susseguono gli attacchi da parte delle forze speciali di Kiev contro i numerosi posti di blocco presidiati dai miliziani filo-russi. Spesso si vedono gli elicotteri Mi-8 delle forze ucraine sorvolare le città e queste postazioni.

I due centri abitati sono isolati dal resto del Paese, sono stati soppressi i mezzi pubblici, non circolano né autobus né treni. Entrare o uscire dalla regione è possibile solo con auto private, ma implica evidenti problemi di attraversamento dei numerosi posti di blocco. Quelli più vicino alle città, in mano ai filorussi, riconoscibili dalle bandiere che sventolano sulle barriere,  quelli più distanti che circondano e chiudono ermeticamente i centri abitati sono in mano alle truppe di Kiev, riconoscibili dalle bandiere ucraine e dai numerosi blindati. Slavjansk e Kramatorsk resistono e i miliziani incontrati sostengono che “si continuerà fino alla fine. Indietro non si torna!”. Per miliziani si intendono soprattutto le forze di autodifesa popolare, la cosiddetta “Narodnoe Opolčenie Donbassa” (armata popolare del Donbass). Tra le sue file i miliziani sono estremamente eterogenei per età: dal pensionato che ha lavorato tutta la vita in miniera allo studente. I miliziani indossano uniformi  estremamente varie. Non portano caschi o elmetti, calzano mimetiche dai diversi camouflage, a volte addirittura sono solo in abiti civili, o vestono solo una giacca mimetica. Quasi tutti però indossano giubbotti antiproiettile. Nella città di Slavjansk, oltre all’eterogenea milizia di autodifesa cittadina, ci sono anche volontari che provengono dalla Crimea. Vestono le stesse mimetiche, si presentano ben equipaggiati e adeguatamente armati con le più recenti versioni di AKM e lanciarazzi RPG-22.

Tutti i miliziani filo-russi portano sulla mimetica il nastrino di San Giorgio dai colori nero e arancione: rappresenta il simbolo del Giorno della Vittoria della Grande Guerra Patriottica, i due colori sono ormai diventati il simbolo di questa rivolta a sottolineare, una volta di più, la connotazione anche ideologica che alimenta questa rivolta. La mattina del 3 maggio l’accesso all’aeroporto di Kramatorsk era bloccato dai militari ucraini di un reparto del SBU “Služba Bezopasnosti Ukrainy” (Servizio di Sicurezza dell’Ucraina). Avevano dei blindati, tutti i militari erano ben equipaggiati con armi leggere automatiche corte, pistole e lanciarazzi ed avevano il viso coperto dal passamontagna. Uniformi nelle loro mimetiche sulla manica era individuabile la bandiera ucraina. Ne ho visto uno, però, che indossava una mimetica britannica di vecchio tipo e recava  sulla manica, cucita, una bandiera inglese. Oltre a ciò, dettaglio interessante, portava intorno al collo la tipica kefia usata informalmente dalle truppe della NATO in Afghanistan.

Nella stessa giornata i miliziani filo-russi alla difesa di Kramatorsk s’aspettavano l’attacco da parte dei soldati di Kiev. Per creare una barriera rigida e una cortina di fumo e di fuoco all’avanzamento dei blindati ucraini, hanno iniziato a dar fuoco a degli autobus posti di traverso sulle vie che portano al centro della cittadina. Hanno poi  fatto suonare le sirene per allertare la popolazione civile dell’imminente attacco e per esortarla a non uscire e a ripararsi in luoghi sicuri. Ignorando tali esortazioni molta gente ha iniziato a riversarsi in strada quasi a contatto con i miliziani, molti dicevano: “Questa è la nostra città, anche noi siamo pronti a difenderla”.
L’attacco ucraino non c’è stato proprio perché avrebbe determinato una strage di civili.Sulla base di questa testimonianza posso affermare che i civili non vengono utilizzati come scudi umani dai miliziani, ma, al contrario, sono proprio i civili a non far mancare il loro supporto ai combattenti filo-russi. Del resto una ribellione che si estende ormai da Charkov fino a Odessa, non potrebbe prolungarsi né sussistere senza un forte appoggio popolare.

Il posto di blocco sull’Andrevski Most, un ponte a metà strada tra Slavjansk e Kramatorsk, in mano alla milizia popolare filo-russa, è stato teatro di duri scontri con le forze di Kiev che hanno causato, mi è stato riferito, 7 morti e più di 20 feriti. Uno dei miliziani mi ha mostrato delle razioni alimentari militari americane abbandonate sul posto dai soldati di Kiev. Anche questo dettaglio rappresenta un elemento importante che prova un certo grado di supporto militare occidentale a questa “operazione anti-terrorismo” che Kiev sta conducendo contro i filo-russi locali.  L’impressione è che non vi siano margini di compromesso, almeno nel breve termine, poiché le posizioni da entrambe le parti si sono ormai troppo acutizzate. E poi, come dicono i filorussi,  “è già stato versato troppo sangue”. Qualsiasi decisione riguardo all’evolversi del conflitto verrà presa a Mosca e a Washington,  l’Ucraina è tornata ad essere quella “terra di confine”, quella “periferia” che è sempre stata e che per l’appunto ha designato il suo nome.

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Foto di Eliseo Bertolasi

Eliseo BertolasiVedi tutti gli articoli

Laureato con lode in Lingue e Letteratura straniere araba e russa all'Università di Sassari e in Scienze antropologiche ed etnologiche all'Università di Milano Bicocca. Ha conseguito un Diploma in Emergenze e interventi umanitari all'ISPI. E'ricercatore associato e analista all'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma, redattore della rivista Geopolitica. Corrispondente dal Donbass per "Voce della Russia – Italia". Ex-parà della Folgore ha inoltre conseguito la qualifica di Paracadutista alla Scuola Superiore delle Aviotruppe russe a Rjazan. Pilota privato d'aereo, pilota commerciale d'elicottero.

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