Il caso Bergdhal e la chiusura di Guantanamo
Adnkronos – Dietro le polemiche e le proteste dei repubblicani per lo scambio tra il sergente Bowe Bergdahl ed i cinque talebani, c’e’ la battaglia, ormai in corso da cinque anni, tra Barack Obama ed il Congresso per la chiusura di Guantanamo. L’ostinazione con cui i repubblicani continuano, anche a costo di apparire contrari al ritorno a casa del sergente da cinque anni prigioniero in Afghanistan, a denunciare l’amministrazione Obama per non aver avvisato il Congresso dello scambio, nasconde infatti la paura che forse Obama abbia deciso di assumere una strategia più aggressiva per il rilascio dei prigionieri ancora detenuti nel campo di prigionia. Una preoccupazione, ed un nervosismo, che è evidente nelle dichiarazioni rilasciate dal senatore Lindsay Graham – ed in effetti definite esagerate dal collega di partito Marco Rubio – che ha minacciato l’impeachment nel caso che Obama rilasci altri detenuti di Guantanamo senza l’approvazione del Congresso.
“Sarà impossibile trasferire altri prigionieri da Gitmo senza una reazione, ci saranno persone che chiederanno l’impeachment”, ha detto Graham che nel 1998 fu uno dei deputati che istruirono l’atto d’accusa contro Bill Clinton per aver mentito riguardo al Sexgate. Nel campo di prigionia creato da George Bush nella base militare americana a Cuba per rinchiudere, senza nessuna incriminazione formale e diritti, i ‘combattenti nemici’ catturati durante la guerra al terrorismo, sono rimasti in tutto 149 detenuti. Secondo i dati pubblicati dal Pentagono nel 2006 – quando l’amministrazione Bush cominciò ad avviare una timida politica di rilascio dei detenuti – sono stati in tutto 759 i prigionieri detenuti nel campo. cinque talebani trasferiti, nell’ambito dell’accordo di scambio, in Qatar appartenevano al gruppo di 71 considerati troppo pericolosi per essere destinati al rilascio, e condannati a rimanere nella situazione di detenzione a tempo indeterminato in cui alcuni si trovano da oltre 12 anni.
Come loro altri otto dei 12 detenuti afghani che ancora si trovano a Guantanamo. Gli altri quattro sono un insegnante, un negoziante, un contadino e persino un soldato che lavorava con le forze Usa finiti per sbaglio, o perchè incastrati da nemici, nell’incubo di Guantanamo. Appartengono al gruppo di 78 detenuti per i quali la Guantanamo Review Task Force – la commissione creata da Obama per verificare la situazione di tutti i prigionieri rinchiusi a Camp Delta – ha dato l’ok per il rilascio, ma che ancora rimangono rinchiusi a Guantanamo. Questo è dovuto anche al fatto che dal 2010 il Congresso, che in questi anni ha fatto muro in tutti i modi contro il reiterato impegno di Obama a chiudere Guantanamo, ha opposto più restrizioni ed ostacoli ai trasferimenti. Contro questa situazione da oltre un anno decine di detenuti di Guantanamo hanno deciso l’atto di protesta più estremo, lo sciopero della fame che ha la scorsa estate ha riacceso i riflettori sulla loro condizione, spinto a nuove critiche e condanne da parte della comunità internazionale. Tanto che lo scorso maggio Obama è tornato a confermare la volontà di chiudere Guantanamo.
Lo scorso dicembre il Congresso sembrava essere stato persuaso ad allentare le restrizioni imposte ai trasferimenti, ma prima dello scambio solo 12 detenuti sono stati rilasciati. Finora Obama non ha mai cercato di aggirare la misura che prescrive che il Congresso sia informato del rilascio, anche se, come ha ricordato lo stesso presidente lo scorso dicembre, l’autorità esecutiva glielo permetterebbe. E quindi il fatto che per questo scambio la Casa Bianca lo abbia fatto – con la sacrosanta giustificazione di dover agire in fretta per slvare la vita del sergente – costituisce per i repubblicani un pericoloso precedente. Intanto, mentre Obama dall’Europa manda un messaggio chiaro ai repubblicani dicendo di non doversi assolutamente “scusare per aver riportato a casa un prigioniero di guerra”, l’amministrazione democratica fa sapere che “un numero significativo” verrà presto trasferito.
In realtà dei 78 da rilasciare la stragrande maggioranza, 58, sono yemeniti e il loro rimpatrio è bloccato dalle preoccupazioni di Washington per la situazione della sicurezza nello Yemen, diventato uno dei principali fronti di al Qaeda. Anche tra gli altri 20 vi sono quattro siriani, per i quali per stesse ragioni è impossibile il rimpatrio, anche se recentemente il presidente ex guerrigliero dell’Uruguay, Jose Mujica, si è offerto di accoglierli, insieme ad un palestinese ed un tunisino. Inspiegabilmente rimane ancora nelle gabbie di Camp Delta Shaker Aamer, l’ultimo cittadino britannico ancora detenuto anche se già Bush aveva dato la luce verde al suo rilascio.
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