Tre anni dopo Osama: così è rinata al-Qaeda

Adnkronos/Aki – Tre anni fa le forze speciali Usa, in un blitz nella pakistana Abbottabad, uccidevano Osama bin Laden. Sullo ‘sfondo’, la fine dell’era Ben Ali in Tunia, le dimissioni di Hosni Mubarak in Egitto, la caduta del regime di Muammar Gheddafi in Libia, la ‘cacciata’ di Ali Abdullah Saleh dai vertici del potere in Yemen e lo scoppio della guerra in Siria. Dopo la ‘Primavera Araba’, al-Qaeda orfana di bin Laden e i gruppi ad essa legata sono rifioriti. Alla guida dell’organizzazione terroristica e’ arrivato Ayman al-Zawahiri, che nelle ultime ore e’ tornato a farsi sentire con un audiomessaggio in cui chiede al Fronte al-Nusra, affiliato di al-Qaeda in Siria, di smettere di combattere contro i jihadisti dei gruppi rivali, tra i quali quelli dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Negli ultimi anni si è assistito a riposizionamenti da parte di al-Qaeda, che è in ripresa in Yemen, Iraq e nel Sinai, oltre che nello scenario siriano. Lo scorso anno Nasir al-Wuhyashi, emiro di al-Qaeda nella Penisola Araba, e’ stato scelto come ‘general manager’ del gruppo e – sottolinea l’analista Robin Simcox in un contributo per al-Jazeera – ”e’ la prima volta” nella storia dell’organizzazione che un ruolo di alto livello non viene affidato alla storica leadership in Afghanistan e Pakistan.

Ed è dopo la morte dello sceicco del terrore che il gruppo si e’ ‘arricchito’ con il Fronte al-Nusra e gli al-Shabaab somali. Secondo Christopher Swift, docente di Studi sulla Sicurezza nazionale della Georgetown University, saranno un riposizionamento geografico, un ricambio generazionale e un cambiamento di strategia da parte di al-Qaeda i tre fattori che definiranno il nuovo volto del terrore. Il primo fattore, ha sottolineato Swift in una recente intervista ad Aki – Adnkronos International, ”riguarda il ritiro di al-Qaeda dalla periferia geografica e culturale del mondo islamico e il suo trinceramento nel suo nucleo arabo sunnita”. Il secondo ”prevede il passaggio da una generazione di leader che viene dall’epoca dei combattimenti contro l’Unione Sovietica in Afghanistan a una che ha combattuto gli Stati Uniti, e la Nato, in Afghanistan e in Iraq”. Si tratta, secondo l’esperto, di una ”generazione piu’ spietata, piu’ professionale, ma anche piu’ pratica e concreta”. E il risultato delle conseguenze dei primi due fattori e’ nel terzo, ovvero nell’emergere di ”nuovi sforzi da parte di al-Qaeda nella Penisola Araba, e di altri, volti a sradicare i dettami ideologici del jihad globale nelle realta’ delle insurrezioni locali”. Di conseguenza, secondo Swift, ”assistiamo a una localizzazione del jihad globale che consente ad alcuni affiliati di al-Qaeda di ricostituirsi e sopravvivere nonostante i danni al nucleo di al-Qaeda in Pakistan”.

 

A tre anni dall’uccisione in Pakistan di Osama Bin Laden, la leadership di al-Qaeda si e’ indebolita, sia per la mancanza di carisma del suo successore, Ayman al-Zawahiri, che per i raid dei droni che hanno eliminato numerosi colonnelli della ‘Base.

Cio’ rende piu’ difficile il ripetersi di un attentato stile 11/9, ma la minaccia dell’estremismo di matrice islamica non è superata. Il pericolo piu’ grande oggi e’ il cosiddetto terrorismo di ‘ritorno’: la Siria, infatti, come l’Afghanistan negli anni Ottanta, sta diventando una ‘palestra’ per migliaia di stranieri che combattono il jihad tra le file dei gruppi estremisti e che potrebbero presto tornare nei loro paesi d’origine. E’ questo il quadro tracciato da Andrew Hammond, ex consigliere speciale del governo britannico e oggi analista della Lse Ideas della London School of Economics. Secondo un’analisi di Hammond pubblicata sul sito della ‘Cnn’, sono proprio quelli che l’agenzia di intelligence MI5 chiama i “turisti dell’estremismo” la piu’ grande minaccia oggi per i paesi occidentali. Per dimostrare la complessita’ della questione, Hammond cita un rapporto del Centro internazionale per lo studio del radicalismo (Icsr) del Kings College di Londra, secondo cui sono 366 solamente i cittadini britannici che si sono recati in Siria per combattere il regime di Bashar al-Assad. Charles Farr, direttore dell’Office for Security and Counter-Terrorism della Gran Bretagna, di recente non ha esitato ad affermare che la minaccia rappresentata dai cittadini inglesi che combattono in Siria è “la più grande sfida” per i servizi di sicurezza di Sua Maestà.

Secondo i dati forniti dall’Icsr – scrive sempre l’analista – la questione assume contorni mondiali. Si stima, infatti, che in Siria stiano combattendo al momento tra le file dei ribelli più estremisti 11mila stranieri, provenienti da oltre 70 paesi: dall’Europa occidentale, al Nord America, dall’Australia al sud-est asiatico. Un numero che rappresenta la più alta concentrazione di potenziali estremisti islamici dal conflitto in Afghanistan negli anni ’80. Dati i numeri impressionanti, continua Hammond, “è difficile rintracciare con precisione tutti coloro” che si sono recati in Siria e che rientrano nei loro paesi con le abilità per sferrare un attentato. Per questo, spiega, si fa sempre più “probabile” un aumento degli attentati eseguiti da questi terroristi di ‘ritorno’, che non hanno contatti diretti con la leadership di al-Qaeda, il cui nucleo si trova sempre nelle aree tribali a cavallo tra Afghanistan e Pakistan, ma che non ha più la forza per impartire ordini ai quattro angoli della terra. Si vanno così articolando nuove forme di terrorismo differenti rispetto al passato, i cui protagonisti sono spesso individui che agiscono da soli o in piccoli gruppi, che organizzano azioni eclatanti come l’attacco alla maratona di Boston. Attentati ‘artigianali’ dalle potenzialità limitate, ma per questo difficili da prevenire.

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