Gaza: per Israele l'unica vittoria utile è quella totale

Questa volta Gerusalemme è costretto a vincere in modo decisivo, schiacciante e inequivocabile. Dopo quasi 20 anni di interventi militari limitati o interrotti poco prima di annientare il nemico (sia esso Hezbollah in Libano o Hamas a Gaza) sull’onda delle pressioni internazionali, Israele oggi ha l’opportunità politica e militare di chiudere i conti con Hamas. Il movimento islamista orfano del supporto dell’Egitto di Mohamed Morsi, sembra voler puntare sulla guerra a Israele per riguadagnare consensi nell’opinione pubblica palestinese e nel mondo arabo rompendo l’isolamento economico della Striscia di Gaza imposto dall’Egitto del presidente al-Sissi che ha fatto smantellare gran parte dei tunnel utilizzati per contrabbandare armi e merci dal Sinai a Gaza e ha ricoperto il valico di Rafah solo per soccorrere i palestinesi feriti. Il Cairo ha messo fuorilegge i Fratelli Musulmani, movimento cui appartiene anche Hamas, offrendo a Israele l’opportunità di chiudere una volta per tutte i conti con gli estremisti islamici palestinesi.

Certo l’Egitto non potrà sostenere apertamente un’offensiva israeliana ma se Tsahal eliminasse Hamas le cose si metterebbero male anche per i gruppi terroristici islamisti attivi in Sinai con attacchi alle truppe egiziane e ai quali è da attribuire il lancio di razzi contro il territorio israeliano registrato nella notte del 9 luglio. Un’azione militare israeliana ad ampio raggio e di lunga durata comporterebbe.
un’ ampia mobilitazione di forze (sono 40 mila i riservisti allertati dei quali 15 mila già mobilitati), costi finanziari elevati e perdite tra i soldati, i miliziani e soprattutto tra i civili palestinesi, utilizzati da Hamas come scudi umani.

I costi
Secondo i media israeliani i costi dell’operazione “Barriera Protettiva” sono per ora limitati a neppure 3 milioni di dollari per quanto concerne i danni provocati dai razzi palestinesi ma risultano in vertiginosa crescita per la mobilitazione militare. Per ogni riservista che torna in servizio il costo giornaliero stimato è di 600 shekel (175 dollari) mentre le spese più ingenti vanno sostenute per l’impiego in combattimento del sistema di difesa aerea Iron Dome (che ha finora intercettato il 90” dei razzi lanciati da Gaza, dei cacciabombardieri F15 ed F16 che insieme agli elicotteri Apache e ai droni hanno effettuato in tre giorni oltre 500 missioni su Gaza contro comandi, lanciarazzi e comandanti delle Brigate Ezzedine el Kassam, braccio armato di Hamas. Per fare un paragone, da correggere oggi al rialzo, durante la campagna libanese del 2006 i costi per le operazioni militari furono di 350 milioni di shekel al giorno (101,8 milioni di dollari) per un totale di 11,2 miliardi di shekel (3,26 miliardi di dollari).

Nel 2009 l’Operazione Piombo Fuso costò 170 milioni di shekel al giorno (49,5 milioni di dollari) per un totale di 3,57 miliardi di shekel (1,04 miliardi di dollari). Minori i costi dell’Operazione Pilastro di Difesa del 2012, che pesarono in totale per meno di 2 miliardi di shekel (582 milioni di dollari).
Le operazioni attualmente in atto più un attacco terrestre a Gaza potrebbero portare i costi dell’Operazione Protective Edge a oltre 60 milioni di dollari al giorno: un costo giustificato solo dalla precisa volontà di ottenere una vittoria schiacciante e definitiva dal momento che alle spese sostenute per le operazioni militari Israele deve anche aggiungere i danni arrecati all’economia. Negli ultimi due giorni i due principali indici borsistici, il TA-25 e il TA-100, sono scesi rispettivamente dell’1% e dell’1,3%, mentre lo shekel ha perso lo 0,3% nei confronti del dollaro e lo 0,2% nei confronti dell’euro. I danni all’industria privata, soprattutto nel sud di Israele, si traducono invece nelle assenze dal lavoro dovute all’emergenza e nei conseguenti ritardi nella produzione.
La minaccia di Hamas
Anche se il sistema Iron Dome ha dimostrato la sua maturità con un’efficienza strabiliante stando almeno a quanto riferiscono le fonti militari israeliane, la minaccia portata da Hamas alla sicurezza di Israele resta di tutta evidenza. Il tentativo di infiltrare dal mare cellule terroristiche (stroncato da Tsahal) e il maggior raggio d’azione dei razzi impiegati confermano che il movimento islamista preparava da tempo la ripresa in grande stile delle ostilità.

