In Libia è guerra civile

di Claudio AccogliANSA

30 luglio 2014 – E’ guerra civile in Libia con i combattenti jihadisti protagonisti della conquista della principale base a Bengasi delle forze fedeli a Khalifa Haftar, mentre le ambasciate straniere continuano a chiudere i battenti – solo quelle italiana e britannica restano aperte – e in migliaia fuggono dal Paese. I miliziani islamici, che nella loro offensiva contro Haftar hanno incassato il sostegno dei Fratelli musulmani, hanno preso il controllo del quartier generale delle Forze speciali dopo 48 ore di violenti combattimenti: almeno 75 i morti, in gran parte militari, dopo una battaglia a colpi di armi pesanti e razzi Grad. Le forze fedeli all’ex generale Haftar, che qualche mese fa ha lanciato un’operazione per “ripulire il Paese” dagli estremisti, sono state costrette a incassare la sconfitta e, a quanto si apprende, si sono ritirate anche dal comando di polizia della città e da un’altra base, delle forze aeree, alle porte della ‘capitale’ della Cirenaica. L’avanzata jihadista ha costretto il neo Parlamento a spostare a Tobruk la sede per la prima sessione inaugurale, inizialmente prevista il 4 agosto proprio a Bengasi. Ma la situazione di precaria sicurezza ha costretto i deputati ad anticipare l’incontro convocando una seduta straordinaria, che si terrà 200 km a est dalla martoriata Bengasi.

La decisione di spostare a Bengasi la sede del Parlamento era nata nel contesto della prima grande contrapposizione nella Libia post-Gheddafi, quella tra il governo centrale a Tripoli e le formazioni federaliste della Cirenaica che hanno imposto per mesi il blocco all’import/export di petrolio, fermando i terminal petroliferi dell’est. In questo quadro, la Francia ha evacuato dalla Libia un gruppo di cittadini francesi e britannici “via nave”. Tra loro anche l’ambasciatore Antoine Sivan, mentre quello britannico Michel Aron ha twittato che è rimasto a Tripoli. Quella di Londra è l’unica sede diplomatica rimasta aperta nella capitale libica oltre a quella italiana. Unica nota positiva della giornata la fragile tregua raggiunta nell’area dell’aeroporto internazionale della capitale tra le milizie che si danno battaglia. L’obiettivo, spiegano le autorità, è spegnere l’incendio che attanaglia il principale deposito di carburante e gas della zona.

L’impianto ha una capacità da 9 milioni di litri, se le fiamme non verranno domate si rischia una catastrofe ambientale di proporzioni inaudite. Ma non è certo quanto durerà il cessate il fuoco: il governo di Tripoli, o quel che ne resta, non nasconde di non essere più in grado di gestire la situazione, e arriva a invitare alcuni Paesi ad “accelerare” l’evacuazione dei propri concittadini: è il caso delle Filippine, dopo il rapimento e lo stupro di una infermiera di Manila da parte di un gruppo armato. Il ministro della Sanità libico ha invitato le Filippine a procedere con speditezza per evacuare i filippini nel Paese, tra i quali almeno 3.000 tra medici e infermieri. E continua da giorni la fuga dei libici. La Tunisia avverte che, alla luce delle precarie condizioni economiche, non sarà in grado di far fronte a evacuazioni bibliche, come quelle del 2011 nel pieno della rivolta anti-Gheddafi. Tunisi, che registra un flusso tra le 5.000 e le 6.000 persone al giorno in fuga dalla Libia, si dice pronta a chiudere la frontiera, e fa appello all’Onu perché intervenga.

Foto Reuters, AP

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