Afghanistan: ritiro più vicino anche per gli italiani?

da Il sole24Ore.com

L’annuncio di Barack Obama che le forze militari statunitensi verranno ritirate completamente dall’Afghanistan entro il 2016 influisce anche sulla programmazione del contingente italiano messa a punto per restare a Herat nel triennio 2015-17 nell’ambito dell’operazione Nato Resolute Support. Se Washington prevede di lasciare l’anno prossimo nel Paese asiatico 9.800 militari da dimezzare a gennaio 2016 per completarne il ritiro entro dicembre, Italia e Germania sono gli unici Paesi della NATO  ad aver accettato di mantenere una significativa presenza militare in territorio afghano dopo la fine della missione dell’International Security Assistance Force che si esaurirà quest’anno dopo 13 anni di guerra. Roma e Berlino manterranno circa 800 militari con mezzi, droni ed elicotteri nelle basi di Herat e Mazar-i-Sharif con compiti di addestramento e consulenza alle forze afghane.

L’attuale contingente, concentrato nella base di Herat,  sta scendendo sotto i 2 mila effettivi con il rientro nei prossimi giorni di parte del personale dell’Aeronautica e dei 4 jet AMX, e si ridurrà ulteriormente a giugno con il passaggio delle consegne tra le brigate Sassari e Garibaldi per l’ultima fase della missione dell’ISAF costata all’Italia 53 caduti, centinaia di feriti e oltre 5 miliardi di euro inclusi i 100/120 milioni preventivati per i costi logistici del ritiro.

La nuova operazione di consulenza e addestramento per l’Italia avrà invece un costo previsto in 250/300 milioni di euro all’anno più i 100 milioni (120 milioni di dollari) annui per tre anni che Roma si è impegnata a versare per il sostegno dell’esercito afghano le cui necessità per il mantenimento e gli stipendi sono quantificate in 4,1 miliardi di dollari annui coperti da donazioni internazionali per metà statunitensi.

Non è chiaro se all’accelerato disimpegno annunciato da Obama corrisponderà anche una rivalutazione degli aiuti finanziari promessi a Kabul, tema che probabilmente dipenderà dai rapporti che il nuovo presidente afghano (che uscirà dal ballottaggio del 14 giugno tra Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah) instaurerà con Washington, innanzitutto firmando quel trattato bilaterale di sicurezza (Bilateral Security Agreement) che Hamid Karzai non ha voluto siglare e senza il quale dal gennaio prossimo non sarà possibile assicurare garanzie giuridiche ai militari stranieri presenti in Afghanistan.

La forza statunitense di 9.800 effettivi unita a 1.600 italiani e tedeschi soddisfa le raccomandazioni del generale Joseph F. Dunford (comandante delle forze alleate in Afghanistan) che aveva chiesto di mantenere nel Paese tra i 10mila ed i 12mila contro gli attuali 50 mila militari alleati e i 140 mila del 2011. Con l’annuncio di martedì scorso la Casa Bianca ha di fatto anticipato di un anno il momento in cui gli afghani verranno lasciati soli ad affrontare i talebani, fase che secondo molti analisti si rivelerà disastrosa per Kabul.

Di certo anche Italia e Germania seguiranno gli Stati Uniti completando il ritiro entro il 2016 anche se l’evidente volontà di Washington di sganciarsi al più presto da quell’area lascia aperte anche altre opzioni. La nuova missione italiana in Afghanistan non è stata ancora discussa e approvata in Parlamento anche se fonti ben informate riferiscono che la Difesa ha già pianificato le rotazioni dei reparti a Herat per tutto il 2015 che riguarderanno unità delle brigate Folgore (primo semestre) e Aosta (secondo semestre).

Il più rapido sganciamento statunitense potrebbe però indurre Roma a rivalutare l’opportunità di prolungare la presenza militare in Afghanistan anche alla luce dei tagli per circa un miliardo all’anno per tre anni che il governo intende apportare alla spesa complessiva per la Difesa in cui le missioni oltremare pesano quest’anno per circa un miliardo. L’eventuale rinuncia a restare fino al 2016 in Afghanistan, dove l’Italia non è riuscita a sviluppare rilevanti interessi né una penetrazione commerciale, consentirebbe risparmi per circa 300 milioni all’anno.

Il 27 maggio il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha dichiarato che gli stati maggiori “si stanno preparando a tutte le opzioni: o rientrano tutti i nostri militari, o ne resta una parte. Ma nessuna decisione può essere presa senza prima gli accordi con le autorità afgane” sullo status dei militari del contingente internazionale.
Parlando davanti alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato, il ministro ha precisato che se l’accordo sul BSA sarà infine raggiunto “l’Italia potrà essere parte attiva di questa nuova missione e, in tal caso, il Governo procederà a dare compiuta descrizione delle caratteristiche del nuovo impegno, affinché il Parlamento possa opportunamente deliberare in merito”.

Foto: ISAF RC-W

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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