NEPPURE GLI ABRAMS FERMANO L'AVANZATA DELL'ISIS

Le forze irachene si sono ritirate, con una manovra definita “tattica”, da tre città dell’ovest (provincia di al-Anbar) del Paese oggetto di un’offensiva degli insorti sunniti. “Le unità militari si sono ritirate (da Al-Qaim, Rawa e Aana) per essere ridistribuite” ha detto il 22 giugno il generale Qassem Atta.  Secondo la tv irachena Alsumaria, che cita fonti della sicurezza locale, i miliziani del gruppo hanno preso il controllo delle citta’ di Ana e Rawa, nella provincia a maggioranza sunnita di Anbar. ”I combattimenti hanno preso il controllo delle stazioni di polizia nelle due citta’ senza scontri” con le forze di sicurezza, hanno detto le fonti. Stando alla stessa tv, l’Isil ha anche ormai il pieno controllo di al-Qaim, località a ridosso del confine con la Siria, dopo combattimenti con le forze di sicurezza irachene. Venerdì almeno 34 agenti della sicurezza irachena, secondo le tv satellitari panarabe, sono rimasti uccisi negli scontri ad al-Qaim con i miliziani dello ‘Stato islamico dell’Iraq e del Levante’.

Militanti sunniti hanno preso il controllo di un’altra città della stessa provincia: secondo quanto riporta la Bbc online, i miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) hanno conquistato Rutba, una città a 150 km a est del confine con la Giordania. Gli insorti, ha detto un loro portavoce alla Bbc, intendono prendere il controllo dell’intera regione di Anbar a maggioranza sunnita. Rutba si trova sulla strada principale tra Baghadad e la Giordania. In ritirata sul terreno, le forze di Baghdad continuano a colpire Tikrit con attacchi aerei che domenica avrebbero ucciso 40 miliziani mentre testimoni limitano a 7 i morti.

I ribelli sunniti hanno assunto il controllo di un secondo valico di frontiera con la Siria, quello di al-Walid, mentre le forze di sicurezza che lo controllavano sono ripiegate verso una posizione al confine con la Giordania, settore dove i ribelli hanno però espugnato il posto di frontiera di Turaybil (occupazione confermata da Amman ma smentita da Baghdad). Di fatto quasi tutta la frontiera con Siria e Giordania si trova sotto il controllo dell’ISIS.

Le perdite irachene
Mentre l’ONU ha annunciato che in 17 giorni di scontri i morti sarebbero stati un migliaio inclusi molti civili (cifra che a molti pare altamente sottostimata), il governo iracheno ha denunciato la barbara uccisione di centinaia di militari catturati dai miliziani estremisti.

Il portavoce delle operazioni militari governative, il generale Qasem Atta, ha detto che “centinaia di soldati sono stati decapitati e impiccati” in varie regioni investite, dal 9 giugno scorso, dall’offensiva dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Atta non ha fornito le generalità delle vittime ne’ ha precisato le date dei presunti massacri. Fonti di stampa locali e straniere affermano che i qaedisti si sono impadroniti dell’aeroporto di Tellafar, cittadina strategica posta tra il confine siriano e Mosul ma i media del governo smentiscono la presa dell’aeroporto militare e sostengono invece che le forze governative hanno respinto attacchi dell’Isis. Le stesse fonti riferiscono che milizie sciite hanno sostenuto l’azione dell’esercito regolare contro i qaedisti nella regione centro-orientale di Diyala confinante con l’Iran.

Secondi fonti statunitensi citate da IHS Jane’s le truppe di Baghdad avrebbero perduto in battaglia almeno 5 carri armati Abrams M-1°1 più altri 28 danneggiati dei 140 venduti da Washington e che sarebbero però afflitti da problemi di manutenzione. A distruggere i tank sarebbero stati i missili russi Kornet forniti all’ISIS dalle monarchie del Golfo Persico che sostengono i ribelli che in Siria combattono Bashar Assad.
Perdite imprecisate anche per i carri T-55, in parte distrutti e in parte abbandonati al nemico a Mosul, centinaia di veicoli Hummer HUMVEE, cingolati M-113, MTL-B e  BMP-1 mentre sarebbero stati abbattuti 6 elicotteri (inclusi MI-24 da attracco) e una sessantina danneggiati..

Il tracollo dell’esercito
Lo sbandamento dell’esercito iracheno è il vetro punto centrale di questa guerra e i fatti delle ultime due settimane parlano chiaro: le forze armate che dovrebbero difendere l’integrità dell’Iraq sono al collasso psicologico dopo sconfitte e diserzioni, e non sono neanche in grado di difendere se stesse.

Esperti statunitensi valutano che per riconquistare il territorio finito sotto il controllo dell’Isis, lo Stato Islamico in Iraq e in Siria (o Levante), potrebbero volerci mesi, se non anni. “Ciò che è successo mostra che l’esercito non e’ in grado di difendere se stesso”, dice Rick Brennan, ex consigliere delle forze Usa in Iraq e analista del Rand Corp, un autorevole think-tank. “Se non troviamo il modo per fare la differenza – ha affermato al Washington Post – ciò che vediamo potrebbe essere l’inizio della disintegrazione dell’Iraq”. Michael Knights, dell’Institute fon Near East Policy, ha scritto di recente che 60 dei 243 battaglioni da combattimento dell’esercito iracheno “sono irreperibili e tutto il loro equipaggiamento è andato perso”.
Fonti Usa citate dal New York Times affermano che secondo le loro valutazioni, cinque delle 14 divisioni irachene sono “inadeguate al combattimento”. La situazione si è particolarmente aggravata dopo che decine di migliaia di soldati hanno disertato e i miliziani dell’Isis hanno messo le mani su equipaggiamenti militari e armi per centinaia di milioni di dollari.