I razzi di Hamas per la prima volta hanno raggiunto anche le aree di Dimona (dove c’è un reattore mucleare e il centro di ricerche atomiche militare), Cesarea e Haifa, situate a 130 e 170 chilometri dalla Striscia di Gaza. Distanze troppo elevate anche per i razzi pesanti iraniani Fajr-5 lanciati verso Tel Aviv ma non per i razzi M-302 derivati dai cinesi WS-1, prodotti in Siria e girati ad Hamas dall’Iran via Sudan. Nel marzo scorso gli incursori di Marina israeliani del Shayetet 13 compirono un raid nel Mar Rosso sul cargo Klos-C, battente bandiera panamense e carico di razzi M-302 diretti da Port Sudan a Gaza. Già impiegato da Hezbollah che lo chiama ”Khaibar”, l’M-302 è un’arma imprecisa ma accreditata di u raggio d’azione di circa 100 chilometri. Le Brigate Ezzedine el Kassam, hanno affermato ieri di aver attaccato Haifa con razzi R-160, un’arma costruita nella Striscia di Gaza  che potrebbe essere derivata dai razzi pesanti iraniani Zelzal-1 dotati di un raggio d’azione di oltre 150 chilometri o potrebbe essere semplicemente la sigla con cui i palestinesi chiamano i razzi M-302 assemblati nella Striscia.

Secondo l’intelligence israeliana l’arsenale di Hamas comprende centinaia di razzi con raggio d’azione pari o superiore ai 75 chilometri e di migliaia di Kassam a corto raggio e Grad capaci di colpire obiettivi fino a 40 chilometri. Armi che negli ultimi anni hanno raggiunto clandestinamente la Striscia Gaza provenienti da Iran e Sudan ma anche dagli arsenali dell’esercito libico saccheggiati durante la guerra del 2011.

Quali prospettive?
“Negli ultimi anni Hamas ha costruito a Gaza una macchina militare e terroristica formidabile e noi stiamo agendo per smantellare quella macchina” ha detto Mark Regev, il portavoce del premier israeliano aggiungendo che “l’obiettivo strategico è in ultima analisi difensivo: mettere fine al lancio di razzi sulle nostre città”. Se davvero vorrà raggiungere questo scopo in modo risolutivo e definitivo Israele dovrà condurre un attacco terrestre che vada fino in fondo, eliminando dirigenti e combattenti di Hamas.

Senza una vittoria totale di Tsahal, sarà Hamas a uscire vincitrice dal conflitto  proclamandosi tale per il semplice fatto di essere sopravvissuto all’attacco di Gerusalemme secondo uno schema propagandistico molto efficace già adottato dalla stessa organizzazione e dagli Hezbollah libanesi. In ogni caso anche l’eliminazione di Hamas come attore politico e militare non sarebbe priva di rischi poiché potrebbe favorire l’affermazione di gruppi jihadisti già presenti a Gaza che potrebbero avere un ruolo crescente anche in una Cisgiordania sempre più fuori controllo e dove  i nuovi insediamenti israeliani o gli scontri a Gaza potrebbero costituire un valido pretesto per dare vita a una nuova “intifada”.

Foto: AP, Reuters, AFP

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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