Armi che ora possono peraltro essere utilizzate dai qaedisti, a seconda delle esigenze strategiche, sia in Iraq che in Siria, poiché la maggior parte del confine tra i due Paesi è ora sotto il loro controllo. Per far fronte alla situazione, il premier sciita Nuri al Maliki e’ ricorso ai decine di migliaia di volontari sciiti, che sono accorsi in armi, anche sollecitati dal loro massimo leader religioso, l’ayatollah Ali Sistani. Un’iniziativa che però potrebbe ulteriormente esacerbare le tensioni con gli insorti sunniti, e che secondo molti rischia di spingere sempre più l’Iraq verso una ‘libanizzazione”.

“Il problema di fondo è che l’esercito iracheno è una formazione settaria”, ha detto al Washington Post James Jeffrey, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq. “Non hanno una formazione solida.

Non hanno l’equipaggiamento e l’abilità che hanno i ragazzi dell’Isis” ha continuato. Anche con l’aiuto dei consiglieri militari americani la situazione interna dell’esercito regolare iracheno non cambierà presto. I funzionari lavoreranno lentamente, con piccole unità a Baghdad. All’inizio infatti dovranno fare una perizia sullo stato delle forze del Paese, cercando di capire quali sono le vere necessità per ridare forza ai militari. Per questo secondo alcuni analisti e funzionari americani, solo un importante intervento esterno potrà ribaltare la situazione ed evitare il collasso dello Stato iracheno.
Gli stessi generali iracheni non nascondono i molti punti deboli delle loro truppe e non mancano di osservare lo squilibrio tra la capacità di fuoco dei jihadisti, dotati di armi tecnologicamente ben avanzate, e quella dell’esercito. Negli arsenali militari mancano munizioni e armi. Gli stessi missili da elicottero Hellfire, forniti dagli Usa, sono esauriti e una nuova fornitura è attesa a giorni, (insieme a 10 droni da ricognizione Scan Eagle) come hanno rivelato due fonti della sicurezza irachena che hanno chiesto l’anonimato.

Arrivano i consiglieri militari
Le nuove milizie riceveranno un addestramento minimo di “una settimana o anche meno” e saranno inviate nei teatri di guerra più caldi, ha precisato il generale Rasheed Fleih, capo del Comando Operazioni dell’Anbar.

Tra i volontari vi sono molti membri dell’ Esercito del Mahdi, la milizia del leader radicale Moqtada Sadr, che durante la guerra ha dato molto filo da torcere alle forze Usa e alleate (italiani inclusi). Nel sermone della preghiera di venerdì scorso, un religioso vicino a Sadr, Nassir al-Saedi, ha definito ancora una volta “occupanti” gli americani, ed ha aggiunto minaccioso: “se tornate, noi saremo pronti”. Un monito all’arrivo dei 300 consiglieri militari americani dei quali una quarantina già sul terreno.
“Abbiamo iniziato a dispiegare le prime squadre di valutazione” ha dichiarato ieri il portavoce, ammiraglio John Kirby, precisando che sono circa 40 i consiglieri che hanno iniziato ad operare coperti da uno status giuridico incerto che dovrebbe garantire la loro immunità. Nel pieno della crisi e dell’avanzata dei ribelli sunniti dell’Isis Baghdad ha infatti firmato un patto che assicura ai militari statunitensi che saranno mandati nello Stato di non essere sottoposti alla legge irachena. Un’intesa molto simile a quella del 2011 e che diversi legali del Pentagono avevano valutato priva di assicurazioni reali e che il presidente americano si rifiutò di accettare, ponendo come clausola la sua approvazione da parte del parlamento iracheno, cosa che non avvenne. Come riporta il New York Times, la notizia è stata annunciata dall’amministrazione Obama.

Accettando l’accordo Obama si espone a critiche su quanto sia stata saggia la sua decisione di ritirare tutti i militari statunitensi dal Paese. La Casa Bianca ha risposto sostenendo che la situazione presente è molto diversa rispetto al 2011: Obama ha inviato solo 300 esperti militari, contro i 5.000 soldati che sarebbero dovuti restare nello Stato mediorientale dopo il ritiro di tre anni fa.

Anche se il premier Nouri al Maliki, ha ricordato al segretario di Stato americano John Kerry, che manderà questo accordo in Parlamento, i leader sunniti e sciiti non lo vedono di buon occhio e le possibilità che sia approvato sono molto basse. Per ora Maliki ha offerto l’immunità grazie alla sua autorità con un accordo esecutivo tra lui e gli Stati Uniti senza il sostegno dell’organo legislativo del Paese. Secondo gli avvocati del Pentagono si tratta di un atto incostituzionale e privo di valore se non approvato dall’assemblea. Inoltre i 300 consiglieri militari americani non saranno protetti neppure dall’immunità diplomatica che grazie all’accordo di Vienna tutela gli ambasciatori americani nel mondo e anche i militari che lavorano a stretto contatto (o per la difesa) delle sedi diplomatiche degli Stati Uniti.
Foto:  IHS Jane’s, The Mirror, AP, Telegraph, AFP, Getty Image, ISW

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